di Francesco Di Salvo e Stefano Leardi
Un’apertura carica di nostalgia, che corre ai tempi in cui “ero direttore dell’Unità”, mentre oggi “la difesa del giornale….mi sento impegnato in questo senso.”
Apprezziamo sempre una cosa di Massimo D’Alema: il soppesare ogni singola parola. E via così, snocciolato il ricordo di Luigi Longo: un godibilissimo aneddoto che solo lui poteva conoscere data l’esclusività dell’appuntamento raccontato: “Ero a casa sua, in qualità di Segretario della Federazione dei Giovani Comunisti Italiani, e mi colpì un quadro naif, che lui comprò a Madrid, durante la guerra civile spagnola…” (ma il significato del richiamo all’oggetto non ve lo diciamo altrimenti che senso avrebbe avuto essere presenti?) e poi la conclusione del primo sipario con la frase: “A volte la nostalgia è un sentimento inevitabile, diciamo…”. Stop.
Il cambio nei lineamenti del volto. Si piomba subito sugli scenari internazionali. Però le premesse sono doverose, per fortuna qui Forlani non c’entra nulla: “[…] …la premessa alla democrazia moderna è il principio di tolleranza religiosa. Avete presente quel libricino di Voltaire?”. “Prima di parlare di guerre occorrerebbe leggere qualche libro”.
Nell’autunno del 2013, quando già ci si preparava per le elezioni europee che sarebbero venute l’anno dopo, uno dei leitmotiv della retorica europeista faceva riferimento ai settant’anni di pace che l’Unione Europea aveva garantito al vecchio continente, ma già allora si sarebbe potuto obiettare che quel periodo fosse stato interrotto dall’infelice parentesi della guerra del Kosovo. Tuttavia i fatti accaduti in Ucraina a partire dal novembre di quello stesso anno sono stati un’obiezione ben più drammaticamente ad una narrazione del fenomeno dell’integrazione europea forse ancora troppo ottimistica. E infatti, dall’attenta e precisa analisi della complessa situazione internazionale fatta venerdì da Massimo D’Alema si evince un dato: la scarsa influenza internazionale di un’ Europa incapace di coesione e coordinamento, che troppo spesso si trova ad avanzare in ordine sparso e ancora troppo succube dell’iniziativa politica degli Stati Uniti. È irrealistico – dice – oggi, così come immediatamente dopo il 1989, pensare che un solo paese possa garantire equilibrio ed ordine nel mondo, ed è altrettanto impensabile che nel mondo contemporaneo i singoli stati europei possano prescindere dall’Unione. Ha fatto specie, finalmente diciamo noi, sentir parlare di ordinato multipolarismo. Attribuire un ruolo maggiore agli organismi internazionali dunque, e soprattutto continuare a insistere sul cantiere dell’UE. Certo, l’obiettivo di costituire un insieme di interessi che possano dirsi propriamente europei, comuni ad un madrileno così come ad un cittadino di Amsterdam, è ancora ben lontano dall’essere raggiunto, e la goffaggine che ha contraddistinto l’Unione nella gestione della crisi ucraina ne è un ottimo esempio, ma se si vuole un Europa ancora protagonista, l’unica strada perseguibile è quella del processo federativo.
A proposito, abbiamo sentito, con piacere, parlare di politica dell’asilo, di processi di cambiamento che coinvolgono inevitabilmente tutto il mondo e sui quali si devono aprire gli occhi. Ma torniamo al quadro europeo. Alle ultime elezioni i socialisti hanno ottenuto un discreto successo, ma insufficiente per la guida della Commissione, mentre il peso dei conservatori si è consolidato. La stessa Commissione Junker, frutto di un compromesso stile larghe intese tra socialisti e popolari, è notevolmente sbilanciata a favore di quest’ultimi e nonostante i socialisti abbiano ottenuto alcuni posti chiave è assai diffuso il timore che l’Europa continuerà con le politiche rigoristiche e farà molto poco sul versante crescita; a questo proposito sarebbe opportuno secondo il Presidente della Fondazione ItalianiEuropei una politica europea più solidale che punti ad un’integrazione delle politiche fiscali degli Stati e che abbia il coraggio di emettere titoli di debito europeo e di fare investimenti importanti.
Pesa però il ruolo della Germania, la cui egemonia non è venuta meno, anzi, Massimo D’Alema ha riconosciuto in Angela Merkel una vera leader europea, capace di concentrarsi più sull’influenzare le scelte dei tanti paesi vicini alla Germania che non nel ricercare un ruolo di prestigio per il proprio commissario. Una strategia molto diversa rispetto a quella tenuta da Matteo Renzi, evidentemente. Non si poteva eludere o, come abbiamo maliziosamente inteso, elidere l’argomento.
In Italia – dice Massimo D’Alema – occorre concentrare le poche risorse sull’economia, riducendo il costo del lavoro e sostenendo la domanda interna, – e magari evitando di impegnarsi in un numero eccessivo di riforme che rischiano di essere poco incisive – ma il grosso dove dev’essere fatto? Proprio in Europa. E allora: “I miei migliori auguri a Federica Mogherini” e al nostro Presidente del Consiglio aggiungeremmo noi. Già.
L’orizzonte va tenuto più alto, all’altezza dei problemi complessivi. L’Italia deve prendere una posizione in quel grande dibattito che vede confrontarsi i sostenitori delle politiche liberiste intente a ridurre i salari e a comprimere i servizi e lo stato sociale da una parte e dall’altra coloro che intendono difendere il modello seppure riaggiornato del welfare europeo e le conquiste della socialdemocrazia europea in primis sul lavoro. Sentiero sentito e tracciato già da certi “vecchi rottami”, ci verrebbe da dire.