La monaca di Variglie [Il Superstite 206]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
In provincia di Asti un altro grazioso paese di nome Variglie, 500 abitanti circa, circondato da campi e boschi, risuona ancora oggi di storie e leggende misteriose. Da sempre meta e sede di particolari eventi religiosi, il paese potrebbe già solo essere menzionato per avere, tra i pochissimi che si conoscono, un santo protettore nei confronti delle tempeste, San Brunone, la cui testa in terracotta guarda il cielo sulla facciata di un’antica cappelletta. Molti ricordano il suono della campana di questa chiesetta quando il cielo si oscurava e le nuvole si addensavano minacciose, e allora qualcuno diceva che venissero evocate dalle Masche. Dagli anziani del posto, in rigoroso dialetto piemontese, ricorrono parole come “La Ca di Fra” o “La Ca del Munnie”, retaggi di un passato nostalgico e intrigante in cui la vista di un saio o di una tonaca tra i vigneti scatenava chiacchiere e pettegolezzi. Eredità dell’identico passato sono pure i molti cunicoli sotterranei, i cosiddetti “crotin”, che nell’opinione degli anziani sono veri passaggi segreti in quanto collegano tra loro colline, cascine e monasteri. Alla legittima domanda su cosa nascondessero questi cunicoli non esiste una vera risposta se non collegandosi ancora una volta all’immaginazione o al grande repertorio del folclore piemontese, dove non si contano, e lo sappiamo bene, storie di streghe e incantesimi, destinate in tempi trascorsi a essere raccontate durante le veglie accanto al fuoco.

Ma forse non dista molto dalla fantasia il caso di cui si vocifera e di cui esistono, è il caso diSuperstite 206 rilevarlo, numerose “ribattute” in tante altre zone del Piemonte, Alessandria inclusa, giusto a ricordare che si tratta a suo modo di un archetipo, parzialmente immortalato anche dal Manzoni. A farla breve, uno dei summenzionati “crotin” sarebbe servito, più o meno agli inizi del secolo scorso, come strada d’incontro tra la Ca di Fra e la Ca del Munnie, cioè tra il convento dei frati e il monastero delle suore e per questo nottetempo percorsa da un aitante monaco e da una giovane suora di eccezionale e prorompente bellezza, costretta in età molto giovane a velarsi contro voglia. A detta di chi ricorda, infatti, esisterebbe in uno di questi cunicoli una stanza ricavata a mo’ di caverna sotterranea con tanto di giaciglio che, in seguito, sarebbe stata ostruita con una parete di tufo, soprattutto per celare agli occhi di qualche improvvisato Indiana Jones la prova della vergogna consumata. Così, per ambedue i giovani servitori di Dio, il silenzio dei chiostri e le varie attività erano soltanto degli intermezzi tra un divampar di passione e l’altro. Ma, come recita l’archetipo, la giovane monaca ne restò incinta e le chiacchiere in odor di scandalo si diffusero nella comunità e in quelle circostanti.

Allontanato il focoso frate e segregata, nonché guardata a vista, la giovane licenziosa, le Superiori del monastero seguirono il copione imposto dalle necessità e, una volta venuto alla luce il frutto dell’amore proibito, vi fu chi provvide a deporlo, com’era uso in un’epoca per fortuna priva di cassonetti per la spazzatura, davanti all’ingresso di una chiesa parrocchiale dei dintorni, avvolto in poveri stracci per dare a intendere che si trattava di un bimbo di poverissima provenienza. Così la storia prosegue quasi come una favola dai chiari intenti morali e vede il parroco della chiesa prima sconcertarsi per quel dono giunto da chissà dove e poi affidarlo a una benestante famiglia del luogo, da tutti conosciuta per la grande devozione religiosa. Una devozione e una pratica che sono arrivate al punto da chiudere in convento, poco tempo prima, la bella e vitalissima figlia che al mondo non era venuta certo per farsi suora. Così, seguendo le bizzarre evoluzioni del destino, quel figlio concepito sottoterra, all’ombra di una candela e nell’umidità muffosa di un “crotin”, fu accolto e trattato come un vero membro della famiglia dai suoi nonni e venne allevato secondo i principi rigidi della casa. Chi lo sa se la pianta della severità attecchì?

Fatto sta che, una volta divenuto uomo, il figlio della colpa, sempre si dice, divenne un membro importante della comunità, un imprenditore in grado di offrire numerosi posti di lavoro ai giovani disoccupati della zona, mentre la monaca madre, consumata da un rimorso che non le competeva e dal dolore per non poter neppure vedere il figlio crescere (infatti, i genitori le avevano svelato l’esistenza del bambino e naturalmente la ragazza aveva capito subito di chi si trattava), morì in età ancor giovane, senza ancora aver compiuto i quarant’anni. I genitori di lei, ormai molto anziani e provati, se ne andarono poco tempo dopo la figlia e il giovane ex trovatello rimase solo. Non per questo fiaccato nello spirito, seppe proseguire con successo la sua attività a dimostrazione che buon sangue non mente.