Libero Costa: Charlot diventa mandrogno [Alessandria perduta]

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Boccassi 1di Ugo Boccassi

Bombetta, bastone, frac scuro un po’ liso e un’inconfondibile camminata ondeggiante” questo è il ritratto dell’intramontabile “Charlot’, alter ego di un indimenticabile Charlie Chaplin. Sebbene egli fosse il padre anagrafico e spirituale della “simpatica e ridicola macchietta” anche Alessandria vantava, nei primi anni del 1900, un Charlot versione “mandrogna”, in tutto e per tutto simile all’originale ma con un pizzico di colore locale che, nel tempo, decretò il successo, non solo provinciale, dell’eclettico” ideatore-imitatore: Libero Costa.

Ma il nostro Libero non fece un esordio da “comico”. Infatti nel 1919 (appena ventenne) si esibì per la prima volta al teatro Apollo di Milano come cantante, italo-napoletano. La sua carriera ebbe così un inizio comune a quello di molti altri artisti, e che, evolvendosi negli anni a ritmo esponenziale, portò Libero Costa a presentarsi sui palcoscenici dei teatri non solo italiani ma anche africani (siamo nel periodo dell’ espansione coloniale, n.d.r.) riscuotendo, grazie ai molteplici personaggi interpretati, grande successo.

Al contrario di quanto si possa essere indotti a credere, il mattatore, prima di recitare davanti al pubblico alessandrino, svolse un periodo di tirocinio in altre città della penisola.
A Napoli conobbe i più grandi maestri autori di canzoni che contribuirono in maniera determinante alla sua formazione professionale.
Tra questi merita una citazione il celebre E.A. Mario che lo chiamò per fargli studiare “La leggenda del Piave” e lanciarla così per la prima volta nelle città del Meridione. Questa esperienza decretò il successo di Costa che, ritenendo di aver concluso positivamente il periodo di “apprendistato”, decise di affrontare il pubblico composto dai suoi concittadini al Politeama Alessandrino con bellissime canzoni d’attualità. Sua, ad usum madrognum, la canzone dialettale “a vighti cul fumarò”.

Quell’esibizione lasciò un segno indelebile tanto fu l’entusiasmo che quella “nuova promessaLibero-costa del varietà” seppe suscitare grazie non solo al repertorio ma anche ad una personalità pungente, brillante ed uno stile innovativo.
Successivamente Costa lasciò il canto per divenire imitatore e parodista in quanto i “varietà” e i “cafè chantants” andavano trasformandosi e i gusti del pubblico sembravano seguire questa scia di cambiamento.
Incominciò così col presentare la maschera di Charlot unitamente a molte altre quali Girardengo, Gandhi, Francesca Bertini, Ridolini, la Bajadera e così via, e tutte raggiungevano lo scopo che l’autore si prefiggeva: riuscire il numero più atteso di tutto lo spettacolo. Applaudirono le sue imitazioni i teatri delle maggiori città italiane e quelli di Malta, Tripoli, Bengasi, Alessandria d’Egitto, Il Cairo.

In quegli anni di successo tuttavia Costa non dimenticò la ribalta alessandrina, città dove peraltro continuava ad abitare. Una volta durante un’esibizione venne coinvolto in una vicenda singolare che metteva a fuoco la sua particolarità di cogliere anche da personaggi comuni “macchiette” da interpretare, (insomma, forse incosciamente è stato antesignano di quel cabaret oggi tanto di moda). Viveva in Alessandria un tale Carlinèt, soggetto bizzarro che madre natura aveva reso claudicante e anchilosato. Quest’uomo era un semplice dipendente comunale conosciuto da molti per il suo buon umore e le sue ridicolaggini, tra le quali la convinzione che presto sarebbe stato eletto sindaco! Un sempliciotto insomma, profondamente convinto delle sue asserzioni e che inevitabilmente veniva deriso divenendo oggetto di burle e freddure continue. Ciò risultò essere un richiamo irresistibile per Costa che, immedesimandosi nel personaggio, lo ripropose sulle scene in chiave umoristica suscitando, oltre all’ilarità generale, forti consensi di pubblico.

Il “numero di Carlinèt’, visto le richieste, venne riproposto per molto tempo finché una sera per uno scherzo del destino (e probabilmente non solo) al Politeama Alessandrino giunse il vero Carlinèt per assistere ad uno spettacolo di Libero Costa.
Non appena si aprì il sipario il malcapitato “sindaco immaginario” si accorse (e come non avrebbe potuto!) che dirimpetto si trovava l’artista truccato e agghindato… proprio come lui!
Il pubblico andò in visibilio, pregustandosi l’evolversi del “fuori programma”.

Il vero Carlinèt si alzò dalla poltrona indignato, inveendo contro l’ignaro Costa che, preso alla sprovvista, per sedare la sua imbestialita “musa ispiratrice’, gli promise che il giorno seguente avrebbe contattato chi di dovere per.., farlo eleggere sindaco!
Carlinèt non dubitò un solo istante della parola dell’artista e, a pace fatta, pronunciò una frase “miliare” per la città: “Domani andrò a prendere il posto del Sindaco di Alessandria e se c’è qualche cosa che non va bene.., a rà sturtriarrò mei!” che tradotta vuol dire “vedrò di sbrigarla io!” (non sembra che però ci sia riuscito).

Purtroppo anche per Costa vennero giorni difficili: mentre si esibiva al teatro Giocosa di Napoli giunse notizia dello scoppio della seconda guerra mondiale.
Dovette così interrompere una promettente carriera per svolgere un compito ben più delicato e arduo: la difesa della Patria.
Il conflitto, in un certo qual modo, decretò la fine “artistica” di Costa: perse quasi tutti i suoi averi, accumulati negli anni, la casa e soprattutto, a causa della distruzione della maggior parte dei teatri italiani, il lavoro.
Da quel momento in poi il nostro “Charlot” si limitò a sporadiche esibizioni in piccoli spettacoli, senza perdere però la verve che lo contraddistinse nei momenti di maggior successo.
Uno spirito giovane e brillante in un corpo forse stanco ma indubbiamente memore di prestigiosi allori e sempre desideroso di nuove avventure ed esperienze.

Libero Costa si spense nel 1984 alla non trascurabile età di 93 anni: lasciò Alessandria e il suo amato pubblico silenziosamente, voltando le spalle nello stesso modo in cui il suo “Charlot’, ondeggiando, abbandonava le scene al termine di ogni sketch.
Purtroppo ne è rimasta solo una labile traccia nella memoria dei cittadini come dimostra il breve trafiletto pubblicato dal Piccolo il 25 febbraio 1984 quando l’artista scomparve.