Tu chiamale se vuoi elezioni [Controvento]

Palazzo Ghilini nuova 2 di Ettore Grassano

 

Elezioni provinciali, cui prodest? O più modestamente, a chi frega qualcosa delle prossime elezioni ‘di secondo grado’ (in cui, in sostanza, i politici si nominano tra loro e i cittadini guardano), preparatorie rispetto a quanto succederà poi con il Senato, sempre che ci si fermi lì?

Parlando con gli addetti ai lavori, l’impressione è che spesso essere eletti in consiglio provinciale interessi poco persino a loro. E del resto amministrare un ente territoriale comunque importante e strategico, senza un euro in cassa e con un sacco di ‘grane’ alle porte, non è il sogno di nessuno, o quasi.

I giochi, come sapete, sono ampliamente fatti: e non è neppure corretto dire che decide la politica. In realtà decide il solo Pd, che ha un tal numero di amministratori locali, sul nostro territorio, da potersi permettere di fare e disfare.

E, se non altro, l’ampio anticipo con cui il Partito Democratico ha trovato una (non sappiamo quanto) ampia convergenza sul sindaco di Alessandria, Rita Rossa, mostra che almeno le fratture profonde emerse da quelle parti in occasione delle recenti regionali sono superate, o in via di superamento.

Rimane il fatto, però, che le Province sono oggi l’emblema delle ‘non riforme’ pasticciate di questo centro sinistra che ci governa: da Monti a Renzi, passando per Letta (ma con l’appoggio di buona parte del centro destra, come mostrano i numeri del sostegno all’attuale esecutivo), quel che è stato finora partorito non è purtroppo chiaro a tutti.

Buona parte degli italiani, infatti, segue la politica sempre più distrattamente, e ha certamente nelle orecchie il ritornello ‘abolizione delle Province’, fino quasi a crederci. Nessuna abolizione, però, ad oggi è stata concretizzata: solo la sostituzione degli organi politici eletti dal popolo con altri auto-nominati dalla politica.
Stiamo insomma entrando, o siamo già entrati, in un tunnel di post democrazia un po’ ridicola a ben pensarci, ma che sembra per ora piacere alla gente che piace, e caratterizza anche il percorso di riforma del Senato, ormai allo stadio avanzato.

Nelle Province, certo, i nuovi politici non avranno retribuzione (ma alla fine rimborsi spese probabilmente sì, e secondo noi sarebbe assurdo il contrario: questa ossessiva insistenza sul ‘non sono pagati’ è un altro aspetto demagogico su cui riflettere), e tanto basta, nel breve, a far esultare le anime dei semplici. Pazienza se i costi sono quelli di prima, e l’improduttività è palesemente aumentata, con gente che non fa non perchè non vuole fare, ma perchè brancola nell’incertezza, nell’abbandono.

Per Rita Rossa, già alle prese con un percorso di salvataggio e riorganizzazione dell’universo di Palazzo Rosso tutt’altro che agevole e in discesa, si tratterà di sommare rogne a rogne, e davvero crediamo che siano in pochi a poterla invidiare, in questo momento. Presto le chiederemo con quale animo, e con quali progetti, si appresta a varare il suo personale quotidiano pendolarismo ‘da Palazzo a Palazzo’, sui due lati confinanti di piazza della Libertà.

Oggi, intanto, cominciamo ad ascoltare, nell’intervista pubblicata su CorriereAl, il punto di vista dell’unico outsider in campo, l’attuale sindaco di Castelletto Monferrato Paolo Borasio, candidato di Forza Italia e Fratelli d’Italia (con Ncd ad oggi ‘non pervenuto’, come dice lui). Volontariamente fuori dalla finta competizione Lega Nord e Movimento 5 Stelle.

Una battaglia di pura testimonianza, quella di Borasio: magari con qualche risvolto di ambizione personale nel medio periodo, considerato che il sindaco di Castelletto Monferrato è dato in ‘pole position’ per la candidatura a sindaco di Alessandria nel 2017. Ma, appunto, mancano ancora due anni e mezzo, e probabilmente ancora ne passerà parecchia, di acqua sotto i ponti.

Rimaniamo allora sulle Province: ha ancora senso chiamare elezioni il rito burocratico-amministrativo che si svolgerà tra due settimane? E vi piace la direzione verso cui si sta avviando la democrazia italiana?