Da Grondona a Libarna tra Scrivia, Borbera e Spinti

A curGRONDONA_TORRE DEL CASTELLO_1a di Fabrizio Capra

 
GiroVagando torna nel novese, dove vi avevamo portati nella prima puntata del nostro viaggio. Per questo giro si parte da

GRONDONA

comune sul torrente Spinti, tributario dello Scrivia, unico comune completamente nella valle omonima. Grondona viene citata per la prima volta in un documento imperiale nel 1164 quando l’imperatore del Sacro Romano Impero Federico I “Barbarossa” confermava i privilegi del comune di Pavia, a cui sottoponeva Grondona.
Del CASTELLO dei Fieschi-Doria costruito nel 1181 e abbandonato nel 1797 rimane solo il MASTIO. Questo unico frammento di architettura militare è una torre cilindrica con uno splendido portale in pietra che si erge sola sul monte Asserello: sono ancora visibili sulla sua parte sommatale tracce di un bordo ad aggetto, coronamento che un tempo, probabilmente, sorreggeva il tavolato ligneo del cammino di ronda.
Da visitare, direzione fondovalle, la CHIESA dell’ASSUNTA, edificata nel XII secolo in stile romanico. Fin dalle origini il cimitero del paese ne ingloba una parte. È stata ristrutturata e ampliata intorno alla metà del XVII secolo (1645-1647) utilizzando anche materiali provenienti dall’abbattimento dei fianchi, conserva della chiesa primitiva una sezione di parete nord in prossimità dell’abside, caratterizzata da una cornice con peducci alle falde della copertura. La facciata presenta un portale con arco a tutto sesto con scolpita una croce, tre gigli e la mano benedicente di Dio. L’architrave invece è liscio collegato a colonnine terminati a crochet. Lungo le pareti interne e sui pilastri si trovano diversi affreschi, che mostrano i santi della devozione popolare: “Sant’Antonio abate”, “San Giacomo di Compostela”, “San Pietro” e “San Giorgio”, la “Vergine nell’atto di bastonare il diavolo tra Sant’Andrea e Sant’Antonio abate”, opera del 1649 di Antonio Barbe, mentre sul presbiterio a sinistra troviamo la “Madonna con Bambino tra i santi Pietro e Paolo” della prima metà del XV secolo. A destra capeggia un affresco del secolo XVII con l’effigie della Madonna di Loreto affiancata dai Santi Carlo,Giovanni Battista, Bartolomeo e Agata e dal committente; nella navata destra, al centro, è addossato il grandioso altare tardo barocco che doveva contenere il gruppo ligneo della Madonna del Rosario, oggi in parrocchia. Il campanile è a pianta quadrata, alto quattro piani segnati esternamente da cornici a dente di sega e con specchiature ad archetti pensili ciechi. La cella campanaria è aperta da bifore con pilastrino che si conclude con capitello a stampella.
La tappa successiva è in località Berseiga presso la CHIESA dell’ANNUNZIATA le cui informazioni storiche sono scarse: si pensa a un’origine gotica con volte a crociera, anche se l’impianto dell’edificio e la presenza del portale, fanno pensare a un’epoca precedente. Da un interessante studio risulta una sopraelevazione dei setti murari e della pavimentazione nel 1638. La chiesa è stata affrescata intorno al 1500 dai fratelli Bauxilio di Castelnuovo Scrivia.
In località Molino, invece, non sono da perdere un ARBORETO STORICO e l’ANTICO MULINO IDRAULICO ora struttura museale.
In tutti i borghi si possono vedere le tipiche ARCHITETTURE IN PIETRA mentre nei boschi di tutta la vallata sono visibili gli ABÈGHI, essicatoi per le castagne per i quali è stato creato un apposito percorso della durata di circa 4 ore denominato “Sentiero degli Essicatoi”.
In frazione Chiapparolo all’interno della CHIESA della MADONNA del CARMINE, si può ammirare una scultura lignea, della Scuola del Maragliano, e un famoso dipinto a olio su tela di Guglielmo Caccia detto il “Moncalvo.”
Nel borgo medievale di Sezzella, che offre un panorama incantevole, si possono ammirare la CHIESETTA della MADONNA della MERCEDE, da molti chiamata “del cosacco” in quanto edificata nel 1854-1855 sulla piccola radura sommitale di un poggio boscoso come ex-voto da un reduce della guerra di Crimea e il laboratorio di clavicembali di Giuseppe Corazza.
A Sasso, altro borgo antico, si può visitare la CHIESA di SANT’ANDREA risalente al XVI secolo che si presenta con una imponente facciata. Si può inoltre ammirare uno splendido panorama.
Lemmi, ultima frazione del comune di Grondona, circondata dal verde e dalla natura ospita la monastica CHIESA di SAN PIETRO APOSTOLO.
In frazione Variana, prima di abbandonare la valle, è da vedere la CHIESA PARROCCHIALE SAN COLOMBANO e, nei pressi, all’interno del cimitero, l’ANTICA TORRE di SAN COLOMBANO facente parte dell’antica Chiesa non più esistente. Le proporzioni del saliente, sovradimensionate rispetto a quelle di una normale torre campanaria, fa presupporre ad una doppia funzione di essa, ossia di campanile, per la presenza di ampie aperture e della cella campanaria in laterizio seicentesca, e di torre vera e propria.

Lasciata alle spalle la Valle Spinti incontriamo

ARQUATA SCRIVIA

comune situato sulla sinistra dello Scrivia, presso la confluenza del Borbera e dello SpintiArquata_Scrivia-palazzo_Spinola nello stesso Scrivia. Si trova a metà strada tra Alessandria e Genova, al confine con la Liguria. Il nome della città deriva dal latino arcuata (a sua volta derivata da arcus) ossia “fatta ad arco” riferito all’acquedotto che riforniva la vicina città romana di Libarna e alle sue arcate. Meno attendibile l’ipotesi dell’erudito ottocentesco Bottazzi che ne individua le origini nel latino”arcus aquae”, ovvero “arco dell’acqua”. Il comune presenta due aspetti nettamente distinti, con il suo nucleo antico, di epoca medioevale, ricco di testimonianze storiche, sopravvissuto ai margini dei nuovi quartieri residenziali e industriali.
La prima tappa dell’itinerario arquatese parte dalla piazza intitolata a SANTE BERTELLI, già Piazza del Mercato, pittore ottocentesco di scuola genovese, nato nel paese, il cui busto scolpito da Norberto Montecucco si trova al centro dell’aiuola prospiciente il Comune, dove si possono ammirare alcune costruzioni.
Iniziamo con PALAZZO SPINOLA, sede del Municipio, situato sul lato a monte della piazza, la cui prima fase costruttiva risale al tardo medioevo. Nel XVI secolo subì una prima trasformazione e allo stesso periodo si può datare la realizzazione di un sistema di accesso costituito da una doppia rampa esterna sviluppata verso il centro della piazza. L’ultima modifica, effettuata nella seconda metà del XVII secolo, gli conferì le attuali forme e dimensioni, conformandolo ai dettami stilistici dell’architettura barocca ligure dell’epoca. Il palazzo appartenne agli Spinola fino ai primi del Novecento, quando fu venduto all’amministrazione comunale per ospitare gli uffici municipali e, in un primo tempo, le scuole dell’obbligo. Nel 1998 è stato ristrutturato e la facciata ha riacquistato il colore originario, desunto dall’analisi in laboratorio di alcuni campioni di malta originale.
Quindi la CASA dei GRIFFOGLIATI, posta all’angolo sud-ovest della piazza, risalente al quattrocento con archetti pensili marcapiano, cornici gotiche e una bottega con ripiano in arenaria tipici dell’architettura medievale.
Passiamo infine al grazioso POZZO BAROCCO a edicola, divenuto l’emblema del paese. La tradizione orale del luogo attribuisce al pozzo origine assai remota. Il documento più antico che ne cita l’esistenza risale al 1598. Verosimilmente, la realizzazione del pozzo di Arquata nelle attuali forme, è da porre in relazione alle vicende storiche che hanno per protagonista la famiglia Spinola, che in tale luogo tenne feudo su un arco di tempo assai esteso: a partire dal 1 luglio 1313, data d’insediamento di Opizzino Spinola per investitura imperiale, fino al 1797, anno in cui venne soppresso il feudalesimo. Già da una prima valutazione dei caratteri architettonici del manufatto appare evidente la sua appartenenza alla cultura figurativa del primo barocco, di area ligure; tale fatto lascia supporre che possa essere stato concepito in occasione di un rilevante evento della storia locale, occorso proprio nella prima metà del XVII secolo.
Guardando il Palazzo notiamo alla sua destra l’arco a sesto acuto, accesso a Via Interiore, cioè l’accesso alla parte meridionale del Borgo, vero cuore storico: faceva parte di una torre- porta inglobata all’interno di un edificio del XV secolo.

Iniziamo così la visita al BORGO MEDIEVALE.
Proseguendo per Via Interiore si possono notare, soprattutto all’interno dei vicoli che si dipartono dalla strada, portali di pietra databili tra il XIII e XV secolo, archi a sesto acuto, archetti pensili, e due pozzi che servivano all’approvvigionamento idrico della comunità. La torre – porta a nord è in migliore stato di conservazione e la sua struttura si staglia con evidenza dalla casa in cui è inglobata.
Sempre in Via Interiore merita particolare attenzione un edificio che ha mantenuto le sue caratteristiche di epoca tardo medievale quasi inalterate attraverso il tempo: la CASA GOTICA, oggi di proprietà comunale. Davvero singolari le originali strutture lignee di quest’antica abitazione. Sono chiaramente leggibili alcuni elementi architettonici tipicamente medievali, quali la decorazione a dentelli della colombaia nel timpano, alcune fasce di mattoni a spinapesce, gli aggetti propri alla tecnica costruttiva delle pareti intelaiate. La tipologia edilizia richiama la cosiddetta maison à la guise de France, la tipica casa medievale di città, con bottega a piano strada, ingresso e scala in posizione laterale, locali abitativi al primo e al secondo piano. L’edificio presenta i caratteri di un vero e proprio reperto archeologico anche e soprattutto come testimonianza eccezionale della tecnica costruttiva a pareti intelaiate. Eccezionalità che deriva dalla sua collocazione geografica, eccentrica rispetto al mondo nordico dove tale tecnica veniva impiegata largamente fino ad epoche relativamente recenti. In questa casa molto probabilmente l’intelaiatura era già in origine coperta da scialbature di calce o da veri e propri strati di malta. Per quanto riguarda lo schema dell’intelaiatura, questa casa si differenzia dagli esempi nordici per una maggiore semplicità e per l’apparente assenza di elementi diagonali di controventatura.
Circa a metà della via sorge la PARROCCHIALE di SAN GIACOMO e SANT’ANTONIO, originaria del XII secolo ma rimaneggiata verso la metà del XVI secolo con aggiunte settecentesche barocche. Ricorda le chiese genovesi del ‘600. È fiancheggiata da un massiccio campanile quadrato. L‘interno è caratteristico con cinque navate divise da colonne ottagonali medievali, elementi barocchi e decori ottocenteschi. A sinistra si apre la Cappella dell’Assunta, sormontata da una piccola cupola con affreschi dei quattro evangelisti, che ospita la statua lignea della Madonna Assunta scolpita da Bartolomeo Carrea nel 1802. All’interno si trovano opere di artisti liguri quali Giovanni Battista Carlone, Lazzaro Tavarone e Piola. La cripta venne costruita da Filippo Spinola nel 1630 affrescata con storie sacre attribuite a Giovanni Battista Carlone.
Proprio di fronte alla Chiesa Parrocchiale si trova l’ORATORIO della CONFRATERNITA dei DISCIPLINANTI, attualmente denominata di SAN CARLO, che sovrasta la scalinata dell’antica Contrada del Forno, al centro del Borgo Interiore, guardato dall’alto dalla torre del castello. La notizia più antica della sua esistenza è del 1478 e si trova in un testamento redatto in un atto notarile, che lo menziona come oratorio di S. Maria di Arquata. Dopo l’aggregazione della confraternita all’Arciconfraternita del Gonfalone di Roma nel 1607 l’edificio verrà sempre citato come oratorio di S. Maria V. Assunta, anche se attualmente è denominato sovente e impropriamente oratorio di S. Anna. Edificio a una sola navata con volta a botte, caratterizzato da un altare barocco e da un campanile a forma di lanterna.

Ci spostiamo quindi in Piazza Caduti che si presenta con un essenziale monumento che ricorda i Caduti stessi e da lì ci avviamo verso il secentesco SANTUARIO di NOSTRA SIGNORA della MISERICORDIA di MONTALDERO, edificio religioso caro al culto degli arquatesi, che si rivolsero con un voto alla Madonna di Montaldero nel pericolo dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. Trae origine da una immagine della Madonna su un pilone realizzata nel ‘500. Nel 1646 si trasformò in edicola e successivamente in una chiesuola fino ai primi anni dell’800 quando diventò un santuario. Nel 1850 terminarono i lavori che avrebbero portarono alla forma attuale dell’edificio, con il porticato che si apre davanti alla facciata. Il pulpito in pietra grigia e rosata venne collocato dove si trova attualmente, sulla sinistra davanti alla balaustra in marmo, nel 1871. Prima di allora era situato nella parrocchiale di S. Giacomo, per la quale era stato costruito nei primi anni del ‘600. Nell’inverno del 1957 venne sostituito l’altare con quello di marmo che vediamo oggi. L’altare era collocato, prima di allora, nella cappella del Battistero in parrocchia e proveniva dalla chiesetta privata campestre sconsacrata chiamata comunemente “S. Barbara”. Nel 1894 si decise di costruire un vero e proprio campanile, con la sua cupola in rame.

Da lì, passando accanto alla ormai diruta CHIESETTA di SANTA BARBARA, raggiungiamo la TORRE, simbolo del paese, con i ruderi delle mura del duecentesco CASTELLO di MONTALTO. Dalla zona si può ammirare un ampio panorama.
Da vedere ancora la CHIESA di SANT’ANTONIO un suggestivo edificio religioso sorto come oratorio campestre nel secolo XV e ristrutturato nel 1925 secondo un gusto eclettico, in particolare neoromanico, allora in voga. Il portale presenta una cornice; una trabeazione in pietra scolpita con bassorilievi in stile neo-classico con figure e girali di acanto; un protiro formato da due antiche colonne già prima esistenti che sorreggono un arco con tettuccio a capanna. Due lesene in pietra tripartiscono il prospetto della chiesa, sul quale si apre un rosone ricavato dal raddoppiamento di una finestra già esistente, che aveva un voltino ad arco a tutto sesto; sotto il tetto si trova un cornicione dentellato; in basso sono state ricavate due finestre sempre ad arco ai due lati della porta. Ai due lati dell’altar maggiore si trovano i due altari laterali, ricostruiti nel 1927 e 1929 su progetto dell’ingegner Francesco Rivera. Quello del lato sinistro, anticamente dedicato ai Santi Fermo e Defendente, è menzionato nel ‘700 con il titolo della B.V.del Carmine. Rifatto nel 1929, custodisce l’antica statua lignea della Madonna del Carmine. Sul lato destro è invece stato edificato nel 1927 l’altare dedicato a Santa Teresa del Bambino Gesù, al posto dell’altare un tempo intitolato al S. Presepe. La struttura rispecchia e anticipa anche lo stile decorativo ricorrente in molte ville della zona, in quello che è l’affascinante VIALE dei VILLINI dove si possono ammirare architetture del primo novecento. Da notare la fantasia con cui sono stati utilizzati elementi dell’architettura inglese e francese, come tetti spioventi, paraste, bow-window, insieme a fantasiose aggiunte decorative che riecheggiano stili neoromanici, neogotici. Si ammirano ancora, inoltre, alcuni pregi liberty e la sistemazione dei giardini con grandi alberature, destinate ad ombreggiare lunghi e pigri pomeriggi estivi.

Da scoprire anche le frazioni di Arquata Scrivia.

Iniziamo con VARINELLA (che si può incontrare arrivando dalla Valle Spinti) dove al centro del paese, nei pressi dell’allungata Piazza del Ballo, sorge la CHIESA PARROCCHIALE di SANT’EUSEBIO, di impianto duecentesco, ricostruita nel XVI secolo, più volte decorata nel corso del tempo. Si ha notizia di essa a partire dal 1196. Entrando in chiesa, si può notare alla sinistra dell’ingresso un piccolo fonte battesimale con vaso in pietra (romanico) e sempre sul medesimo lato l’altare del SS.Rosario e quello di S.Eusebio; sul lato destro l’altare di S. Giuseppe e quello del Sacro Cuore.
Particolare è la storia dell’altare cappella, dedicato alla memoria dei caduti delle due guerre mondiali, che sorge nei pressi del cimitero e del Viale della Rimembranza: progettata negli anni ’30 dal celebre architetto milanese Ignazio Gardella, la cui famiglia trascorreva lunghi periodi in una villa a Varinella, rimase, nonostante l’interesse per l’idea innovativa, irrealizzata. La costruzione, secondo il disegno originale, è avvenuta solo tre anni fa. Entrando invece nel paese si trova la CAPPELLETTA di SAN BERNARDO, nella cappella è conservata anche un’antica statua di marmo della Madonna. Altro edificio religioso, in alto, non lontano dalla borgata di Pessino, è il SANTUARIO MARIANO della RONCHETTA situato tra i boschi. Nella borgata Travaghero si può vedere una CAPPELLETTA dedicata alla MADONNA di CARAVAGGIO.
Appartata, su un poggio oltre lo Scrivia, VOCEMOLA, conserva aspetti e sapori di paese, con il borgo compatto attorno alla chiesa, le vecchie case ridipinte, i vicoletti, e, a brevissima distanza, monti e boschi. A dare il benvenuto a chi arriva da Arquata, si trova la nicchia della MADONNA PELLEGRINA: la semplice statua di Maria col Bambino è stata, nell’estate 2005, al centro di una movimentata vicenda. Fu, infatti, trafugata e poi fatta ritrovare; il suo ritorno ha suscitato comprensibile commozione. Da vedere la CHIESA PARROCCHIALE di SAN BARTOLOMEO la cui data di fondazione si può ricavare da una piccola lapide, ora sul frontale della stessa che la fa risalire al 1686. La Chiesa risente dei moduli cinquecenteschi, anche nei suoi limiti di superficie, di materiale di costruzione , di eleganza e di ricchezza; ad ogni modo denuncia l’intervento di un Mecenate , o di famiglie nobili, che hanno potuto aggiungere una nota di stile alla necessità del culto. L’edificio è a una sola navata con cupola, sorretta da quattro colonne classicheggianti. La decorazione è di Carlo Frascaroli con dipinti murali di Laiolo, eseguita negli anni 1934-36. Entrando in Chiesa da sinistra: san Vincenzo Ferreri, un dipinto su ardesia su moduli genovesi cari a Pellegro Piola. Poi un altare di marmo sormontato da una nicchia con statua di legno dell’Assunta dello scultore genovese Bartolomeo Carrea. Nel presbiterio monumentale altare maggiore , in marmo, con Ciborio sormontato da un prezioso Tabernacolo barocco, con colonnine attorcigliate ed intarsi, comperato dalla Confraternita di Arquata nel 1703. Nel coro quadro su tela della SS. Trinità, firmato e datato da G. Rossi. Ai lati dell’altare due affreschi – Gesù e i fanciulli e cena di Emmaus – di Davide Laiolo. Ritornando sulla parete di destra Altare del S.Cuore con un quadro in tela raffigurante l’Immacolata e i Santi (1725), Madonna del santo Rosario, dipinti in olio su rame della medesima epoca. La Chiesa è dotata di Organo di incerta data, proveniente da un Convento di Sale. Probabilmente millenaria, e certo romanica, è invece la essenziale e suggestiva chiesa oggi all’interno del cimitero dedicata anch’essa a SAN BARTOLOMEO che è stata la prima chiesa del paese. In posizione sopraelevata rispetto al nucleo centrale del paese, si può salire alla borgata di Castello, immersa nel verde, da cui si gode un bel panorama. Sul colle soprastante Vocemola, in una zona, per così dire, confinante con Varinella, si espande la pineta, con un importante complesso di villeggiatura- ville, dependance, cappella- oggi purtroppo in rovina, e la vicina Rettorato, antico, solitario insediamento monastico.
Infine ultima frazione da visitare RIGOROSO: lungo l’asse della strada statale si possono notare numerose ville e villini, sia liberty sia di impianto più antico, con la classica forma squadrata e solida delle case liguri. Da vedere la CHIESA PARROCCHIALE di SANT’ANDREA una cui prima citazione risale ad un documento del 1196. Nel 1768 furono iniziati importanti lavori nella chiesa: vennero costruite sui lati due cappelle incavate, nelle quali ebbero posto due altari dedicati rispettivamente alla SS. Trinità e alla Madonna del Rosario. Tra la fine del Settecento e il 1822 si aggiunse l’organo Ciurlo. Nuovi rilevanti lavori furono compiuti verso la fine del secolo XIX: la chiesa venne allungata dalla parte della facciata e furono costruiti l’altare di Nostra Signora di Lourdes e il battistero. Venne modificato il campanile. Nel 2004 è stato consacrato il nuovo altare e collocato l’ambone fisso in marmo. Nella chiesa è esposto un quadro dell’Annunciazione di Gioacchino Assereto (1600-1649). La presenza di una confraternita è attestata dal secolo XVI.
Da vedere anche la CAPPELLA del NOME di MARIA alla CA’ BIANCA risalente alla metà del secolo XIX; la CAPPELLA della NATIVITA’ della MADONNA a LA COSTA che fu costruita nel secolo XIX dalla popolazione in ringraziamento per lo scampato pericolo del colera; la CAPPELLA VOTIVA di NOSTRA SIGNORA REGINA della PACE ai Faghè Bassi eretta per ringraziamento dalla popolazione al termine della II guerra mondiale; l’ORATORIO della SS. ANNUNZIATA del XVI secolo collegata alla presenza di una confraternita tuttora esistente.
Grande peculiarità di questa frazione sono tuttavia alcuni aspetti naturalistici. In primo luogo, proprio al confine del comune, nonché della provincia e della regione, si erge il LECCIO di RIGOROSO, Quercus Ilex, un bellissimo albero monumentale, di una specie rara in queste zone, la cui chioma verdeggiante spicca anche quando le piante circostanti sono ormai spoglie. Ragguardevoli anche le sue dimensioni: circa 4 metri di circonferenza per 15 di altezza, uno dei più grandi segnalati in Italia.
Di grande suggestione gli scorci offerti a chi percorre la strada per Sottovalle, dai calanchi: queste formazioni emanano un fascino singolare, di selvaggia, aspra solitudine ed insieme di iridescenza lunare. I calanchi possono apparire, come una sorta di mare pietrificato, con immobili, gigantesche onde, diversi in ogni ora del giorno, a seconda delle condizioni di luminosità.

Terminata la visita ad Arquata, attraversiamo lo Scrivia e raggiungiamo

VIGNOLE BORBERA

VIGNOLE BORBERA_IL CASTELLOcomune all’imbocco della Val Borbera (che sarà oggetto di un nostro prossimo GiroVagando), situato nella piana alluvionale del Borbera, presso la sua confluenza nello Scrivia in località Precipiano. Si trova alle pendici di Monte Spineto. Forse centro fondato dai romani come agro della vicina Libarna col nome di Vineola (piccolo appezzamento di terreno coltivato a vigna), le informazioni sicure però si hanno solo dal 1000 in avanti da quando divenne territorio appartenente all’abbazia benedettina di San Pietro di Precipiano, fondata dal re longobardo Liutprando, durante la traslazione del corpo di Sant’Agostino.
Prima tappa nel comune di Vignole è la CHIESA DI SAN LORENZO MARTIRE risalente alla seconda metà del XVIII secolo, venne iniziata nel 1786 a seguito dell’ampliamento e alla ristrutturazione dell’oratorio di San Giacomo. È assai spaziosa con una facciata tardo barocca e un campanile coronato a forma di bulbo al modo delle chiese ortodosse russe, la fonte battesimale datata 1735 proviene forse da Precipiano, l’altare dedicato alla Madonna del Rosario è del diciottesimo secolo, nella nicchia c’è una statua della Vergine di inizio Novecento, l’altare destro è dedicato a San Giuseppe ed è ornato da una statua di San Giuseppe ottocentesca, sui due lati ci sono le statue in legno dipinto di San Giacomo a sinistra e di Sant’Agata a destra del tardo XVIII secolo, inoltre vi è una pala d’altare conservata in sacrestia. Si tratta di un dipinto che raffigura laMadonna col Bambino contornata dai Santi Giacomo e Lorenzo e in basso dalle Sante Maddalena e Agata con angeli reggenti. Da segnalare l’importante organo del 1821 realizzato dal Cav. Bianchi e recentemente restaurato. Il campanile è a forma di bulbo al modo delle chiese ortodosse russe
Vicino alla parrocchiale di San Lorenzo si trova il cosiddetto “CASTELLO” di Vignole, il suo aspetto originario è leggibile nonostante i numerosi rimaneggiamenti, la fortificazione era posta a protezione della via che porta da Vignole a località Mulino, guadata dal Borbera e che portava a monte Spineto e raggiungeva Libarna: si presenta tuttora con una torre quadrata di pietre a vista, come tutta la costruzione, aveva il doppio compito di residenza e di fortificazione, infatti aveva una loggia, la muratura è in bozzette lavorate che datano il “castello” al XVI-XVII secolo quando Vignole era sotto i feudatari del Ducato di Milano dei Lonati.
Ci trasferiamo, quindi, in località Chiocchiale dove si erge la CHIESA di NOSTRA SIGNORA delle GRAZIE che comunemente viene chiamata CHIESA del CHIOCCALE e costruita nel 1836 come ex voto alla Madonna per la fine di un’epidemia di colera. Si presenta a croce greca con cupola centrale, è di ridotte dimensioni. Ha una facciata semplice con un cornicione con la statua di Sant’Espedito in cemento sulla sommità commissionata negli anni ’20, il portale è sormontato da un’epigrafe messa nel 1899, nella lunetta c’è una piccola scultura raffigurante San Giuseppe con il Bambino, l’interno ha due altari uno dedicato a Santa Teresa di Lisieux e uno a Sant’Antonio da Padova, l’altare maggiore è sormontato da un tronetto in pietra con l’icona marmorea della Madonna Col Bambino del 1886.
Nella frazione Variano Inferiore si può vedere l’ORATORIO di SAN PAOLO, di pianta rettangolare, affrescato negli anni ‘50 con l’intervento del pittore torinese Cesare Secchi. Nel paese le case si allineano lungo la strada, lasciando intravedere i segni del passato: archi, portali, finestrelle con architrave, volte.
In frazione PRECIPIANO c’era una importantissima Abbazia benedettina. I resti dell’abbazia furono distrutti nel 1815, tranne la torre centrale. Nel 1916 intorno alla torre fu costruita Villa Cauvin e il suo parco e tuttora è immersa nel parco della villa che è proprietà privata, non essendo quindi visitabile. È l’edificio più vecchio di tutta la val Borbera ancora esistente.

Ci dirigiamo ora verso

STAZZANO

comune situato sulla destra dello Scrivia alla sua confluenza con il Borbera, ultime propagaggini del’Appennino Ligure che nel territorio comunale culminano nel Colle Albarasca (601 m) e finiscono con il Monte Spineto (468 m). Il toponimo trae probabilmente origine dalla gens Statia o da Statio (fermata, luogo di sosta), che nel territorio, non lontano dalla romana Libarna, doveva tenere possedimenti.
Il CASTELLO di STAZZANO, costruito in epoca medievale dal 1994 è residenza per STAZZANO_SANTUARIO SACRO CUOREanziani. A fianco sorge il SANTUARIO del SACRO CUORE, dell’architetto Giulio Leale. La chiesa in stile basilicare è a tre navate, separate da venti colonne di granito Baveno. Le navate laterali si ripetono in alto sotto forma di tribuna, contenuta da balaustra di marmo di Carrara. I soffitti delle navate sono a cassettoni o lacunari, a stucco, armonizzati con gran ricchezza di ornati, di cornici e di rosoni.
Raggiungiamo quindi la sommità del Monte Spineto per visitare il SANTUARIO di MONTE SPINETO. Si racconta che i soldati del Barbarossa nel 1155 avrebbero saccheggiato Stazzano, incendiando pure il castello costringendo gli abitanti a fuggire sul Monte, poco dopo vi fu innalzata una cappella per la protezione ricevuta, che andò presto STAZZANO_SANTUARIO NS DI MONTE SPINETOin rovina. All’inizio del XVIII secolo truppe francesi minacciarono nuovamente Stazzano e la popolazione si rifugiò sull’altura pregando attorno a una croce, poi attorno a un biancospino cresciuto fuori stagione ci furono degli eventi miracolosi. Così nel 1633 incominciò l’edificazione del santuario voluto dal vescovo di Tortona che decretò che l’altare maggiore sorgesse nel punto dove era cresciuto il biancospino, il monte da allora fu chiamato monte Spineto. L’attuale santuario è a tre navate, con tre altari, la facciata è ottocentesca, tra 1839 e 1840. Nel 1853 fu costruito il campanile in pietra a vista, nel 1866 furono costruite le navate laterali e fu decorata la facciata, inquadrata da lesene e sormontata dal monogramma mariano. All’interno ci sono affreschi e stucchi a generi fitomorfi che inquadrano le lunette con i Misteri del Rosario e il tondo del presbitero del Miracolo della Colomba dipinto dal pittore alessandrino Clemente Atzori. Nel 1875 fu eretto l’altare maggiore che accoglie la statua della Madonna con Bambino del 1629 in pregiato marmo di Carrara, inoltre ci sono alcune tele seicentesche e settecentesche e molti ex voto posti in una stanza accanto alla sacrestia, oltre ad una stampella utilizzata da don Orione per raggiungere il santuario. Interessanti le ceramiche della Cappella della Via Crucis. La chiesa, posta in posizione panoramica, offre una vista invidiabile e solo questo vale la pena della salita al Monte.

Ritornati in paese da visitare la PARROCCHIA di SAN GIORGIO MARTIRE per poi spostarci a Villa Gardella (già Villa Maria) proprietà ceduta da Giuseppe Gardella al Comune che ospita il MUSEO NATURALISTICO. Fondato nel 1980, su iniziativa del Gruppo Naturalisti di Stazzano, il Museo ospita un’importante collezione di minerali, fossili, uccelli, mammiferi, rettili, anfibi, insetti e vegetali. L’impostazione che il Gruppo Naturalisti Stazzano ha voluto dare al Museo è stata quella di conoscere e studiare gli aspetti naturali del territorio alessandrino, cercando contemporaneaSTAZZANO_VARGO LA TORREmente di comprendere e quindi ripercorrere la vita della terra. La parte espositiva è divisa in due sezioni: SCIENZE DELLA TERRA, dedicata allo studio e alla formazione del nostro territorio e SCIENZE DELLA VITA, che illustra invece lo studio degli esseri viventi che lo popolano. Il Museo è aperto al pubblico su prenotazione nei giorni: giovedì ore 21-23 e sabato ore 15-18. Per prenotare visite guidate telefonare, negli orari di apertura al pubblico 014365303-280 o museocivicodistorianaturale@comune.stazzano.al.it
In frazione VARGO, nel medioevo feudo dei Fieschi e poi dei Doria, sorge un CASTELLO già noto nel 1157 ma nato come torre di segnalazione in epoca longobarda. La struttura oggi, un tempo fortificata, è in parte utilizzata come abitazione senza alterare la visibilissima torre principale.
Da vedere anche l’ORATORIO dedicato alla VERGINE ANNUNZIATA che si presenta a unica navata. L’attuale facciata intonacata è il risultato dell’ultimo intervento avvenuto a fine ‘800. In corrispondenza del tetto ci sono dei fori utilizzati alcuni come colombaie, altri quali fessure usate per gli avvistamenti, altri ancora rivelano invece la presenza di finestrelle dell’originaria chiesetta.
Riattraversiamo lo Scrivia e giungiamo a

SERRAVALLE SCRIVIA

SERRAVALLE SCRIVIA_PANORAMAcomune situato presso la confluenza del Borbera nello Scrivia vicino agli ultimi contrafforti dell’Appennino Ligure e all’inizio della pianura. Borgo fortificato, forse costruito dagli abitanti di Libarna dopo la distruzione della stessa (452). Il toponimo Serravalle lo si ritrova per la prima volta in un atto pubblico datato 1140, attraverso il quale i Comuni di Tortona e di Genova concordarono i loro confini. Il piccolo centro storico di Serravalle, stretto tra il colle, un tempo dominato dal castello, e il corso del torrente Scrivia, con il caratteristico ponte del Lastrico, sa ancora offrire suggestivi scorci e piccoli “tesori” d’arte e religiosità, nonostante i segni e le contraddizioni lasciate dal tempo e dalla mano dell’uomo: le antiche chiese, gli storici palazzi; i vicoli, le piazzette, le case dai colori vivaci e dalle architetture liguri.
L’imponente sagoma del colle degli Arimanni che sovrasta il nucleo originario dell’abitato, rivela la sagoma dei ruderi dell’antico CASTELLO, costruito in periodo Carolingio e successivamente ampliato. Dopo aver subito gli ultimi assedi in epoca Napoleonica, Bonaparte ne ordinò la demolizione. Quel poco che ancora ne resta è in parte visibile dal centro storico ma non è accessibile.
La visita inizia con la COLLEGIATA dei SANTI MARTINO e STEFANO. La presenza religiosa si è sempre stata radicata nelle storia serravallese e l’insigne collegiata ne rappresenta il simbolo la cui prima testimonianza pienamente attendibile risale al 1228. L’edificio sorge alla sommità di Piazza Martiri del Risorgimento e domina il dedalo di piazzette e vicoli del centro storico di Serravalle. La collegiata mostra oggi una struttura tardo rinascimentale con inframettenze barocche, una magnificente facciata in travertino, completata nel 1939 e recentemente restaurata. Le decorazioni datano al 1911 a opera di Luigi Gainotti e di Rodolfo Gambini. L’apice compositivo è raggiunto dai magnifici affreschi che decorano l’intero sviluppo della volta centrale. La Collegiata ospita al suo interno quadri, affreschi ed altri elementi artistici pregevoli, esposti alla venerazione dei fedeli ed all’attenzione dei turisti. Tra questi vale citare: Il Fonte Battesimale, sobria vasca in marmo del 1486, proviene dall’antico edificio sacro. Alla destra del fonte la tela della Natività, opera di Francesco Campora, risalente alla prima metà del XVIII secolo. Di particolare rilievo è anche il gruppo ligneo che rappresenta la presentazione di Gesù al Tempio ed in particolare la scena della madonna che presenta il Bambino a Simeone, databile tra il XVIII ed il XiX secolo. La Beata Vergine del Rosario è dipinto di interessante composizione, opera del serravallese Bernardo Montessoro, il quale nonostante fosse pittore non eccelso seppe conquistarsi un piccolo posto tra gli artisti piemontesi del XVII secolo. Il Martirio di Santo Stefano, opera attribuita al genovese Giovanni Andrea Carlone, si presenta come una tela di sicuro valore soprattutto per la notevole qualità e arditezza compositiva, risalente alla metà del XVII secolo. Segnaliamo anche il paliotto del reliquiario di San Centurio Martire, datato al XVIII secolo. Il crocifisso ligneo del Cristo morente, manufatto di scuola piemontese, del XVII secolo, per quanto rappresenti un opera di semplice artigianato locale, mostra caratteristiche iconografiche senza dubbio inconsuete: il colore brunito della figura del Cristo (quasi a rappresentare l’iconografia di un Cristo Moro); il Salvatore appare assicurato alla croce con quattro chiodi sulla croce, una scelta che appare curiosamente in contrasto con l’identità dei committenti Gesuiti, fedeli all’icona dei tre chiodi come richiama lo stesso stemma dell’ordine. La cappella della Madonna Addolorata (Patrona di Serravalle) è uno dei più significativi monumenti di arte sacra serravallese, costituito da un importante altare della fine del ‘600, intarsiato di marmi policromi, sormontato da due preziose colonne, il quale ospita l’ottocentesco gruppo ligneo dell’Addolorata (attorniata da quattro angeli, di cui uno sorregge la croce) che viene condotto in processione in occasione della festa patronale. L’organo troneggiante alla sommità dell’androne d’ingresso in posizione opposta all’altare maggiore, rappresenta uno degli ultimi strumenti realizzati dai maestri organari Serassi e probabilmente uno tra i migliori esempi della loro sopraffina arte, essenza del loro raro e geniale sapere famoso in tutto il mondo. Lo strumento si compone di 3 corpi distinti, il grand’organo, l’organo eco e l’organo tergale, che rappresenta una vera rarità, posizionato alle spalle dell’organista e rivolto verso l’interno della chiesa. Il poderoso telaio conta ben 3321 canne (moltissime per l’epoca della sua costruzione), per un numero assolutamente non comune di registri, ben 69. La voce è potente, brillante ed eccezionalmente ricca di espressione. Un organo tra i più antichi d’Italia e senz’altro tra i più grandi e complessi dell’epoca. Una vera opera d’arte, protetta dalla Soprintendenza artistica del Piemonte.
L’ORATORIO dei DISCIPLINATI dell’ASSUNTA e SANTA CROCE, comunemente detto dei “BIANCHI”, si affaccia sull’omonima piazza, alle porte del centro storico di Serravalle. Databile tra il XIII e il XIV secolo, rappresenta una delle più antiche testimonianze della presenza di istituzioni religiose nel nucleo originario del paese. L’Oratorio ospita il sodalizio religioso serravallese più antico, che sin dagli anni della restaurazione post-napoleonica ottenne definitivamente il diritto di celebrarvi messa. La chiesa conserva una serie di opere d’arte di sicuro interesse, tra le quali: il gruppo ligneo della Deposizione di Cristo (meglio noto ai fedeli Serravallesi con la denominazione “Il Compianto”), databile tra il XV ed il XVI secolo, rappresenta l’opera artistica più singolare del patrimonio artistico di Serravalle. Il complesso scultoreo, composta da 8 figure lignee, mostra di possedere una particolare forza espressiva che scaturisce realisticamente dall’umanità dei volti e dei gesti dei vari personaggi. Poche le certezze relative alla sua provenienza, mistero sul suo autore, tuttavia alcuni particolari del manufatto sembrano richiamare il complesso ligneo del Calvario, sito nella Basilica del Santissimo Crocifisso di Novi Ligure, con il quale appare porsi in un’ideale rapporto di continuità. La statua lignea dell’Assunta, ospitata dall’oratorio dal 1826, attribuita al Bartolomeo Carrea. L’opera è uno splendido esempio di grazia decorativa neoclassica ligure. Il grande gonfalone processionale dell’Assunta del genovese Nicolò Barabino costituisce una delle più alte espressioni dell’arte ligure del secondo ottocento. Il crocefisso del 1897 opera dell’abile intagliatore serravallese Giuseppe Bottino rappresenta un pregevole esempio dell’artigianato sacro tradizionale dei “Cristi”, impreziosito da fregi in argento sbalzato e lamine d’oro, per un peso complessivo di 82 chili. Interessante è il dipinto raffigurante Sant’Antonio che predica ai pesci, dipinto dell’artista locale Giovanni Battista Grillo e datato 1824. Infine è degna di menzione l’austera semplicità dell’altare maggiore, molto probabilmente proveniente dall’attiguo ex-convento agostiniano, ovvero l’attuale dismesso ospedale San Giuliano. Capolavoro in marmi policomi intarsiati venne fatto realizzare dai fedeli della Confraternita nel 1692 che organizzati in gruppo di preghiera, collaboravano con i frati. nel medaglione centrale della mensa è raffigurata la Madonna della Cintura, patrona dell’Ordine Agostiniano.
L’ORATORIO dei ROSSISERRAVALLE SCRIVIA_ORATORIO DEI ROSSI fu fondato nel 1532 dalla Confraternita di San Giovanni Battista e della Santissima Trinità, detta appunto dei Rossi, dal colore dell’abito vestito dai Confratelli, compagnia storicamente dedita alla preghiera ma in modo particolare all’assistenza dei pellegrini e dei carcerati. Il primitivo oratorio localizzato nei pressi del castello, forse al culmine dell’attuale via San Martino, sopra Via Tripoli, venne sostituito quale sede della Confraternita, nel 1727, dopo lavori di edificazione ex novo durati circa vent’anni. Si deduce dalla data incisa sul libro aperto, retto dalla statua dell‘Evangelista San Giovanni che si trova all’interno della chiesa. Oggi l’Oratorio ha il suo accesso pedonale da portale di Via Berthoud. L’Oratorio dei Rossi, nella sua semplice e sobria struttura architettonica, costituisce un singolare esempio di puro barocchetto genovese, libero dagli influssi architettonici lombardi o piemontesi, sebbene lo stile della facciata spiccatamente unitario e altri dettagli testimonino un larghissimo ricorso a capitelli e colonne di ordine dorico e altro materiale edilizio di pregevolissima fattura, proveniente da scavi dell’area archeologica dell’antica Libarna romana. Il valore stilistico dell’edificio è pertanto non trascurabile in un territorio come quello della Valle Scrivia, privo di una tradizione artistico architettonica propria e continuamente esposto ad influssi culturali provenienti dalle zone limitrofe. Rimarchevole il portale d’ingresso, per il quale sono state impiegate grandi colonne di ordine dorico, provenienti da Libarna. Il tempio ospita interessanti manufatti di artigianato sacro (cappe, tabarrini, broccati, velluti, filigrane in argento) sopravvissuti alle requisizioni e alla soppressione delle confraternite del 1811 ed opere d’arte “maggiore” di scuola genovese, tra i quali si ricordino: il gruppo ligneo processionale policromo della Trinità e San Giovanni Battista, opera di grandi dimensioni, che si presenta complessa ed elaborata nell’apparato scenico e nell’architettura. Manufatto risalente al XVIII secolo, venne originariamente attribuito a Luigi e Francesco Montecucco (affermati artigiani in Gavi, ma serravallesi della Crenna), ma recentemente è stato riconosciuto a firma dello scultore Luigi Fasce; la Sacra Famiglia con San Giovannino, dipinto di scuola genovese, databile tra il 660 ed il 700, assai vivo nei particolari e nell’interpretazione compositiva che si ritiene riconducibile al pittore genovese Valerio Castello oppure a suoi allievi; il baldacchino dell’altare maggiore, in legno policromo, risalente al secolo XVII ed il coevo bel crocifisso ligneo, conservato nelle austere sale della sagrestia dell’Oratorio; la tela ad olio raffigurante la Sacra Famiglia con San Giovannino, opera di scuola genovese databile tra il 600 ed il 700, opera attribuita a Valerio Castello. Interessante il dipinto di San Carlo e San Francesco da Paola, dipinto del XVIII secolo. Visibili solo durante le solenni processioni, di pregio artistico sono anche i tabarrini delle cappe, i broccati e gli argenti liturgici, in uso alla Confraternita.
Nel cuore del centro storico cittadino, lungo Via Berthoud, la principale strada che attraversa per intero il nucleo originario dell’abitato di Serravalle, sorge PALAZZO GRILLO, nobile dimora di origini seicentesche. Accanto si trova l’immobile dell'”EX CAFFE’ ROMA”. Gli stabili sono stati recentemente acquistati dal Comune di Serravalle Scrivia, che in attuazione di un più ampio progetto di recupero e riqualificazione, immobiliare ed urbana, di valorizzazione del centro storico sta portando avanti importanti lavori finalizzati alla loro ristrutturazione completa e pieno riuso.
Di pregio architettonico è VILLA CAFFARENA, storica dimora signorile, situata nel verde del Parco Pubblico Comunale. Nello stesso edificio, sede della Biblioteca Civica “Roberto Allegri”, si può ammirare la collezione d’Arte informale della PINACOTECA COMUNALE.
Infine è da visitare la SALA ESPOSITIVA ARCHEOLOGICA presso il Palazzo Municipale di Serravalle Scrivia, Via Berthoud 49, piano terra dedicata ai reperti provenienti dall’antica città romana di Libarna. I reperti archeologici sono in parte conservati in collezioni private ed in parte custoditi presso il Museo di Antichità di Torino e il Museo di Archeologia Ligure di Genova Pegli. Soltanto alcuni reperti sono rimasti a Serravalle Scrivia. Una visita a questo spazio espositivo si rivela di grande interesse per chi abbia visitato la zona archeologica e voglia arricchire la sua conoscenza della vita quotidiana nell’antica città romana: i frammenti architettonici consentono infatti di SERRAVALLE SCRIVIA_SCORCIO DALLO SCRIVIAfigurarsi gli edifici di cui si sono conservati i resti completi del loro apparato decorativo, la fontana di riflettere sul ruolo fondamentale che l’acqua doveva avere nel II secolo d.C. e gli oggetti d’uso quali vasellame da mensa e lucerne di immaginare come doveva essere la vita di ogni giorno in quel tempo lontano. Le vetrine della prima parte della sala contengono i circa sessanta pezzi della collezione raccolta dal canonico novese Giovanni Francesco Capurro e oggi proprietà dell’Accademia Filarmonica Artistico Letteraria di Novi Ligure, concessi in comodato d’uso al Comune di Serravalle Scrivia, il quale dopo averli restaurati ne ha curato l’allestimento. La Collezione raccoglie materiali di pregio, databili ai primi secoli dell’Impero, testimoni della ricchezza della città romana di Libarna. Di notevole interesse, tra i reperti proposti al visitatore, si segnalano la grande epigrafe dello scrivano Catius Martialis, datata al II secolo d.C., e la parte centrale di un pinax: il termine, che deriva dal greco πίναξ, che significa tavoletta dipinta, appesa come ex voto alle statue delle divinità, alle pareti dei santuari o agli alberi sacri, indica una lastra di marmo decorata su un lato con la testa di Pan e sull’altro con quella della Gorgone. Insieme ai numerosi frammenti lapidei e fittili di capitelli, fregi decorativi, cornici e partiture architettoniche sono esposte anche due anfore integre e un’ansa contrassegnata da un bollo ancora non identificato. Nella seconda parte della sala trovano posto i reperti di proprietà Statale, concessi in deposito temporaneo, dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte, al Comune di Serravalle Scrivia. Nelle vetrine sono esposti alcuni esempi di vasellame da mensa in ceramica, lucerne fittili, una fontana decorata con motivi marini e due piccole erme. Notevole è poi il frammento di pavimentazione in opus sectile realizzato nel II secolo d.C., con pregiati materiali marmorei: l’emblema costituiva certamente la decorazione della parte centrale di una raffinata sala. Nella visita allo spazio espositivo, l’ospite è accompagnato da una serie di pannelli informativi e tavole illustrate, relative alla descrizione dei reperti esposti ed alla vita quotidiana degli antichi abitanti di Libarna. Un viaggio reso ancora più coinvolgente da una suggestiva illuminazione delle sale e delle teche, e dalla audiodiffusione dei “suoni” senza tempo dell’antica città. Lo spazio espositivo è visitabile in orario apertura uffici comunali o su prenotazione. Ingresso gratuito. Per informazioni rivolgersi alla Biblioteca Comunale.

Lasciamo alle spalle Serravalle e ritornando verso Arquata incontriamo l’ultima tappa di questo nostro GiroVagare… la tanto citata

LIBARNA

città romana della Liguria, sulla riva sinistra dello Scrivia, sul tratto della via PostumiaLIBARNA_ABITAZIONI tra Genua e Dertona. Oggi il centro abitato è una frazione di Serravalle Scrivia.
Nascita di una città: Storia di Libarna
L’origine del popolamento della piana di Libarna risale alla media età del Ferro (VI-V secolo a.C.), quando la creazione di un emporio etrusco a Genova nella prima metà del VI secolo a.C. attiva lungo la valle della Scrivia una direttrice commerciale verso la pianura padana e le aree transalpine. A controllo del percorso, sulla collina del castello sorge un villaggio di Liguri, attivo ancora nella seconda età del Ferro (III-II secolo a.C.); l’area dei sepolcreti si estendeva in pianura lungo il rio della Pieve. L’importanza dell’insediamento protostorico è confermata dall’origine preromana del nome (Libarna) della città romana, che compare in alcune fonti antiche, quali Plinio, l’Itinerarium Antonini e la Tabula Peutingeriana; del centro preromano essa eredita il ruolo e la funzione di punto strategico lungo una grande arteria di traffico (via Postumia). Il collegamento con la grande strada consolare è all’origine dello sviluppo di Libarna, centro con connotazioni commerciali e di transito funzionali alla sosta di persone e di merci lungo la via che collegava Genova ad Aquileia. Tra il II ed il I secolo a.C., l’apertura della via Postumia (148 a.C.) e la concessione della cittadinanza, prima latina e poi romana, favorirono l’attuazione di una pianificazione urbanistica programmata, le cui tracce sono evidenti nel reticolato dell’impianto urbano, che segue l’orientamento della via consolare. Le prime testimonianze archeologiche dall’area urbana di Libarna sono databili tra la metà e la fine del I secolo a.C. Le strutture attualmente visibili nell’area archeologica permettono di leggere l’articolazione topografica della città con particolare riferimento all’età romana imperiale (I-IV secolo d.C.), testimoniando il momento di massimo splendore di Libarna che, come ricordano le fonti, era una città ricca, densamente abitata e frequentata da coloro che percorrevano la via Postumia. Le dimensioni e le caratteristiche degli edifici pubblici e privati delineano l’immagine di una città di notevoli dimensioni e di rilevante densità demografica. I reperti rinvenuti nel corso degli scavi testimoniano un consistente flusso economico e commerciale nel corso dei primi secoli dell’impero e un indebolimento dei commerci a partire dal III secolo d.C. Caduta in declino in seguito alle invasioni barbariche, fu definitivamente abbandonata nel 452 del V secolo, quando gli abitanti lasciarono le case ormai insicure, rifugiandosi sulle colline circostanti, aggregandosi alle comunità esistenti o fondandone di nuove, quali Precipiano, Serravalle e Arquata. La fiorente città sembra quindi perdere progressivamente importanza in età tardo antica, parallelamente al declino della via Postumia, anche se una continuità di insediamento è documentata nell’alto medioevo nell’area del rio della Pieve da sepolture a inumazione (VII-VIII secolo), da resti di arredo liturgico (seconda metà VIII secolo), provenienti dall’antica chiesa plebana, e da una fornace per ceramica (IX-X secolo). Identificata dal Settecento con varie località del bobbiese e del tortonese, solo nel secolo XIX, in corrispondenza dell’affiorare alla luce dei resti, grazie all’opera dell’abate Bottazzi, veniva accertato il suo inquadramento storico-topografico. Libarna era un capoluogo autonomo di un vasto territorio che confinava a est con Velleia, a sud con Genua, a ovest con Aquae Statiellae e a nord con Derthona. Situata in una zona particolarmente fertile, l’economia agricola era fondata sulla viticoltura, sulle colture arboricole per lo sfruttamento del legno, sull’allevamento del bestiame. Tra le altre attività vi troviamo la produzione della ceramica e l’industria laterizia. Grazie alla posizione geografica costituiva inoltre un importante nodo commerciale. Pur mancando notizie certe sull’esistenza di edifici di culto nella città, dalle iscrizioni votive ritrovate si desume che i cittadini di Libarna erano devoti a Giove, Diana ed Ercole. Attestato anche il culto imperiale. Situata in una zona particolarmente fertile, l’economia agricola era fondata sulla viticoltura, sulle colture arboricole per lo sfruttamento del legno, sull’allevamento del bestiame. Tra le altre attività vi troviamo la produzione della ceramica e l’industria laterizia.

Gli Scavi
La scoperta dell’antica città fu casuale, grazie all’affioramento di reperti, durante i lavori della cosiddetta strada regia destinata a collegare Genova, da poco entrata nel Regno di Sardegna, con la capitale Torino, a partire dal 1820. Sono stati riportati alla luce due quartieri in prossimità dell’anfiteatro, di 60x65m di lato, l’anfiteatro e il teatro. I reperti di scavo sono per la maggior parte conservati nel Museo di Antichità di Torino, dove figurano tra le opere di maggior pregio, pavimenti musivi, marmi, bronzi e ambre figurate. La città sorgeva su un terreno pianeggiante, ricco di acque, circondato da colline. Era attraversata in senso longitudinale dalla via Postumia, che ne costituiva il principale asse da Nord-Ovest a Sud-Est. Altro asse principale era il decumano che, orientato da Sud-Ovest a Nord-Est, conduceva all’anfiteatro. Le strade dividevano la città in tanti spazi di forma tendenzialmente quadrata, ma di dimensioni differenti. Esse erano lastricate, rettilinee con collettori di scarico convogliati verso l’odierno Rio della Pieve. La città riceveva acqua tramite un acquedotto, era ricca di sorgenti, pozzi e fontane. Nel punto di incontro tra le due principali vie, sorgeva il foro, grande piazza lastricata su cui sorgevano portici ed edifici, ed è stato, finora, solo parzialmente esplorato. Le terme erano situate nell’estremo settore Nord-Est e verso il limite settentrionale sorgeva il teatro. L’attuale area archeologica rappresenta una piccola parte dell’antica città, che occupava una superficie molto più estesa. Sono visibili l’anfiteatro, il teatro, due quartieri di abitazioni e alcune strade urbane, mentre le terme e il foro dopo gli scavi archeologici sono stati reinterrati. Le terme, ubicate tra il quartiere dell’anfiteatro e il teatro occupavano la superficie di quattro isolati; il foro si trovava invece al di fuori dell’attuale perimetro dell’area archeologica, lungo il decumano massimo in direzione opposta all’anfiteatro.

La struttura
Tipica urbs romana con isolati racchiusi tra cardines e decumani, cioè tra due ordini di vie parallele, le une orientate in direzione N-S, le altre in direzione 0-E, intersecantisi ad angolo retto, anche se nel caso particolare di Libarna l’orientamento proprio delle strade risulta sfasato dall’essere tutto l’agglomerato urbano volto in direzione NO-SE, per cui l’indicazione delle strade come cardines e decumani è più convenzionale che legittima. Alla lincarità della rete viaria si univa la regolarità della dislocazione degli impianti pubblici che vedevano il foro in posizione centrale, nella zona ora a monte della statale per Genova, tagliato dalla zona degli scavi da questa e dalle reti ferroviarie, all’incrocio tra la via Postumia, che attraversava l’urbs, ed il decumano massimo, il quale sfociava ad 0 nell’anfiteatro, come le terme ed il teatro in zona N, posto ai margini dell’abitato.

LIBARNA_ANFITEATROL’anfiteatro
La costruzione dell’anfiteatro di Libarna è databile intorno alla metà del I secolo d.C., mentre le ultime fasi di vita si collocano nella prima metà del IV secolo d.C. L’edificio non sorgeva in area extra-urbana, come nella maggior parte delle città romane, ma al limite orientale dell’impianto urbano, risultando contemporaneamente inserito all’interno dello schema topografico, in asse con il decumano massimo e con il foro. La cavea poggiava su un terrapieno di riporto, ottenuto dallo scavo dell’arena e sorretto da muri di contenimento radiali. L’accesso ai vari ordini di posti avveniva tramite corridoi di accesso (vomitoria) escale, dei quali sono visibili le fondazioni murarie. L’arena (66,40 x 38,20 metri) era delimitata dal podio, alto circa due metri, che poggiava su uno zoccolo in arenaria ed era rivestito da lastre di marmo. In corrispondenza degli assi dell’ellisse si aprivano i quattro accessi all’arena, in alcuni dei quali sono ancora visibili i gradoni in pietra. Sotto l’arena erano stati ricavati gli ambulacri e i vani ipogei, coperti da volte a botte, elementi peculiari dell’anfiteatro di Libarna. Caratteristica è la forma dell’ambiente centrale, costituito da una grande sala con esedre.
L’anfiteatro di Libarna occupava lo spazio di due isolati ed era inserito all’interno di una piazza recintata (platea), quasi tangente all’edificio sui lati lunghi; si ipotizza che il lato settentrionale, dotato di portici, fosse aperto per collegare la piazza con le terme. La muratura perimetrale era scandita sul lato esterno da lesene, mentre il cornicione e le basi delle colonne erano in arenaria. L’accesso avveniva sul lato occidentale, in corrispondenza del decumano massimo, attraverso una porta monumentale che si suppone incorniciata da colonne corinzie. La facciata dell’edificio non aveva un ambulacro esterno porticato e si sviluppava in due ordini, per un’altezza di oltre 9 metri. La cavea era suddivisa in due ordini di posti, costituiti da undici gradinate in arenaria per posti a sedere e da un loggiato per i posti in piedi, coperto da un tetto a doppio spiovente. Il podio e il muro che delimitavano l’arena erano lastricati in marmo bianco, come dimostrano i frammenti di lastroni superstiti. In base ai rapporti dimensionali tra lo sviluppo dell’edificio e l’altezza dei gradoni, è stata ipotizzata una capienza di oltre 7.000 spettatori. Come nelle altre città romane, a Libarna nell’anfiteatro si svolgevano ludi gladiatori, raffigurati anche su una lastra decorata di piombo ritrovata nella vicina Arquata Scrivia, che attiravano spettatori dalle campagne e dalle valli circostanti.

Gli isolati del quartiere dell’anfiteatro
La cronologia degli isolati del quartiere dell’anfiteatro è compresa tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del IV secolo d.C., periodo durante il quale le abitazioni subiscono diversi interventi che in parte modificano la planimetria e l’articolazione interna degli ambienti. All’impianto originario (fine I secolo a.C.) degli isolati libarnesi, dopo la costruzione dell’anfiteatro, a partire dalla seconda metà del I secolo d.C., seguono diverse fasi di ristrutturazione durante le quali le abitazioni (domus) di maggiori dimensioni sono frazionate in più unità abitative e vengono arricchite da nuovi mosaici di notevole livello estetico ed esecutivo. In molte case si aprono delle botteghe (tabernae), indizio di un nuovo impulso commerciale e produttivo di questo quartiere della città. I due isolati del quartiere dell’anfiteatro, a pianta pressoché quadrata (61 x 59,20 metri) e separati dal passaggio del decumano massimo, documentano differenti tipologie di domus: ad atrio, ad atrio e peristilio e a cortile. Un esempio dell’elevato livello di finitura delle abitazioni edificate a Libarna è fornito dal mosaico del triclinium (seconda metà del II secolo d.C.), presente nel primo isolato, oggi riposizionato nella sua sede originaria dopo un complesso intervento di restauro. Definito da due fasce a tessere di colore nero, è composto da una scena figurata compresa tra due tappeti a decorazione geometrica. La scena centrale, policroma, rappresenta il mito di Licurgo e Ambrosia, chiaro riferimento simbolico alla funzione del triclinio: la ninfa, aggredita da Licurgo, viene salvata da Dioniso che la trasforma in vite, i cui tralci soffocheranno il re. La raffigurazione è incorniciata da un motivo a treccia che delimita anche la parte superiore del mosaico, in tessere policrome, che presenta una complessa decorazione geometrica organizzata intorno ad un tondo centrale, collegato ad esagoni a lati curvilinei e a stelle a quattro punte ogivali. La parte inferiore del mosaico, a tessere bianche e nere, è costituita da motivi a quadrati e triangoli organizzati in fasce verticali alternate e intersecantesi. Il mosaico è di notevole qualità, realizzato con tessere molto piccole che permettono una resa precisa dei particolari e della modulazione cromatica. Si trattava quindi di una decorazione di pregio destinata ad arricchire il triclinium della grande domus ad atrio e peristilio.

Il teatro
La costruzione del teatro di Libarna è databile approssimativamente al I secolo d.C. PostoLIBARNA_TEATRO nel settore settentrionale della città, l’edificio era caratterizzato da una posizione e da una struttura architettonica che permettevano una resa acustica ottimale. L’ambulacro porticato esterno era costituito da 22 arcate con basi in arenaria su cui poggiavano i pilastri. All’interno si aprivano l’ingresso principale, in linea con l’orchestra, e 6 ingressi laterali, 4 in corrispondenza dei corridoi di accesso che conducevano alle gradinate del secondo ordine di posti (vomitoria) e 2 ai lati dell’ingresso principale, che si allargava centralmente, creando uno spazio circolare. Caratteristica del teatro di Libarna sono la cavea e l’orchestra, che presentano dimensioni leggermente maggiori rispetto a quelle canoniche, e i corridoi d’ingresso laterali (parodoi), che si restringono. Le fondazioni della scena sono visibili in tutte le componenti originarie. Si notano i fori di alloggiamento dei meccanismi di movimento del sipario e un sostegno, ancora in situ, di uno dei travi che sostenevano l’impalcato. Il portico, che si sviluppava dietro la scena (porticus post-scaenam) ed era destinato al passeggio degli spettatori, è stato obliterato dalla costruzione dei binari ferroviari. Sono visibili resti delle fondazioni in corrispondenza del settore meridionale della struttura. La struttura dell’edificio, costruito in parte su un terrapieno di riporto, era costituita da una muratura a sacco, rivestita da un paramento murario di tipologie differenti. L’elevato era presumibilmente da un duplice ordine architettonico, per un’altezza di circa 15 metri. Nel corso degli scavi sono stati rinvenuti elementi architettonici decorativi, marmi preziosi di rivestimento e intonaci dipinti, che fanno supporre un elevato livello artistico dell’edificio. La cavea, sormontata dal settore di galleria, era suddivisa in ventisei file di gradoni, ripartiti in due ordini di posti. La scena, di altezza pari a quella della cavea per ottenere una resa acustica ottimale, doveva essere costituita da vari ordini di colonne e decorata da marmi pregiati, rinvenuti in grande quantità nei pressi dell’edificio. Il portico aveva un’ampiezza di 7 metri ed era intervallato da esedre. Gli spazi colonnati adiacenti alla scena avevano la funzione di riparo per gli spettatori e il giardino centrale, decorato da piante ed alberi, aveva al centro uno spazio pavimentato a ciottoli, forse la base di una fontana, come si riscontra di frequente nei teatri romani. In base alle dimensioni calcolate è ipotizzabile una capienza di circa 3.800 spettatori. Il teatro di Libarna sottolinea l’elevato livello culturale della vita pubblica cittadina, essendo destinato alla rappresentazione di tragedie, spettacoli di mimi e commedie, che tanto appassionavano benestanti e popolani.

Le strade urbane
I due assi principali erano il cardine massimo (cardo maximus) con orientamento nord-sud e il decumano massimo (decumanus maximus), orientato in senso est-ovest, affiancati parallelamente da cardini e decumani minori. Il tracciato del cardine massimo coincideva con ogni probabilità con il tratto urbano della via Postumia. L’ampiezza e la pavimentazione della carreggiata variavano in relazione all’importanza della strada. I due assi principali erano molto ampi (circa 14 metri il cardine massimo e 10 metri il decumano massimo); la larghezza delle vie secondarie era compresa tra 9 e 5 metri. Le strade principali, destinate anche al traffico pesante, eranolastricate con basoli, le altre rivestite con ciottoli; la sede stradale era lievemente convessa. Generalmente dotate di marciapiedi, le strade erano talvolta fiancheggiate da canalette per far defluire l’acqua piovana. In alcuni casi sulla carreggiata sono ancora visibili i solchi lasciati dal passaggio dei carri. Lungo le strade urbane erano disposti pozzi e fontane ad uso pubblico, latrine ed edicole votive, dei quali si sono trovate numerose testimonianze all’interno dell’area archeologica.

Il decumano massimo
Come in ogni città romana, il decumanus maximus era anche a Libarna l’asse stradale principale che, insieme al cardine massimo, costituiva l’ossatura centrale della rete viaria urbana. La strada collegava l’anfiteatro con il foro, fulcro della vita sociale e religiosa cittadina, nel punto di incontro con il cardine massimo. Ampio circa 10 metri, il decumano era lastricato in basoli di pietra e dotato di marciapiedi. Lungo questo tratto del decumano, che attraversava gli isolati del quartiere dell’anfiteatro, si aprivano alcuni ingressi di abitazioni e di botteghe.

L’acquedotto
L’approvvigionamento idrico della città fu inizialmente garantito da un sistema di pozzi e di fontane, che sono stati messi in luce durante gli scavi archeologici effettuati nell’abitato di Libarna anche se attualmente non sono tutti visibili. Successivamente, per l’espansione della città e la costruzione di edifici pubblici, quali il teatro e l’anfiteatro, l’approvvigionamento garantito dai pozzi non dovette essere più sufficiente e si avviò la costruzione di un acquedotto che, dalla valle del rio Borlasca, seguendo la valle Scrivia, portava acqua in città. La localizzazione della presa in terreno collinare, la necessità di attraversare numerose valli laterali e il percorso in pianura hanno certamente imposto ai costruttori la soluzione di numerosi problemi tecnici, superati grazie all’abilità costruttiva dei Romani che dimostrarono una completa, anche se empirica, padronanza dei principi fondamentali dell’idraulica. L’acquedotto di Libarnapresenta uno dei più lunghi tracciati in Piemonte e per la morfologia del terreno e l’ubicazione delle sorgenti riveste notevole interesse come opera di ingegneria idraulica. Dalla presa, probabilmente ubicata nella vallata del rio Borlasca, in località Pietra Bissara, un’area ricchissima di sorgenti, il condotto iniziava il suo percorso discendente costeggiando la parete montuosa sino al torrente Scrivia, da dove, seguendo sulla sponda sinistra del fiume la conformazione del terreno, giungeva a Libarna. Numerosi autori ricordano nei loro scritti il rinvenimento di elementi della struttura del condotto che hanno consentito di ipotizzare con un certo margine di approssimazione il tracciato dell’acquedotto. L’acqua era un bene considerato di proprietà dello stato e come tale destinato, in primo luogo, ad un utilizzo pubblico: tale utilizzo si realizzava principalmente negli impianti termali e nelle fontane pubbliche, apprestamenti messi tradizionalmente a disposizione dell’intera cittadinanza, che ne poteva fruire liberamente e a titolo del tutto gratuito. In età repubblicana, solamente l’acqua in eccedenza sulle necessità pubbliche veniva destinata all’impiego da parte dei privati. Di solito soltanto le abitazioni appartenenti agli esponenti dei ceti più ricchi erano dotate di impianti di acqua corrente: i cittadini comuni si rifornivano invece presso le fontane pubbliche, la cui presenza costituiva una nota caratteristica e ricorrente nel panorama cittadino.

Area Archeologica di Libarna
Serravalle Scrivia, frazione Libarna, via Arquata 63
Tutela e Competenza: Soprintendenza per i Beni Archeologici del Piemonte e del Museo Antichità Egizie, Piazza San Giovanni 2, Torino, Tel. 0115214069, Fax 0115213145
Orari di Visita: Lunedì: Chiuso; Martedì, Mercoledì, Giovedì e Venerdì: 9-12 (Visite Individuali e Gruppi con Prenotazione); Sabato e Domenica: 10-16 (Visite Individuali. Per quanto riguarda la visita di Gruppi si potrà verificare caso per caso al momento dell’eventuale richiesta)
Per prenotazioni: Biblioteca Comunale di Serravalle Scrivia Piazza Carducci 4, Tel. 0143633627, 0143634166, Fax. 0143686472
Eccoci ai consigli enogastronomici

PorciniFunghi porcini, tartufi, formaggi, miele, castagne, vini sono alcuni dei prodotti tipici di quest’area.
Tra i vini ricordiamo il Timorasso (zona Val Borbera) e il Gavi (Serravalle Scrivia).
Da non scordare di assaggiare: i canestrelli di Arquata, le fagiolane, il formaggio Montebore, gli amaretti di Vignole gli Scianconi Dolci tipici stazzanesi.

Miti e leggende locali
STAZZANO
L’Omu du Sassu
La tradizione orale narra che all’inizio del Novecento, tra le rocce tufacee sulla strada che porta all’Albergo Vecchio, viveva un uomo che tutti chiamavano “l’omu du sassu”. Si dice che quest’uomo vivesse in una caverna scavata nel tufo, lavorasse eseguendo servizi manuali come tagliare legna e spaccare pietre e che, nonostante fosse magro e denutrito, disponesse di una misteriosa forza straordinara che gli permetteva di portare ogni giorno, a Novi Ligure, a piedi, un quintale di legna tagliata. Pare anche che chiunque osasse ostacolare il suo cammino venisse, da lui, rudemente malmenato.

La Strega Ciugheina
Si dice che in paese visse una strega chiamata Ciugheina, la cui stregoneria era maligna e consisteva in provocare la morte delle persone. Si narra che non potendo avere figli, per vendetta contro il fato, uccise anche dei bambini ponendovi la mano sulla testa e pronunciando alle madri la formula: “come me, anche tu non avrai la gioia di crescere questo bambino”. Ai novant´anni, con la salute in stato grave, benché moribonda, non le riusciva di spirare. Era condannata infatti a pagare per le sue malefatte soffrendo senza trovare pace. Una notte bussó alla chiesa in cerca di perdono, i vecchi del paese dopo averla udita e perdonata dissero che era necessario scoperchiare il tetto della sua casa perché perisse. Una volta scoperchiato la strega riuscì a morire.
Principali fonti:
Siti istituzionali dei singoli Comuni
http://www.alessandriaturismopiemonte.it/ (Provincia di Alessandria)
wikipedia
eventuali siti dei singoli monumenti
http://www.prolocogrondona.org/index.html