Avarizia pentita [Alessandria perduta]

print

Boccassi 1di Ugo Boccassi

Non c’è, nella nostra storia, traccia di un Avaro alla Molière, di un dickensiano Uncle Scrooge e nemmeno del suo omonimo disneyano Zio Paperone. Tuttalpiù qualche piccolo, ignoto, epigono perduto nei tempi della quotidianità e non degno di nota.

Si potrebbe azzardare che le nostre ascendenze “liguri-statielliche” siano potenziali cause di una congenita diffusa taccagneria e, pensandoci bene, la cosa non è lontana dalla realtà. Infatti, noi siamo stati molto pitocchi con la nostra storia, l’abbiamo nascosta così bene, l’abbiamo distrutta, l’abbiamo vituperata in modo tale che oggi (fine di tutti gli spilorci) siamo rimasti con un pugno
di mosche liofilizzate in mano. Ma capisco che la curiosità non si nutre di vaga genericità, oltretutto con concetti forse solo da me condivisi. Quando avevo ormai perduto ogni speranza nelle mie ricerche, un nome, che sembra quasi un’esclamazione, mi è balzato nella mente: Gimaca!

“Gimaca, chi era costui?” – direbbe Don Abbondio. Io invece lo so e vi dico che era talGimaca Pietro Cavanna e quello era il suo soprannome, diventato sinonimo, nella parlata gergale mandrogna, di avaraccio e strozzino.
Dopo aver fatto il muratore da ragazzo, capì che quella non era la strada per arricchirsi e si dedicò a traffici non sempre limpidi. Siamo alla fine dell’Ottocento. Come abbia fatto non si sa, ma è certo che in breve riuscì ad accumulare molto denaro. Trasandato nel vestire, non amava quindi l’ostentazione del suo benessere. Sempre cupo e solitario, il suo unico pensiero era solo di accumulare ricchezza in unica forma: carta moneta! Il suo patrimonio, costantemente, era nutrito anche con prestiti ad usura.

Nel 1902, si diceva ammontasse a più di mezzo milione. Però, proprio in quell’anno, fu colpito da una paralisi che doveva portarlo in breve alla morte. Conscio del suo stato di agonia, ebbe paura forse della dannazione dell’Inferno e, Papè Satàn Papè Satàn Aleppe, temette di dover spingere enormi massi per tutta l’eternità. Volle quindi, negli ultimi istanti, redimersi, lasciando tutte le sue sostanze al Ricovero di mendicità con la preghiera, però, che gli fosse eretta, ovviamente a sue spese, una statua. Questa scultura è oggi in bella vista nel giardino della Casa di Soggiorno Borsalino, in corso Lamarmora. Sul basamento si legge questa iscrizione: “Sia lieve la terra al povero Pietro Cavanna: ed il bene che ridonderà i miseri delle sostanze che egli lascia in questo mondo, valga ad acquistargli presso l’Altissimo, il perdono dei suoi peccati e dargli pace eterna”.

Curiosità: Gimaca, trasformato in Gimoka, fu, non solo per assonanza, il soprannome del giocatore grigio ungherese Simoka, una atleta che giocava un po’ …al risparmio.