Il senso della vita e delle parole [Il Superstite 199]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

(su Giorgio Faletti e gli altri)

Vorrei in qualche modo svincolarmi dalla richiesta dell’amico, direttore di questa testata, Ettore Grassano che mi ha chiesto un “coccodrillo” alla mia maniera su Giorgio Faletti. Intanto perché questa rubrica è coccodrillo sin dal titolo e alla mia età, la stessa anagrafe di Faletti, molte e troppe amicizie mi precedono, anzitempo, nell’ultimo incontro con l’inevitabile destino di ciascuno e saturarne il lettore oltre il dovuto alla lunga diventa pesante.

Capisco Ettore che certo si ricorda di un mio report puramente verbale del 2003 a proposito di una cena con Faletti, la sua compagna Roberta e il comune amico Piergiorgio Nicolazzini. Accadeva la sera del 24 settembre durante il festival di letteratura astigiano Chiaroscuro, e di quella circostanza mi restano due vividi flash ancora in grado di strapparmi il sorriso: una surreale discussione su David Lynch, noto regista americano sul quale le nostre divergenze erano totali, e un fulminante botta e risposta, all’insegna della risata, con un vicino tavolo al quale stavano cenando tre o quattro finanzieri. Non ricordo bene se Faletti li avesse riconosciuti o se il primo approccio fosse stato il loro, fatto sta che lui sfoderò quattro o cinque meravigliose barzellette che vedevano protagonisti proprio dei finanzieri. Barzellette tipo quelle sui carabinieri, capiamoci. E va da sé che ne rimasi colpito. Pure loro, devo dire.

Ma qui m’interrompo perché è l’unico ricordo diretto che ho di lui, a parte i suoiFaletti destino libri che ho letto e  apprezzato. M’interrompo perché intanto sono già apparsi scritti meravigliosi sull’uomo, l’artista e la sua opera. E m’interrompo non mancando di citare, anche, lo sconcerto suscitato da certi, incomprensibili post apparsi in rete e su Facebook dopo la sua morte. La pochezza umana di questo momento storico a volte è a dir poco avvilente. E non merita neppure prestarvi attenzione.

Invece proseguo su un altro binario per un’ulteriore considerazione che forse Faletti approverebbe. In questi giorni, oscuri e tristi nonostante l’afa, se ne sono anche andati in rapidissima e ammutolente successione Don Walter Fiocchi, il figlio, trentottenne, di un’amica carissima e un mio fornitore, collaboratore di Novi Ligure. Quattro decessi accomunati dall’identica causa di morte. Scrivo identica, ma è speculare.
E allora, gente, non solo bisogna porsi delle domande. Ma occorre pure tentare di darsi delle risposte. Serve – non so bene come, ma bisogna farlo – cambiare marcia, stile e stili di vita, rapportarsi all’ambiente dal quale siamo circondati in modo antitetico a quello tenuto sinora e rompere le palle, ma sul serio, a quell’esausto mondo della politica che di tutto si occupa (o fa finta) ma ben si tiene lontano dai reali problemi della salute pubblica (sto ancora aspettando di conoscere il politico che scelga come missione di risolvere una volta per tutte il problema dell’amianto – causa di centinaia di morti premature ogni anno in tutta Italia…).

Perché le Terre dei Fuochi non stanno, in modo grottescamente consolatorio, solo al Sud come qualcuno s’illude. Qui – in Piemonte e in provincia di Alessandria – bisognerebbe  cominciare a elencare, da Casale alla Fraschetta, dalla Val Bormida ad Arquata Scrivia, le nostre zone più che critiche e metterle in relazione con le troppe morti anzitempo: un terribile esercizio di statistica che i manipolatori del reale occultano dietro facciate di demenziale e stordente retorica.
Molti anziani “superstiti” spesso li senti commentare così: «Adesso si muore solo per una ragione. Quel nome di malattia che la gente neppure pronuncia. Una volta non era così.»

Quanti chilometri quadrati di inquinamento separano il presente (qui e adesso) da “una volta”? Quante tonnellate di “civiltà residua” interrata affinché non la si possa vedere, pensando così che non esista?

La letteratura di Giorgio Faletti non era soltanto puro intrattenimento. Se si leggono, e neppure fra le righe, splendidi titoli come Fuori da un evidente destino e Io sono Dio, ce ne rendiamo conto senza sforzarci. Possiamo celebrare l’uomo e l’artista nonché compiangerne la prematura scomparsa anche “denunciando”. Non servirà a quasi nulla sul piano pratico. Ma tra il silenzio e la parola scelgo ancora quest’ultima.