Franco Rangone: “Ho cantato ovunque, ma alla fine sono sempre tornato ad Alessandria”

rangone_01In America uno come lui lo definirebbero Larger than life, più grande della vita. Come a dire che uno così difficilmente riesci a “trattenerlo” e a definirlo in una sola intervista.

E allora, per raccontare la lunga storia di Franco Rangone, cantante confidenziale o, come lui stesso ama definirsi, crooner, partiamo con lieve ironia dall’oggi. Dandogli rigorosamente del tu, tanta è la familiarità e la simpatia che il personaggio suggeriscono.

Franco, qualcuno ci ha detto che fai parte del famoso Club della Prostata, che tra l’altro vanta soci illustri…
[sorride] Questa del Club della Prostata è una invenzione dell’irrefrenabile Ugo Boccassi, che ha sempre voglia di scherzare. In realtà siamo un gruppo di amici che si ritrovano tutte le mattine, dalle 10 alle 12, al bar Tazza d’Oro di Giorgio Pagella. E se qualcuno arriva in ritardo, gli altri lo prendono bonariamente in giro. Capita anche a me, quando arrivo oltre l’orario canonico perché ho da fare delle commissioni…

rangone_boccassiTorniamo alle origini. Franco Rangone, classe millenovecento…?
Sono nato nel 1940! La mia è una classe di ferro, senza dubbio. Artisticamente parlando sono nato, diciamo così, all’età di 4 anni, quando mio padre, che aveva fatto da maestro anche a Gianni Coscia, mi insegnò ad “abbracciare” la fisarmonica. Me la mise sulle ginocchia, insomma… Ero così piccolo che non vedevo nemmeno i tasti, e allora suonavo i bassi, canticchiando un po’.

Eri già portato per le sette note, dunque…
Sì, ed ero anche un tipo “da compagnia”. Quando da bambino andavo alla colonia Borsalino (ci sono andato per cinque anni, dal 1947 al 1951) mi chiamavano Ridolini, tanto ero simpatico e allegro.

La musica era sempre nei tuoi pensieri?
Sì, ma non la studiavo seriamente. Mi sentivo attratto dalla ritmica, dal contrabbasso e dalla batteria. E piano piano mi avvicinavo anche al pubblico, esibendomi ogni tanto in qualche circolo parrocchiale.

rangone_04A scuola come te la cavavi?
Dopo le Tecniche, le scuole di allora, invece di andare come i miei compagni a fare Ragioneria, mi sono iscritto al Conservatorio. Lì ho cominciato a studiare il contrabbasso, e nel frattempo sono iniziate le mie prime esibizioni nella orchestrina di mio zio, i Caballeros, al Bar Sport di Solero, il paese di mia madre.

Quale strumento suonavi?
Ero il batterista del gruppo, pensa un po’. Suonavamo veramente di tutto! Lo schema era questo: due lenti e un ritmato, o due ritmati e un lento in mezzo. Il primo pezzo era uguale al terzo, e al pubblico andava bene così. Poi ho preso coraggio, e allora…

E allora?
Mi sono “lanciato” e ho cominciato a cantare. Il mio repertorio all’inizio erano le canzoni di Modugno e di Rascel, che certamente non erano facili da interpretare. Poi, a diciotto anni mi sono infilato in un complesso molto valido, con cui ho partecipato al “Buttafuori“, un programma radiofonico presentato da Nunzio Filogamo. Il mio gruppo fu scelto, tra i tanti, e vinse.

Da lì sei partito verso la ribalta nazionale. Ci racconti di quando sei andato al Festival di Castrocaro?
A Castrocaro ci sono andato accompagnato da mio zio nel 1962, grazie ad una cartolina spedita a mia insaputa da mio padre. Dopo aver superato le selezioni a Torino, ci siamo ritrovati al Festival in 40. Eravamo iscritti in 2000, per farti capire. C’era la tv che ci riprendeva, Pippo Baudo che presentava... sentivo che le cose stavano girando per il verso giusto.

rangone_06Come andò per te, alla fine?
Sandro Delli Ponti, critico del Resto del Carlino, mi aveva inserito nei primi 10 classificati e aveva già spedito il pezzo al giornale. Era fatta! Invece, all’ultimo momento la giuria mi escluse per favorire il solito “raccomandato”. Io però mi sono ripresentato nei due anni successivi, arrivando sempre in finale. E finalmente nel 1964, l’ultimo anno, qualcuno finalmente si accorse di me. La casa discografica Meazzi mi mise sotto contratto come Franco Ragona (cognome “d’arte”, per distinguermi da mio cugino Al Rangone) facendomi incidere la canzone “Con l’estate che verrà“, che divenne la sigla del Disco per l’Estate. Poi sempre con la Meazzi ho inciso “Arrivederci Settembre” e ho partecipato al Festival della Canzone Italiana a Zurigo.

Bella esperienza?
Mi ricordo che vinse Anna Identici. Durante il Festival, le consigliai di piantarla lì come cantante, perché aveva una vocina inesistente. Non le dissi proprio così, eh! Fui più delicato… “Ma lascia perdere, è una vita difficile”, e così via. Mi risulta però che non abbia seguito il mio consiglio, perché poi qualcosa ha fatto.

Franco, tu perché non hai continuato a fare il cantante? Le premesse per avere successo c’erano tutte, no?
Mah, alla fine da buon provinciale non me la sono sentita di fare il grande salto. Stavo troppo bene a casa mia, avevo appena trovato la fidanzata… C’è da dire che allora fare il cantante non era proprio considerato un mestiere. Mi ricordo che una volta una collega di mia madre le chiese che lavoro facevo. E mia mamma: “Studia al Conservatorio, e suona”. La risposta fu: “Ho capito. Ma che mestiere fa?”. Allora decisi di continuare a suonare, e di andare anche, e sottolineo anche, a lavorare.

Dove?
All’EPT, Ente Provinciale Turismo. Poi, quando l’EPT venne sciolto, andai in Provincia, sempre nel settore turistico. Ora, da pensionato, continuo a suonare con grande entusiasmo e, devo dirlo, con belle soddisfazioni.

rangone_03Dimmene una, dai…
Ho suonato con grandissimi jazzisti, per esempio, o con gli orchestrali della Rai, che mi hanno fatto sentire un musicista “certificato”. Altro che andare in televisione!

Parlami della tua Alessandria, adesso.
Io ad Alessandria mi sono sempre trovato bene, sin da bambino. Ero figlio unico, curato e coccolato… per questo sono sempre tornato a casa. Alessandria mi ha fatto conoscere, per esempio, Gianni Fozzi, amico di cultura eccelsa che mi ha insegnato bene il dialetto alessandrino, e molti altri ancora, che non basterebbe un libro per ricordarli tutti…

Come vedi l’Alessandria di oggi?
La città di oggi è triste e spenta, purtroppo, e la colpa è delle nuove generazioni, secondo me. Non vedo più la voglia di fare, di ripartire, di aggregarsi. Adesso si considerano tutti bravi, anche quelli che non lo sono. La mia Alessandria, da bambino prima e da ragazzo poi, era un altro mondo. Mi ricordo che con i miei vicini di casa ci aiutavamo e ci volevamo tutti bene. E’ cambiato tutto, purtroppo. E non so quanto tempo dovrà passare prima di riuscire a risollevarci.

Andrea Antonuccio.