Terre di vino: Piemonte chiama antico Egitto…[Il gusto del territorio]

print

Acini di uva e sculture che raffigurano grappolidi Eleonora Scafaro

Lo scorso fine settimana per me è stato all’insegna del vino.

Ad Alba, infatti, nei prossimi giorni sarà di scena Vinum (1,2 e 3 maggio), la rassegna enogastronomica che racchiude tutti i sapori del territorio piemontese: dalle nocciole, al vino, dai formaggi ai grandi bianchi piemontesi.
Ma Vinum non è solo questo. Nell’ambito della manifestazione, nella chiesa di San Domenico, è stata allestita la mostra “Il vino nell’antico Egitto – Il passato nel bicchiere” a cura di Sabina Malgora. E ne consiglio la visita a tutti.

La mostra, oltre a raccontare attraverso reperti la storia del vino nell’antico Egitto, diventa infatti quasi un ponte ideale tra due territori e civiltà così diversi ma con un elemento in comune: il vino, appunto.

Quando si pensa all’antico Egitto non si pensa alla coltivazione dellacalice per bere il vino vite. Eppure, sin dall’antichità, l’Egitto e il territorio piemontese sono accomunati da una fetta di passato caratterizzato dal vino.
Le testimonianze della vinificazione non sono scritte, ma è possibile studiarle attraverso le pitture e i reperti trovati dagli archeologi.
Gli scavi hanno dato alla luce giare, fiaschette, tracce di antiche coltivazioni e persino grappoli di uva disidratati.

La cultura del vino si diffonde attraverso i territori siriani e palestinesi – che hanno ancora oggi una buona produzione di vino  – e, nell’antico Egitto, grazie agli scambi commerciali, la vite inizia ad essere coltivata in più territori. Prima, infatti, l’uva nasceva spontaneamente, non veniva curata e coltivata.
La vendemmia di faceva i primi giorni di luglio, dopo di che si iniziava la pigiatura.

Il vino, quindi, diventa una bevanda quasi élitaria, un degno omaggio al faraone. La produzione è controllata dal potere centrale, gli vengono assegnati vari significati simbolici e diviene anche un importante corredo funerario.

In effetti nell’antico Egitto si beveva, e si beveva bene! Nemico del vino era la birra, di cui l’Egitto è il più antico produttore al mondo. Era meno costosa del vino e meno élitaria. Infatti veniva prodotta sia in veri e proprio birrifici, sia in casa.
In Egitto è stata trovata testimonianza di altre bevande alcoliche come il vino di datteri, il vino di melagrana e il vino di palma, che veniva usato anche durante la mummificazione.

fiaschetteSi dice, ad esempio, che Cleopatra amasse particolarmente un vino dolce e bianco, il Merotico, prodotto principalmente a sud di Alessandria.
Al vino, gli antichi egizi attribuivano soprattutto un significato simbolico. Era associato al dio di Osiride che rinasce dopo la morte e, quindi, il vino assumeva un significato di rinascita.

Il significato di rinascita del vino è associato anche al colore rosso del limo del Nilo durante la piena che esondava e fertilizzava i terreni circostanti dando vita ad un nuovo ciclo di coltivazioni.
L’uva, staccata dalla vigna e pigiata, invece, evocava la morte. La trasformazione del vino in mosto rappresentava la rinascita di Osiride.
Come accennato in precedenza, anche le tombe egizie portano testimonianze di viticoltura.

Tra le scoperte archeologiche più importanti, vi è la tomba del re Scorpione. Nel suo corredo funerario sono state trovate giare provenienti dalla Palestina con all’interno residui di uva.
Frequenti sono anche le tombe completamente decorate con pergolati di vite.

Numerose erano anche le feste per celebrare, per esempio, la rinascita delle pianteVasi per conservare il vino e delle colture. Durante queste celebrazioni tra danze e musica, gli egizi erano soliti bere grandi quantità di vino anche per scongiurare una piena eccessiva del Nilo.

Piemontesi e egiziani, quindi, hanno un comune denominatore, il vino.
La valorizzazione di un prodotto, in questo caso del vino, passa anche attraverso la storia di un territorio o di più territori, a volte lontani, a volte vicini ma con una tradizione e un passato simili.