Davvero, pensavo proprio che certi arnesi ideologici fossero ormai rottamati definitivamente. Ma oggi mi sono accorto che non è così. Usati abitualmente sia a ragione che, qualche volta, a torto, nell’allora Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, avrei giurato che dopo la caduta del Muro di Berlino simili stereotipate definizioni non avrebbero mai più fatto la loro ricomparsa, almeno in Europa.
Ma evidentemente ero e sono un inguaribile ottimista, perché il “culto della personalità” ha fatto ieri la sua ricomparsa per bocca del segretario della Cgil Susanna Camusso, che l’ha indirizzato a Renzi ‘colpevole’ della canzoncina che gli hanno dedicato gli alunni di una scuola elementare di Siracusa. Rainews, bontà sua, l’ha definita una battuta “pungente”, una lettura che non riesco proprio a condividere perché mi richiama piuttosto alla mente la mazza ferrata medievale. Vabbè, la maestra avrà sicuramente sbagliato a preparare il canto di benvenuto a Renzi, ma per la carità finiamola lì, non stracciamoci le vesti per una cosa simile.
Il culto della personalità è cosa ben più sinistra. Se qualcuno vuole usarla a tutti i costi, questa logora definizione la applichi a Kim Jong-un o al massimo a Putin, ma fino a quando Renzi non si farà fotografare mentre accarezza una tigre della Siberia non mi sembra proprio il caso di qualificarlo in questo modo. Sarà anche affamato di pubblicità, sarà anche un po’ malato di protagonismo ma dedito a costruire il culto della sua personalità proprio non ce lo vedo.
Ma il punto non è Renzi, è il suo partito, insieme con quella galassia di centri di potere che gli ruotano intorno e che, insieme, rappresentano un paese nel Paese, con le sue cooperative, le sue aziende, i suoi Tink tank, le sue case editrici, i suoi canali tv, i suoi infiniti giornali e blog, i suoi registi, i suoi attori, i suoi saggisti, economisti, narratori, poeti, cantanti, presentatori, comici e compagnia bella, che è riuscita fino a oggi a occupare tutte le cariche dello Stato (ma proprio tutte) in virtù di una non vittoria elettorale. Una compagnia bella che se la canta e se la suona, che nomina un Presidente del Consiglio e poi gli fa le scarpe, lo sostituisce brutalmente (nessun rimpianto per Letta, sia ben chiaro) anche se quello nuovo come titolo ha soltanto le preferenze raccolte alle primarie dai suoi elettori, come se il resto degli italiani aventi diritto al voto contasse meno di niente.
Ma ancor più pericoloso è l’ostinato sussistere di un modo di concepire la politica come scontro, come battaglia dei buoni contro i cattivi, come duello all’ulltimo sangue che non si chiude se non con l’eliminazione totale dell’avversario.
Non vorrei proprio che dopo vent’anni di antiberlusconismo si aprisse una nuova fase di antirenzismo, di guerra questa volta fratricida, perfida e occulta. Basta guardare al grande numero di giornalisti che dopo Siracusa hanno dovuto sfogare i loro maldipancia per capire che le truppe sono già sul piede di guerra. L’hanno eletto presidente del partito poi presidente del consiglio perché si sono accorti che altrimenti la loro sbandierata vocazione maggioritaria sarebbe andata a farsi benedire e ora dopo poche settimane da tutto ciò, alla prima ‘cacatiella’ di mosca, incominciano a bacchettarlo sulle dita, a insegnargli la lezione? Ma no! Non si fa così!
E così non dovrebbe fare la Camusso che invece alla prima occasione ha dato sfoggio di una cultura intrisa ancora del più violento veterocomunismo.
Non, non si fa così.