Di recente è stato protagonista ad Alessandria, insieme al suo collega europarlamentare Magdi Allam, di un affollato dibattito sul tema del futuro dell’Europa, sul quale però la sua ricetta diverge, in maniera significativa, da quella dell’ex vicedirettore del Corriere della Sera: “Magdi l’Unione Europea la vorrebbe sciogliere, o comunque che l’Italia ne uscisse subito: io sono per trasformarla radicalmente dall’interno. Anche perché cosa potrebbe significare, a questo punto, uscire? Quali costi reali dovrebbero sopportare gli italiani, già stremati dalla crisi, e da una classe dirigente spesso inadeguata, per non dire di peggio?”
Proviamo allora, con Oreste “Tino” Rossi (oggi Ppe, dopo uno storico percorso nella Lega Nord) a capire qual è la sua ricetta per ‘rifondare’ un’altra Europa, “dei popoli, e non delle banche e delle lobby internazionali”. E naturalmente, a qualche mese dalle elezioni Europee di maggio, chiediamo all’europarlamentare alessandrino di ‘mostrare le sue carte’, e di raccontarci se ha intenzione di ricandidarsi, e con quale partito o coalizione.
On. Rossi, davvero questa Europa è ‘tutta sbagliata, tutta da rifare’, come si diceva una volta?
Assolutamente sì. L’Europa dei popoli, in un’ottica confederale capace di mettere a fattor comune alcuni grandi ‘asset’ (dall’esercito al diritto per intenderci, ma anche ad una nuova Bce pubblica, e non privata e controllata da investitori privati che fanno i loro interessi, come succede oggi) è più che mai da costruire, da realizzare. Ma è necessaria: l’alternativa sarebbe la disintegrazione, con costi enormi da sostenere soprattutto per i paesi più deboli, come l’Italia.
Insomma, questa Unione Europea va cambiata, ma la strada non è, per noi, uscire dall’euro: è cosi?
Mi piacerebbe che i teorici dell’uscita dall’euro, dal mio amico Magdi Allam (con cui pure condivido molte delle critiche all’attuale Unione Europea dominata dalle banche, e dalle lobby che le controllano) a tanti altri, ci spiegassero meglio quali sarebbero i costi, certi, che i cittadini italiani, ossia lavoratori dipendenti e autonomi, pensionati, piccoli e medi imprenditori, dovrebbero sopportare. Temo che sarebbero enormi, devastanti. E allora dico: cambiamo l’Europa radicalmente, rivoltiamola come un calzino rispetto a come è ora: ma da dentro. Teniamo l’uscita dall’euro solo come extrema ratio, se saremo costretti a prendere atto che l’attuale iniqua gestione dell’Unione Europea non è modificabile.
Lei attualmente aderisce al PPE: quanto queste sue posizioni sono condivise?
Ampiamente, mi creda. E del resto quando parlo, con grande concretezza, di esercito unico (e conseguente dimezzamento dei costi militari, e chiusura di un numero esorbitanti di ambasciate e uffici di rappresentanza in giro per il mondo), o di interventi radicali sui criteri di gestione della Bce, mi pare che siano davvero pochi coloro che possono, in buona fede, essere contrari. Per non parlare naturalmente della situazione del credito: le pare possibile che le banche possano prendere in prestito dalla Bce il denaro allo 0,25%, e che poi di fatto lo prestino al sistema delle nostre imprese, quando lo prestano, a tassi del 6,7 o 8%? Tutto il sistema bancario internazionale va rifondato, a partire dalla creazione di una Banca Centrale Europea pubblica, e non come oggi nelle mani di grandi gruppi bancari privati, e delle lobby che le controllano.
Però continuano a raccontarci, a partire dal governo Letta, che la ripresa c’è già, che stiamo ripartendo…
Ma per favore! Sono assolutamente contrario al governo Letta, un’esperienza inconcludente, da chiudere al più presto tornando a chiedere agli italiani da chi vogliono essere governati. Se ci sia la ripresa tutti gli italiani, a partire dai lettori del suo giornale, possono verificarlo giorno per giorno, in base alla loro esperienza. L’Italia è un Paese in crisi profonda, con fasce crescenti di popolazione che stanno precipitando nella povertà e nella disperazione. Il tasso di disoccupazione ufficiale (che è sempre inferiore a quello reale, peraltro) è del 12,4% della forza lavoro. Per contare un simile numero di persone senza lavoro bisogna tornare, storicamente, al 1977. Ma oggi la situazione è ancora più grave, perché abbiamo anche un altro 7,7% di lavoratori che sopravvivono grazie agli ammortizzatori sociali, in varie diverse forme. Ma gli ammortizzatori sociali, è chiaro, sono per loro natura strumenti temporanei: e poi? Che ne sarà di tutti questi disoccupati reali, in carne ed ossa e senza prospettive?
Ma in Europa è diverso?
La crisi c’è ovunque, ma altri Paesi stanno reagendo in maniera più costruttiva, con progetti a medio lungo termine che qui da noi non si vedono. Si cerca di attrarre imprese e attività insomma, e di incentivarle. Mentre da noi le imprese o chiudono, o appunto si trasferiscono altrove. Del resto, con un costo dell’energia che è enormemente più elevato che in tutti gli altri Paesi dell’Unione, e una totale instabilità sul piano fiscale, per cui ancora non si sa quante e quali tasse si pagheranno quest’anno, mi spiega come fa un piccolo o medio imprenditore ad investire ancora, a suo totale rischio?
On. Rossi, lei sta concludendo il suo mandato quinquennale in Europa: e ci è arrivato dopo un lungo percorso politico nazionale, sia a Roma che a Torino. Che bilancio fa della sua esperienza?
Molto positivo. Ho sperimentato e sperimento (pur avendo un approccio estremamente critico su questa Unione Europea) un modus operandi, nell’europarlamento, assai più concreto e pragmatico, se rapportato alla politica di casa nostra, litigiosa e inconcludente. E per fortuna lì anche i rappresentanti italiani sono riusciti spesso a fare squadra, al di là dell’appartenenza ai singoli partiti o schieramenti: penso al buon risultato portato a casa sulla Pac, che garantisce la nostra agricoltura per i prossimi 6 anni, ad esempio. E riuscirci non era scontato. Personalmente ho lavorato, e ancora sto lavorando intensamente, su diversi fronti, tra cui in prima fila i temi della sanità, e della disabilità. Due universi che mostrano, come e più di altri, enormi difformità nei diversi Paesi dell’Unione, che è necessario riuscire ad uniformare sempre più. E parecchio, dal 2009 ad oggi, è stato fatto. Oggi, per citare un aspetto, ogni cittadino dell’Ue è libero di curarsi dove vuole all’interno di strutture pubbliche o private convenzionate, con rimborsi del suo Paese di origine (naturalmente entro i massimali statali previsti). Ma ho lavorato su molti altri fronti: dalla tutela del made in, che è fondamentale per distretti come gli orafi di Valenza, o le rubinetterie di Novara. E, ancora, mi sono opposto con forza, naturalmente insieme ad altri, alla diffusione del mais Ogm, o della carne clonata. Non perché si debba essere contro il progresso: ma perché operazioni di questo tipo vanno portate avanti solo in presenza di garanzie assolute, sul piano della salute. E ad oggi francamente queste garanzie non ci sono.
A proposito di salute, onorevole Rossi: lei è alessandrino, anzi proprio di Spinetta: la vicenda del polo chimico, e relativo inquinamento, come finirà?
Di recente ho portato anche la mia testimonianza al processo in corso ad Alessandria. Spetta ai giudici, naturalmente, accertare le responsabilità, ma credo che la soluzione qui sia una sola: bonifica vera, completa e profonda (non il ‘panno caldo’ delle barriere insomma, che non risolvono la questione), e risarcimenti adeguati a vittime e famigliari, se verrà accertato che l’inquinamento del polo chimico ha causato nei decenni morti e malattie gravi e invalidanti. Ma attenti: bonifica vera vuole anche dire che l’attività dello stabilimento (naturalmente a condizioni produttive di elevata sicurezza) non deve assolutamente fermarsi: in quel caso, oltre alla penalizzazione per l’economia locale, si finirebbe con il ritrovarsi con un enorme problema di inquinamento ambientale irrisolto. Basti pensare al caso Ecolibarna di Serravalle Scrivia, o alla Stoppani di Cogoleto.
E il futuro della Cittadella? Se ne discute da anni, e nel frattempo la fortezza va in rovina. Ora si attende il bando per l’affidamento della gestione a privati, e anche lì l’altro giorno in consiglio comunale sono fioccate le polemiche. Lei che ne pensa?
Io ci ho provato, nei mesi scorsi, ad aprire un dialogo ampio con tutte le istituzioni locali, e a spiegare che, per una struttura di quel genere, che è un ‘gioiello’ e un unicum in Europa, sarebbe opportuno pensare in grande, e presentare un progetto vero all’Unione Europea. Che ne ha già finanziati di analoghi, anche in Piemonte: penso a Venaria Reale, e ad altre residenze sabaude. Onestamente i riscontri non sono stati entusiasmanti: mi pare sia finora prevalsa una logica particolaristica. Naturalmente però, se attraverso il bando di riesce ad individuare un privato che davvero ha risorse ingenti da investire, ed è disposto a farlo con un progetto credibile, e compatibile con i vincoli che esistono per la Cittadella (monumento nazionale), sarò il primo ad applaudire!
Tino Rossi, da quanto tempo ha lasciato la ‘sua’ Lega? Mai avuto pentimenti?
Ormai è un anno e mezzo che in Europa sono nel PPE, con il mio movimento “Alleanza Europea, la politica dei cittadini”.
La ‘mia’ Lega non esisteva più da tempo, purtroppo, e per questo non
potevo che uscire. Io sono sempre stato, e sono, per una confederazione europea, modello Stati Uniti se vogliamo. Mentre vedo che più che mai oggi la Lega si è avvicinata al partito di Le Pen in Francia, e a quello che fu di Haider in Austria. Una scelta di isolamento che può anche portare, in tempi di crisi, a recuperare qualcosa sul piano elettorale, ma che non condivido.
A fine maggio si voterà per il rinnovo del Parlamento Europeo, e alleanze e trattative sono ampiamente in corso: si ricandiderà? E con chi?
Molto sinceramente, mi piacerebbe continuare a dare il mio contributo. I prossimi anni saranno decisi per il destino dell’Unione Europea, e anche per quello del nostro Paese, e far sentire la voce euroscettico, ma tutt’altro che antieuropea, di chi sta dalla parte dei popoli e non delle lobby e dei poteri forti mi pare importante. La mia collocazione naturale, mi pare evidente, è nel centro destra. Ma non nego che, da contatti anche diretti che ho avuto praticamente con tutti i leader italiani dei diversi partiti, percepisco una frammentazione che non mi piace. Questo sarebbe il momento dell’unità, non dei personalismi. Personalmente, con Alleanza Europea e con la mia rete di attivisti che, dal basso e anche grazie alla ‘rete’, si stanno organizzando con forza e determinazione, cercherò di fare la mia parte, come sempre.
Ettore Grassano