Storia di una filanda

Filanda Castelceriolodi Enrica Bocchio

In origine era una imponente cascina agricola all’entrata  del paese di Castelceriolo, smembrata poi in quattro parti per successione ereditaria. Quella che fu convertita successivamente in Filanda, era stata la grande stalla dove in tanti si raccoglievano dopo cena per raccontare ed ascoltare storie, lavorare a maglia, giocare a carte: per “avgià”…

La filanda iniziò la sua attività dopo la prima guerra mondiale. Vi lavoravano più o meno un centinaio di persone, con diverse mansioni: addette alla cernita, alla seta, filatrici, annodatrici, scopinere, sorveglianti, ecc. Alcune, provenienti da altri paesi, dormivano in cameroni attigui a quelli del lavoro. E poiché le ragazze erano spesso oggetto di attenzioni e tentazioni da parte dei maschietti del paese, la contessa Laura Galli della Loggia, proprietaria del castello avuto in eredità da Jolanda di Savoia, istituì la Compagnia della Consolata, tuttora attiva, proprio per distoglierle ed aggregarle mediante attività di teatro, ricamo, educazioni ed apprendimenti vari.

C’era poi un vasto indotto di attività artigiane del paese, che lavorava per la filanda: falegnami, trasportatori, facchini, meccanici, fuochisti, fabbri… verrebbe da dire che, rispetto ad oggi, il paese era sicuramente più vivace, più vivo.
I primi proprietari, costituiti in società, si diceva fossero di origine ebrea. Da anni era questa la voce che circolava in paese, pur senza concrete conferme, tant’è che ad un certo punto qualcuno ventilò trattarsi di “ebrei convertiti”, magari per sfuggire al  pericolo di incappare nelle leggi razziali, in vigore dal 1938. Siamo in pieno fascismo; nel vicino castello si era installato il comando tedesco, che requisì una parte della filanda per assegnarla ad una interprete presso il comando stesso; un’altra parte fu assegnata alla milizia volontaria per la sicurezza nazionale per incarico del prefetto; per il reperimento del carburante necessario al funzionamento della filanda era necessario rivolgersi alle autorità tedesche di stanza a Valenza. Questa era la situazione al 1° semestre 1941 quando improvvisamente il proprietario, sempre quello dalle presunte origini ebraiche, apprezzato anche per gli aiuti economici concessi ai dipendenti con famigliari impegnati al fronte, cedette, anzi vendette (viene usato questo termine in una lettera) la proprietà ad altra persona, titolare di vari stabilimenti industriali della seta nel comasco.

A questo punto, ognuno può fare le congetture che ritiene le più opportune; difficile però ipotizzare che spontaneamente un ebreo potesse affidare la sua proprietà ad una camicia nera, squadrista della legione di Treviso, esempio vivente di disumanizzazione del lavoro: orari stressanti, riduzione dei contributi previdenziali, mezzi di costrizione severi, obbligo di mantenere le mani nude nell’acqua bollente per una più facile dipanatura del bozzolo, minacce ricattatorie di licenziamento in caso di rifiuto, e così via. Più volte  intervenne inutilmente  anche il parroco di uno dei paesi sede di stabilimento, che alla fine indirizzò al sindacato le operaie, tra le quali compare il nome della signorina Tina Anselmi, che si propone  come portavoce di tutte.
Una realtà ben diversa dalla bella immagine della foto (1935 circa), con le filandere di Castelceriolo dai visi sorridenti ed il vestitino della festa.

Ormai è storicamente accertato che era costume diffuso appropriarsi dei beni dei deportati, per la maggior parte ebrei, da parte di coloro che, direttamente o indirettamente, spinti non solo da ragioni esclusivamente politiche  o ideologiche, li avevano inviati nei campi di sterminio, come avvenne con la vergognosa truffa dei 50 Kg d’oro pretesi dagli ebrei di Roma per avere salva la vita. La mia generazione ha ormai appreso da tempo gli effetti negativi del fascismo, le situazioni ricattatorie, le appropriazioni indebite, i comportamenti violenti, gli imprevedibili risvolti di una condizione lavorativa apparentemente normale, fino al possibile, terribile epilogo.

Torniamo alla nostra filanda. Non essendo mai stato approfondito né chiarito questo criptico “cambio di proprietà”  (giugno 1941), ho iniziato la mia personale ricerca a 360 gradi… Come sia andata a finire, lo svelerò presto: si dovrà arrivare in fondo all’articolo…
Dell’acquirente  di cui sopra ho ritrovato tracce in Sudamerica, ma qui mi fermo perché potrei azzardare un legame con l’operazione Odessa…

Dopo il 1944-45 la filanda  divenne  automaticamente e praticamente di proprietà del responsabile locale. A poco a poco fu smembrata, in parte affittata, o trasformata in alloggi, in parte venduta alla filatura Dellepiane e successivamente ad altri.

Roberto Desilvestri,  attuale  proprietario,  ha compiuto una eccellente opera di  ristrutturazione, trasformandola in uno splendido residence, mantenendone comunque  il nome e la struttura architettonica, e facendola così rivivere: sarebbe stata probabilmente destinata a rimanere nella memoria per qualche anno,  poi dimenticata, come è successo nel nostro Paese per tanti, troppi luoghi significativi.

Roberto è lieto di ospitare l’incontro per la Giornata della Memoria, sia per ricordare le vicende di una struttura che ha significato molto per l’economia del nostro territorio, sia  per mantenere la memoria storica, ben più triste ed eclatante, che ha riguardato milioni di esseri umani.
Appuntamento Domenica 26 al Residence La Filanda, via Sale 4 Castelceriolo ore 15,45.