L’Orco nella nebbia [Il Superstite 167]

arona-2di Danilo Arona

Questa storia non l’ho mai raccontata. E’ strana, irrisolta e inquietante, e mi riguarda. Una quindicina di anni fa, forse di più, mi recai a Damanhur, la famosa comunità fondata a Baldissero Canavese dal compianto Oberto Airaudi. Era domenica, di primavera, con Fabiana e alcuni amici. Un giorno scriverò di Damanhur in modo approfondito, oggi manca lo spazio. Al momento accontentatevi del fatto che, a mio parere, una visita a Damanhur vale la pena, come vale sempre la pena di misurarsi con i punti di vista altrui.
Peraltro ai Damanhuriani io devo personalmente la scoperta e l’approfondimento della geografia della Schiena del Drago, che occhieggia sempre da qualche mio scritto.

Fine del preambolo e al dunque, una tipa quella volta mi lesse la mano. Sciocchezze da zingara? Niente affatto. I Damanhuriani praticano un esoterismo dotto e sperimentalmente concreto, e tra le altre cose mi hanno fatto conoscere con l’onore della prova due mie precedenti vite (l’ultima è stata una pacchia, per quanto mediamente breve: sono morto a 50 anni per consunzione sessuale, in Arabia, da quelle parti…).

La tipa mi svelò sostanzialmente tre cose. Che avrei corso un serio pericolo di vita per problema epatico, che avrei continuato a perdere il senno per una donna dei Pesci (sic) e che mi sarei spiaccicato nella nebbia carambolando con l’auto mentre nel bel mezzo della Caccia all’Orco.  Chiosando con: Non salire nella nebbia, c’è da morire.

Ovvio, le chiromanti usano un linguaggio loro, un po’ da interpretare, però… FermoOrconebbia restando che la prima cosa è vera (e superata per fortuna) e che la seconda è tuttora felicemente in corso (in ogni caso il senno mi ha abbandonato da tempo…), quattro o cinque anni dopo quella domenica mi ritrovai impegolato una notte in una di quelle spedizioni notturne alla Dylan Dog che oggi, per sopravvenuta età pensionabile, non pratico più. Purtroppo erano le 23 e su tutta la provincia gravava una nebbia mostruosa che non ti faceva vedere un piffero a un metro. Però la cosa era organizzata e si doveva andare. A dirla tutta, non mi sentivo molto in forma perché continuava a tornarmi alla mente la terza profezia. Per di più l’amica giornalista che di solito mi accompagnava aveva dato forfait per un’azione su vasta scala che il giorno dopo venne  riportata anche dai TG nazionali (16 arresti).

Così partimmo per il Monte Stregone che sta di fianco a Acqui e proprio nella simpatica cittadina io e l’amico medico che mi affiancava caricammo una medium  (l’altra era fuori uso per influenza – di solito agivano in coppia…) che già straparlava ancor prima d’infilare la prima. Però, tra un delirio e l’altro, scoprimmo che la dimora oggetto dell’esplorazione non veniva chiamata, come riportato da tutti i libri, La Casa della Strage, ma bensì La Casa dell’Orco.
E la tipa, che era l’unica a sapere esattamente dove si trovava, continuava a strepitare che non ci dovevamo andare perché la nebbia ci avrebbe fatto precipitare giù da qualche scarpata.
Siccome sono anche una testa dura e ai fantasmi e alle profezie non vorrei abboccare così facilmente (anche se mi fanno godere come materiale narrativo), c’infilammo con molta decisione per una stradina che portava in alto, transitando dalle parti della Tinazza, ma a un certo punto la medium – una simpatica quarantenne senza grilli per la testa (di giorno) – prese a tremare come un’epilettica e urlò: Fermati! Fermati! Non la senti la filastrocca?
Mi fermai, che dovevo fare?  L’amico medico tentò di calmarla e più o meno ci riuscì. Quando lei sembrava star meglio, io le chiesi: Quale filastrocca? E lei si mise a canticchiare con vocina infantile: Non salire, non salire, nella nebbia c’è da morire.

Amici, a me non fa paura quasi nulla, ma io questa nenia l’avevo già sentita in forma dialogata. E mi ricordavo bene dove. Insomma, la faccio breve. Tornammo indietro. Lei piangeva, a me giravano gli zebedei, perché, ne sono ancora convinto, TUTTO nel mondo è collegato come in un certo racconto di Daphne du Maurier che s’intitola Non guardare adesso e dal quale è stato tratto il film A Venezia un dicembre rosso shocking.

Adesso penserete che me la sia inventata. Mi piacerebbe. Ma da qualche anno in qua c’è molta meno nebbia nelle colline alessandrine. E io m’illudo si stare al sicuro.