L’acqua che fa male [Il Flessibile]

caruso_copertinadi Dario Caruso.

Era il 1992 quando in Liguria venne un’alluvione catastrofica.
Pioggia di molte settimane in poche ore.
Quel giorno – era settembre – arrivavo da Finale, uscito da scuola e arrivato a Savona (dopo aver attraversato per il rotto della cuffia il Quiliano) lasciai l’auto prima del Letimbro, il torrente già in piena che taglia la città, e a piedi raggiunsi l’altra parte.
Giunsi a casa verso sera.

Nel Savonese quel giorno l’acqua portò via numerose case, molte cose e qualche vita.
Lasciò ricordi e una considerazione: che l’uomo avrebbe dovuto avere più attenzione, costruire con criterio, rispettando la natura e l’assetto idro-geologico del territorio.
Monito per gli anni a venire.

flessibile_acqua_che_fa_maleSono passati ventuno anni da quell’autunno.
Nel corso dei ventuno anni abbiamo assistito a catastrofi immani, in giro per il mondo.
Oggi ci si mette anche la tropicalizzazione del clima mediterraneo.
La considerazione, a caldo, è sempre quella: che l’uomo avrebbe dovuto eccetera eccetera…
Ci si trincera dietro parole quali “antropizzazione” per non far comprendere a tutti il cattivo operato e le responsabilità passate.

La verità è che, a freddo, i greti dei fiumi e dei torrenti sono sempre sporchi e la manutenzione tanto auspicata non esiste (“non possiamo intervenire, si tratta di oasi protetta…” e balle varie); le risorse per la prevenzione vengono sperperate in attività di manutenzione ordinaria (“abbiamo bisogno di sostituire lampadine, asfaltare strade, il patto di stabilità,….” e balle varie); i permessi per costruire nuovi edifici sono incontrollati (“non si tratta di speculazione, stiamo ridisegnando la città per i nostri figli…” e balle varie).

E intanto ogni anno decine, centinaia di vite vengono sacrificate “per il bene del Paese!” tra minuti di raccoglimento, lutti nazionali e funerali solenni (tutto comunque dovuto e doveroso per chi resta).

Una rivisitazione della selezione naturale di darwiniana memoria viene applicata dai nostri politici che hanno il vezzo di giocare al gioco della sedia, quello dei Romani ai tempi di Asterix: quando la musica è finita ognuno ha il suo cadreghino e per colui che resta in piedi ci si inventa una poltroncina nuova di zecca (ricordate quella storia di tori e vacche?!?).
Se sei parente, o parente di parente, o amico, o amico di amico sopravvivi.
Altrimenti nisba.

A questi signori l’acqua non fa male.
E non va di traverso neppure il barolo e lo champagne.
Che sbevazzano tra una risata e l’altra.