Terre di passaggio [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana

Alessandria terra di passaggio. E’ uno degli elementi emersi domenica scorsa in un interessante incontro al quale ho partecipato insieme ad altri scrittori della zona (Danilo Arona, Giorgio Bona, Giulio Massobrio, Remo Bassini e Nadia Morbelli, brillantemente coordinati dalla giornalista Bianca Ferrigni). Una riflessione che ha consentito di incunearci con un taglio giallo tra i meandri vitali della nostra provincia, cercando di individuare, tra le chiacchiere domenicali, una possibile molla criminale. Perché in questi casi la narrativa aiuta a capire grazie alla possibilità di interpretare la realtà attraverso la verosimiglianza e rendendo più digeribile il dramma relegandolo a una semplice manifestazione della fantasia. Si può utilizzare una città come palcoscenico su cui far muovere i protagonisti di una storia inventata, ci si può  confondere con le sue atmosfere, o partire da fatti singoli legati ad atti di criminalità comune fino a espressioni di violenza sociale più esplicita. Fino a riprodurre un quadro che non ha visto Alessandria del tutto esente da cronaca nera.

E, tralasciando il piano squisitamente letterario, possiamo comunque dire che il ruolo di terra di passaggio ha segnato da sempre l’esistenza di Alessandria in ogni settore. Terra di passaggio di eserciti dalle mille divise e dalle mille lingue, come di migrazione di popoli. In tempi più recenti etichettata come cuore del triangolo industriale, termine lentamente sfumato via lasciandosi alle spalle un che di malinconico per quell’epopea del boom che ha ormai concluso il suo ciclo.

Alessandria città equidistante da Torino, Genova, Milano e Piacenza, e come ci insegnavano a scuola, è stata pure il secondo nodo ferroviario italiano dopo quello di Bologna, grazie alla sua naturale collocazione geografica sulla direttrice Torino-Roma-ReggioCalabria, e sulla diagonale Torino-Bologna-Pescara-Lecce.
Non si è mai distinta come una provincia/avanguardia ma ha sempre rivestito il ruolo di base logistica, un  fondamentale trait d’union con un mondo in crescita che si agitava attorno a lei, cogliendone la vitalità ma sempre rimanendo immobile, statica come la punta del compasso piantato nel centro e la grafite che solca la circonferenza sulla carta lasciando traccia di sé.

Ciò le ha permesso, e questa non è abilità da poco, di cogliere al volo le occasioni di crescita economica nei momenti d’oro. Vivendo però, in altri casi, di luce riflessa, senza rafforzare le proprie barriere difensive, incapace troppo spesso di contrapporsi alla crisi con una forte autonomia d’azione e di scelte. Fino a raschiare il fondo del barile, così come ce la consegna la triste attualità con l’amministrazione pubblica allo sbando, il fallimento della gestione dei servizi, il commercio che annaspa, disoccupazione e morte di una qualunque iniziativa culturale di valore.

Oggi vengono meno i suoi connotati definiti dalla storia del secolo scorso per ritrovarsi, giorno dopo giorno, depauperata dei vantaggi acquisiti senza più un ruolo significativo, un piano industriale, commerciale o di trasporti fino a essere troppo spesso considerata periferia delle grandi.

Ma resta sempre terra di Piemonte, terra nobile per eccellenza, dalle salde e antiche tradizioni, a un tiro di fucile dalle sponde del mar Ligure, così come dai confini con Svizzera e Francia. Il Piemonte è una terra dove si incarna una vita a suo modo curiosa, e riservata allo stesso tempo, fatta di gente accogliente, generosa e sospettosa, in prima fila ad affrontare con capacità individuale e collettiva i grandi cambiamenti che la rendono parte del Mondo.
Riuscirà Alessandria, forte di questo legame geografico, a trovare la spinta per rialzare la cresta? O si abituerà a sopravvivere come un’ombra? Magari inquieta, ma pur sempre vestendo i panni di un’essenza priva di corpo, immobile ad osservare il passaggio del mondo, così come quando ci si affollava ai bordi delle strade per vedere sfrecciare il giro d’Italia.
Senza mai sollevare l’idea del dramma, ma nemmeno della gioia. Al massimo qualche battuta di feroce ironia.