Alla fine della chiacchierata Donato Lanati sospira, volge lo sguardo alle colline che circondano la sua creatura, la splendida cascina-laboratorio Enosis Meraviglia, e sorride: “amo questo posto, il nostro Monferrato, più di ogni altro luogo al mondo”. Enologo e “scienziato del vino” di fama internazionale, abituato a spostarsi per i ‘quattro angoli’ del pianeta, come consulente dei produttori vitivinicoli più prestigiosi e acclamati, Lanati ha realizzato qui, tra Fubine e Cuccaro, un centro di ricerca enologica di eccellenza che non ha pari in Italia, in un equilibrio perfetto tra forma e sostanza, rispetto della tradizione (una cascina del Seicento, con i tradizionali “infernot” in tufo per la maturazione e conservazione naturale del vino) e ricorso a tutti gli strumenti che la scienza mette a disposizione per studiare l’acino, e ottimizzare la qualità dei vitigni. Ma, soprattutto, ha trasformato in realtà il suo sogno di bambino: “venni a vivere da queste parti con i miei genitori e mia sorella, in arrivo da Voghera: avevo 8 anni. Ricordo perfettamente che era settembre, e mia madre mi sguinzagliò in un vigneto: toccai un grappolo d’uva, poi un altro. Erano vivi, si muovevano, e credo che, senza retorica, fu allora che decisi che da grande avrei fatto l’enologo”. Ancora prima però c’era stato “l’imprinting” del nonno, che al nipotino di 4 o 5 anni concedeva di bere “sotto il tavolo, ossia di nascosto dai grandi”, qualche sorso di vino rosso dell’Oltrepo pavese. “Così sono cresciuto – spiega Lanati – nella certezza che il vino fosse una bevanda importante, capace di raccontare la storia di un territorio, di una comunità, attraverso l’aroma, il sapore, il colore”.
Più che al destino però, conversando con Lanati, viene spontaneo pensare all’homo faber, che decide fin dall’inizio di dedicarsi a ciò che ama e lo appassiona, e cerca di costruire un percorso preciso. Dopo il diploma alla Scuola Enologica di Alba, arrivano la laurea in Agraria a Torino e la specializzazione in Viticoltura e Enologia con il professor Italo Eynard. “E’ stato per me un incontro decisivo, determinante, il mio vero maestro. Mise insieme un piccolo gruppo di giovani specialisti, e ci fece girare il mondo per anni: per vedere, per studiare, per capire cosa e come facevano gli altri, a partire dai francesi, e cercare di batterli, di trovare soluzioni sempre migliori”. Il prof. Eynard morì prematuramente, e a quel punto Lanati scelse, senza tentennamenti, la strada di ‘battitore libero’: “so di avere un caratteraccio: sono perfezionista e con il gusto della polemica: insomma, non so tacere per convenienza”.
Costantemente innamorato del ‘suo’ Monferrato, Lanati fonda nel 1990, a Cuccaro, un laboratorio di ricerca applicata al mondo dell’enologia e della viticoltura, e lo chiama Enosis, cominciando a raccogliere attorno a sé un gruppo di esperti e specialisti: enologi, chimici, agronomi. “Poi, nel 2001, la scelta di acquistare Cascina Meraviglia: ci siamo trasferiti qui nel 2005, dopo 4 anni di lavori: e oggi continuiamo il nostro percorso con entusiasmo, guardando naturalmente ad un mercato internazionale. Il nostro fatturato estero è circa 1/3 del totale, ma è destinato a diventare almeno la metà”. Però Lanati non ci sta a descrivere il vino italiano come in crisi, tout court. “No, non farei discorsi generalizzati: se fino a qualche tempo fa la leadership dei francesi era indiscussa, oggi ci sono territori come il Friuli, l’Alto Adige o le Langhe che sanno competere ai migliori livelli, e attirano acquirenti internazionali di fascia alta. La ricetta comunque è sempre la stessa: vini non solo di assoluta qualità, ma che sposano e rappresentano una cultura, un territorio. Oggi non si compra più una bevanda, ma si chiede al vino di trasportarci all’interno di un mondo, di farci fare appunto un percorso di tipo culturale”.
E il Monferrato? E i vini della provincia di Alessandria? Lanati si fa riflessivo: “Il Monferrato è un posto magico, non vivrei e lavorerei mai altrove: anche se ho sempre la valigia pronta, e necessariamente giro il mondo. Però siamo terribilmente indietro: si fa spesso il paragone impietoso con le Langhe, ma è vero. Là hanno saputo fare sistema, e hanno sviluppato una cultura dell’accoglienza che li rende attrattivi. Da noi l’accoglienza è un problema serio: le strutture davvero attrezzate sono pochissime, siamo rimasti ad una dimensione naif, che non funziona”. I vini dell’alessandrino, poi, non sfondano sul mercato nazionale e internazionale, ad eccezione del Gavi: “E’ la nostra bandiera, anche se a ben guardare una volta quella era terra ligure – sorride Lanati.
Purtroppo però anche quando un vitigno alessandrino comincia ad imporsi, a ricavarsi un suo spazio grazie ad una serie di produttori lungimiranti, come è il caso del Timorasso nel tortonese, rimane una nicchia, non si moltiplica in termini di ettari coltivati. E così facendo non si va da nessuna parte”. Lanati ricorda poi, con un po’ di amarezza, il percorso del Marengo: “Anni fa ci chiesero di occuparcene – sottolinea – con l’obiettivo di creare un vino di alto profilo, da vendere su mercati vasti e con una forte identificazione con il territorio. Ebbene, stavamo ottenendo risultati eccellenti, ma naturalmente il nostro lavoro di analisi consiste anche nell’indicare quali sono le difficoltà, nel segnalare che il tal vitigno o la tal uva non funziona, e rovina il prodotto finale. Insomma, il percorso si è interrotto, anche per difficoltà di tipo finanziario, ma non solo. Certamente è stata una grande occasione sprecata”.
Ma l’orizzonte di Lanati, e del suo team di 18 esperti che lo affiancano costantemente a Enosis Meraviglia, è per fortuna assai più vasto: “Qualche cliente in zona lo abbiamo – spiega l’enologo – , ma in genere ci muoviamo su realtà dai 30-40 ettari in su, fino a gruppi da 700-800 ettari”. La fama di Lanati non ha sostanzialmente confini: lavora da anni in Georgia, ad esempio, dove ha contribuito in maniera determinante al rilancio della tradizione enologica di quel Paese: “mi hanno cercato loro, dopo aver letto su riviste internazionali alcuni miei interventi sulla valorizzazione dei vitigni autoctoni. E vado spesso anche in Kazakistan, altro territorio su cui stiamo facendo un percorso importante: confrontarsi, attraverso l’acino e quindi il vino, con culture diverse dalla nostra è entusiasmante, anche se non è che io non senta la fatica dei viaggi, e degli spostamenti continui. Però passano in secondo piano, quando arrivano le soddisfazioni, quando capisci che hanno capito cosa stai facendo, cosa si sta facendo insieme”.
Enosis Meraviglia però, con i suoi tre ettari in cui vengono coltivati a scopo di sperimentazione 37 diversi vitigni italiani (“è il nostro giardino sensoriale”), rimane il quartier generale, il rifugio, il perno di tutte le attività. Qui al fianco di Lanati (che, detto per inciso, è anche grande appassionato di volo, pilota di aereo e di elicottero) lavora un team di persone davvero motivate, tra cui è impossibile non citare Luigi Dagna, chimico ma soprattutto anfitrione impeccabile, che sa condurre i visitatori con professionalità e passione attraverso i diversi locali e attività della struttura. Oppure Dora Marchi, enologa, biologo e autentico “braccio destro” di Lanati. “Oggi è a Bucarest, ad un convegno internazionale: consideri che sia lei che io siamo membri dell’Oiv, l’Organizzazione internazionale del vino, con sede in Francia. Ne fanno parte in tutto 6 italiani: 2 lavorano a Enosis Meraviglia”. Donato Lanati è davvero orgoglioso della sua attività, e ne ha ben ragione: “Però mia figlia non è detto che segua le orme paterne: studia geologia, e seguirà il percorso professionale che riterrà più consono, come ho fatto io del resto. So di essere un padre ingombrante: ogni volta che finisco sui giornali lei si infastidisce, e la capisco. Però una cosa posso dirla: ad assaggiare i vini è già molto più brava di me”. Prima di congedarci lo “scienziato del vino” che il mondo ci invidia, ma che rimane indissolubilmente legato a questo ‘pezzo’ di Monferrato alessandrino, ci mostra il suo Pinocchio in legno, alto come un uomo, omaggio di un artigiano di Pantelleria: ““serve a ricordarmi, e a segnalare agli altri, che il vino può essere bugiardo, e raccontare false verità. Va analizzato e compreso nella sua essenza più genuina, e nei suoi rapporti con il territorio”.
Ettore Grassano
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