Eqquestoè! [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana.

Quattro maggio. Dieci e mezza del mattino. Fuori, un sole morbido mi accompagna mentre esco per le commissioni del sabato. Mi lascio il portone alle spalle (corso Romita 11) quando vedo le strisce pedonali di fronte a me bloccate da una monovolume nera, quasi funerea, lunga come la fame. All’interno, una signora seduta accanto al posto di guida. Il suo abito testimonia una provenienza mediorientale. Io e una donna più anziana siamo costretti a un giro largo per attraversare. Un po’ sbuffiamo, un po’ ci sorridiamo solidali. Lei, in dialetto, mi dice “questa gente non va mica a posteggiare così a casa loro”. Non credo che sia vero.
Altrove, in strada vige l’anarchia assoluta alla faccia di regole e sicurezza. Ma non glielo dico. La signora ha diritto al suo sfogo. La mancanza di rispetto anche.

Attraverso piazza Mentana. Imbocco via XX settembre. Sulla sinistra, una lavanderia self service. Sull’angolo lo scivolo segnalato in giallo per agevolare i portatori d’handicap spezza il marciapiede. Questa volta, colpevole di ostruire il passaggio è una piccola famigliare blu. Giapponese. Una coppia scende dalla vettura. Mi viene istintivo (evitando toni saccenti o moralistici) far notare ai signori che intralciano il passaggio. Nessuna risposta. Solo uno sguardo misto tra il disprezzo e la rabbia, come di chi ha appena pestato un escremento di cane calzando un paio di scarpe di corda. Evito una replica. Il rischio di degenerare è troppo. Mi allontano. Di poco. Più avanti un fiorista e un bar. E un posteggio riservato agli handicappati. Un elefantiaco suv (senza alcun permesso esposto) se ne sta beatamente posteggiato, placido come un ippopotamo steso nella melma delle secche dello Zambesi. Attraverso al semaforo con la circonvallazione, supero il primo tratto di via Cavour, corso Cento Cannoni, l’ufficio postale e qui inizia il festival delle quattro luci. Due Punto e una Clio occupano il marciapiede tra cioccolateria e tabaccaio. Dal lato opposto una BMW sportiva blocca il passaggio perché la signora alla guida, ferma al telefono, ha pensato bene di mettersi a chiacchierare proprio là dove sono già posteggiate quattro motorette. Lo sbarramento è totale. Inizio lo slalom. Le articolazioni degli arti inferiori me lo permettono ancora.

Raggiungo i portici alla fine di via Cavour dove, tra la sede della CGIL e il supermercato Basko, l’autista di un furgone bianco ha appoggiato la mano sul clacson dimenticandosi di toglierla. Pretende che un signore (assolutamente incolpevole) sposti la sua vettura (perfettamente posteggiata all’interno dello spazio delimitato dal blu) perché il furgone non riesce a passare a causa di un posteggio sporgente sull’altro lato. Proseguo, ormai esasperato dall’idea di vivere in un mondo irreale. Arrivo di fronte al comune. Il cuore della nostra collettività, là dove si forgiano idee e regole. Mi auguro subito che ne vengano forgiate poche, se il risultato è quel che viviamo quotidianamente. Un vigile se ne sta in piedi, oltre il portico. Guarda fisso piazza della Libertà. Mi fa venire in mente le parole di Conrad quando diceva “non sono mai riuscito a far capire a mio padre che, quando guardavo oltre la finestra, in realtà stavo lavorando”. E il povero vigile (che non ha in dotazione gli occhi sul retro della divisa), non si rendeva conto che, appena un paio di metri dietro di lui, un minorenne nordafricano dalla faccia nota stava vendendo fazzoletti di carta e chiedendo qualche spicciolo di elemosina a chi non manifestava problemi di goccia al naso.

Eqquestoè! Tutto vero. Nulla di inventato. Chi non ci crede non mi costringa a uscire sabato prossimo con la macchina fotografica a tracolla. Per adesso vorrei solo fissare uno scatto con una composizione di parole, giusto per ricavarne un quadro desolante di vita urbana. Augurandomi che si tratti solo di una casualità. E senza pretendere sanzioni punitive, o un inutile rigore da benpensante.

Viaggio al centro della terraMa in questa desolazione è germogliato il seme del ricordo. Mi riporta indietro agli anni dell’infanzia, quando quel lungo tratto di strada pullulava di biciclette degli operai di Borsalino o di ragazzini che giocavano a pallone,  e se in quegli anni si cercava un po’ di avventura ci ritiravamo sul divano di casa a leggere Salgari e Jules Verne. E forse, se questa desolazione non è stata partorita da un istante di follia collettiva ma riflette una logica ricorrente in città, prima o poi finirò per decidere di fare un passo indietro. Il sabato mattina me ne starò chiuso in casa a rileggermi, uno fra i tanti,  Viaggio al centro della terra. Mi identificherò nel giovane Axel, o nel vecchio professore Otto Lidenbrok mentre si fanno inghiottire dal cratere del vulcano islandese Snaffels in un viaggio ai limiti dell’impossibile e del meraviglioso in un susseguirsi di avventure mozzafiato che nulla hanno da invidiare ai più recenti James Bond o Jason Bourne.

Almeno in quel mondo a me ufficialmente estraneo, fantascientifico, irreale, vivrò istanti di protagonismo con il sorriso sulle labbra nutrendomi di pagine dalla forte tensione letteraria. Dove la matassa di eventi ingarbugliati ha sempre un capo e una coda ben definiti. Ma soprattutto senza affrontare il rischio di litigare con chicchessia. Con la sola conseguenza di buttare altra benzina sul fuoco di una città che si presenta ormai sempre più vicina al definitivo punto di cottura.