di Vjačeslav Michajlovič Skrjabin (Molotov)
«Ciò che implica tristezza, esprime un tiranno»
«Il tiranno parla il linguaggio della legge, non ha altro linguaggio. Ha bisogno dell’ombra delle leggi»
Gilles Deleuze
E’ molto difficile per me parlare degli olocausti, mantenendo la lucidità… ma tenterò di dare il mio piccolo contributo a questa giornata importantissima. E il perché è chiaro; a noi sicuramente. La necessità impellente, però, è che il cerchio si allarghi, che si esca dall’estemporanea attenzione politica e mediatica, oserei dire, sicuramente di maniera. Poiché a poco vale l’incredibile e meritorio lavoro di associazioni e singoli, di cui non sto a fare l’elenco, ringraziandone una per ringraziarli tutti, Enrica Bocchio, che domenica 27 gennaio, alle 16,30, sarà alla Sinagoga di Alessandria con le letture e le musiche de “Le porte della speranza”, se non si ritorna, veramente, all’educazione, alla trasmissione e alla condivisione dell’ “humanitas” e della “pietas”, soprattutto rivolgendosi alle nuove generazioni. Non bastano i proclami e i discorsi altisonanti tenuti in questa manciata di giornate, quando, per tutto il resto dell’anno, commentatori e sicofanti vari, politici di lungo e di medio corso, conservatori ed innovatori progressisti, tollerano o legittimano azioni, scritti e pensieri inenarrabili, per fini particolari. Ci torneremo sopra, ma per capire meglio voglio cominciare il mio personale giorno della memoria, ricordando uno dei tanti olocausti dimenticati, quello delle etnie Romani, principalmente Rom e Sinti, ma anche Kalè. Non essendo, per ovvi motivi, organizzati e strutturati come gli Ebrei, risulta impossibile avere dati certi sul “Porrajmos”(o porajmos), il “grande divoramento”, l’equivalente Romani della Shoah, l’olocausto, la distruzione; le stime comunque si attestano tra il mezzo milione e gli ottocentomila martiri, immolati sull’altare della razza dalla cecità e dall’indifferenza dell’uomo. Una cosa sicura è che la persecuzione verso gli “Zingari” sia stata l’unica, insieme a quella perpetrata verso gli Ebrei, di pura matrice razziale. Un fatto che molti non conoscono o che, anche sapendo, non vogliono ammettere, è che la persecuzione sia stata permessa da leggi promulgate molto prima dell’avvento dei nazifascisti. Lasciamo perdere, per adesso, che il rifiuto e l’odio per “l’altro da sé” vengano dall’alba dei tempi e i nomadi, quelli che non si piegavano alle normali modalità del vivere comune, erano (e sono) visti come bersaglio ideale, un po’ come successe agli Ebrei durante le varie epoche dell’uomo, sul quale indirizzare l’ottusità e l’ignoranza delle comunità, tenute scientemente, dal potere, in uno stato semibestiale. Ma le leggi e gli editti che hanno permesso il “Porrajmos”, almeno la maggior parte, sono state promulgate durante la Repubblica di Weimar, quando il movimento nazionalsocialista era ancora embrionale. Uno per tutti: nel 1920 Alfred Hoche, psichiatra, e Karl Binding, uomo di legge, avevano pubblicato un piccolo, vomitevole ed atroce, libro intitolato: “Il permesso di annientare vite indegne di essere vissute”, che avrebbe fornito fondamenti legali e medici per gli olocausti nazisti. Quindi in un grande crescendo di provvedimenti legislativi, identificazioni, prelevamento di impronte digitali, domiciliazioni coatte e via discorrendo, si arrivò alla persecuzione razziale vera e propria e all’annientamento. Lo storico tedesco Wachsmann ebbe a scrivere: «la criminologia di Weimar e la prassi penale contribuirono a forgiare la politica nazista». Quindi, come richiamato dalla citazione iniziale di Deleuze, si vede bene che il tiranno si muove sulla base delle leggi, non ne può fare a meno e quando, poi, il conservatorismo strisciante, proprio dell’essere umano, gliene fornisce un substrato, anche psicologico, già preconfezionato, il compito è ancora più agevole. E quindi mi chiedo come sia possibile che, in un recente passato, personaggi pubblici, che ora si atteggiano come illuminati riformatori del nord, abbiano proposto schedature dei bimbi rom (impronte digitali), che amministratori pubblici abbiano discriminato ed affamato bambini per motivi razziali, che parlamentari si siano macchiati di reati razzisti e facciano propaganda xenofoba e fascista in tutta Europa. E il tutto impunemente?, senza che alcuno protesti?.
Poi, arrivando ad oggi, non mi pare neppure immaginabile vedere i rinnovatori, quelli che vogliono scacciare i mercanti dal tempio, riconoscere lo status di interlocutori credibili a movimenti neo-nazisti, tra l’altro qualche giorno prima che ne arrestino una ventina di componenti a Napoli, magari molti incensurati (unico requisito per essere, a quanto pare, persone degne), che tra le altre cosucce da niente progettavano di “violentare una ragazza Ebrea”. Nel 2013?, violentare una ragazza Ebrea?… Allora vedete che è in atto un cortocircuito culturale, il limite è saltato ed invece dovrebbe essere invalicabile. Nel mentre, le folle, acritiche e passive, continuano ad osannare i loro piccoli profeti. Questo spirito acritico, purtroppo, viene da lontano, viene dalla famiglia e dalla scuola, viene da una società plasmata su di un concetto predominante, della morale e dell’essere, che non favorisce di certo l’accettazione dell’altro. Come spiega molto bene il filosofo ebreo Levinas, la concezione ontologica occidentale è quella che raffigura l’essere come immutabile ed eternamente fermo: un essere parmenideo spiegato e ricondotto ad un’unica regola razionale, senza spazio per le diversità, che devono essere circoscritte nell’ambito della norma. Invece non è così, il filosofo ha una sua concezione, quella che condivido: non esiste un solo essere, ma una molteplicità di esseri distinti e diversi, ognuno plasmato dalle proprie esperienze, che hanno un qualcosa di inaccessibile e misterioso che si svela all’altro solamente attraverso la comunicazione interpersonale. Nella vita di tutti i giorni, gli uomini, per vari motivi, educazione famigliare, scolastica, consuetudine, idea dominante, per la maggior parte ragionano in base ad un pensiero omnicomprensivo e sono veramente convinti di conoscere l’altro a priori, di poterlo spiegare con il proprio sentire, ma non è così.
Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera.
Sono gli intramontabili versi di “Ed è subito sera” di Salvatore Quasimodo: la solitudine irriducibile di ogni essere umano, nella mia personale interpretazione, illuminata in un fugace momento, prima del tramonto della coscienza, da un raggio di sole, una speranza vera. E quale è questa speranza?, una sola: conoscere veramente “l’altro da me”, perché solo tramite la conoscenza, l’accettazione della diversità, mi sentirò un po’ meno solo e arricchirò la mia “humanitas”. Niente di quello che è umano mi è estraneo (nihil humanum mihi alienum puto)…
Ricapitolando, l’etica dell’ “altro da sé” di Levinas, che faccio mia, dice una cosa importantissima: ogni individualità deve rispettare le differenze delle altre, differenze che sono mistero incommensurabile, in quanto inconoscibili. Quindi ogni uomo deve contrarre una responsabilità nei confronti del mistero costituito dagli altri (che si rivela solo con il dialogo e la conoscenza). L’indifferenza, il fare finta che non succedano le cose, non è una strada eticamente percorribile e proprio Levinas ebbe a dire. «A forza di temere di essere delle anime belle, si diventa delle anime villane».
Purtroppo ci si sta dimenticando del passato, si manipola, si nega, ma ancora peggio si cala, scientemente, un velo di indifferenza e silenzio sulla storia. Non è indispensabile cambiare i libri di testo a scuola, basta quella bella pratica tradizionale, molto in voga ultimamente, di far studiare solo quello che l’insegnante dice di sottolineare. Così facendo, tra le lacune dei testi, i silenzi e l’orientamento indotto, interi accadimenti, magari importanti, della storia umana, scompaiono dalle menti dei nostri figli. Il potere ha già cominciato, anche dal tentativo di eliminare alcune festività importanti, per i valori che rappresentano, come il 25 Aprile, dato che, mi pare, sia quasi obbligato a tollerare le celebrazioni del 27 Gennaio: sarebbe troppo cercare di cancellare un momento così importante. Meglio svuotarlo di significati veri, con un’opera continua di smantellamento delle coscienze e degli intelletti che parte da molto lontano, da tutte le riforme della scuola pubblica, come denunciava già Calamandrei nel 1951. Lui, tra le altre cose, diceva, in un passaggio, esattamente così: “Quello che soprattutto spaventa sono i disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori del regime”. Ci penso spesso, ma in particolare quando vedo, ogni anno, questi personaggi, i profittatori del regime, commemorare le vittime delle fosse Ardeatine, addirittura sfoggiando la kippah. E vi garantisco che, in queste occasioni, mi sento quasi male fisicamente. Se fossi religioso mi verrebbe da urlare: “Dio degli eserciti!…ma dove sei?”.
E la base, la “conditio sine qua non”, per l’esistenza della tirannia era, ed è, la tristezza che permea la vita, la “passione triste” di Deleuze, che così la definisce: “ …è un complesso che riunisce l’infinito dei desideri e il turbamento dell’anima, la cupidigia e la superstizione. Il tiranno ha bisogno della tristezza delle anime per riuscire, così come le anime tristi hanno bisogno di un tiranno per sovvenirsi e propagarsi. Ciò che li unisce è in ogni caso l’odio della vita, il risentimento contro la vita…”.
Niente di più vero: nei regimi, i tiranni per governare hanno bisogno della tristezza, degli uomini tristi. Nei regimi, i preti, i giudici e i guerrieri si occupano solo di giudicare e mutilare la vita, hanno bisogno di popoli che siano animati, più o meno scientemente, dalla “passione triste” di cui si accennava poco sopra. Sommiamola all’indifferenza delle genti, procurata in gran parte grazie agli artifizi di cui si parlava precedentemente e capiamo come siano possibili atrocità come il “Porrajmos”.
Una delle riduzioni più belle dei versi del pastore Martin Niemöller parla proprio di questo:
Prima di tutto vennero a prendere gli zingari
e fui contento, perché rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei
e stetti zitto, perché mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali,
e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti,
ed io non dissi niente, perché non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me,
e non c’era rimasto nessuno a protestare.
A furia di chiudere gli occhi, di blandire qualsiasi movimento al di fuori dell’etica, quella vera, oggettiva, che stabilisce dei confini morali uguali per tutti e non dettati dai gruppi dominanti…
a furia di corteggiare e tollerare (magari per una malriposta “sufficienza culturale”) singoli, gruppi, partiti ed associazioni al di fuori della storia e della costituzione, al di fuori dell’umanità, vuoi per cupidigia, per opportunità, per sete di potere o per semplice ignavia…
a furia di essere indifferenti, perché tanto sta capitando ad altri…
a furia di essere vittime tristi di superstizione, passioni bestiali, cupidigia dell’animo…
sono successe, durante le età dell’uomo, atrocità inenarrabili come il “Porrajmos”.
Gli Tzigani si videro riservato un trattamento terribile fatto di esperimenti scientifici e torture, umiliazioni senza fine e barbarie di un’efferatezza assoluta. Ma veramente triste e preoccupante fu ciò che accadde dopo la liberazione: il loro olocausto, per lungo tempo fu dimenticato, “paria” anche nel dolore. Poi per fortuna qualcosa si mosse, grazie a singoli e associazioni volenterose. Io ritengo che sia funzione importante di questa giornata ricordare e testimoniare tutti gli olocausti, restituire dignità a tutte le vittime, che per me formano un tutto unico, senza distinzione alcuna. Fare in modo che si realizzi e si perpetui, con la parola, con l’esempio e con l’educazione al rispetto dell’ “alterità” di ogni essere, l’accettazione dell’ “altro da sé”, unico mezzo per ricondurre la società ad una vera “emancipazione umana”. E si badi bene: accettazione e non tolleranza, perché tolleranza è un termine da bandire totalmente che, a mio parere, riduce il tutto alla mera sopportazione del prossimo. Così non può funzionare, nessuno può convivere con altri mediante la condiscendenza: l’ “altro da sé” va accettato come fratello nello spirito, portatore di valori e cultura, motore di arricchimento del nostro soffio vitale, non c’è altra strada.
Un ultimo pensiero rivolto ad una “grande anima” moderna, Charlie Chaplin: quando durante la guerra gli chiesero se era ebreo, lui rispose “Non ho questo onore”. Ecco io, in conclusione, voglio solo dire una cosa, tutte le volte che avviene una prevaricazione su uno qualsiasi dei nostri fratelli, possiamo pensare e testimoniare la stessa cosa: “anche io non ho l’onore di essere ebreo, nero, sinti, rom, kalè, palestinese, musulano, cristiano, buddista, ortodosso, siriano, ceceno…, ma è come se nello spirito, condiviso e senziente, lacerato e sanguinante, lo fossi”…
T’nas velto har sinto
T’nas velto har sinto
na kamavas i lixta,
naj vaves but
u farvi fon u blumi.
T’na lajdiomes
naj kraves pre
u jis ap hofnuga,
na vaves baxtale
ti vap jek sinto.
Naj ohne kamlaben
na šunaves zorle
i frajda fon jek galin,
i šmaxta fon jek duxo,
ketne fon smajxla.
Ti na viomen srakardó
krat har sinto…
na vaves froh
ti vap jek rom sinto.
Se non fossi nato zingaro
Se non fossi nato zingaro
non amerei la luce,
non godrei appieno
i colori dei fiori.
Se non avessi sofferto
non potrei aprire
il cuore alla speranza,
non sarei felice
di essere zingaro.
Se non fossi stato senza amore
non sentirei cosi forte
la gioia di un abbraccio,
la potenza di un respiro,
l’intensita di una carezza.
Se non fossi stato calpestato
proprio perché zingaro…
non sarei felice
d’essere un uomo zingaro.
Vittorio “Spatzo” Mayer Pasquale