“Caro sindaco Gazzaniga, perché avete cacciato dal Museo di Santa Croce Cuttica di Revigliasco?”

Santa Croce BoscoDue lettere aperte al sindaco di Bosco Marengo Gian Franco Gazzaniga, sullo stesso tema: l’allontamento del direttore del Museo di Santa Croce, Gianfranco Cuttica di Revigliasco.
Era così difficile evitare di distruggere ciò che era stato già fatto e con successo a Santa Croce?
All’uomo che ha portato all’attuale splendore il complesso monumentale di Santa Croce a Bosco Marengo è stato comunicato senza troppi troppi preamboli: “Devi andartene”.

Ci piacerebbe sapere il motivo di questa decisione signor sindaco; forse Gianfranco Cuttica di Revigliasco non ha lavorato bene non meritando di proseguire il lavoro sotto la sua amministrazione? Non portava un numero sufficiente di visitatori al complesso (cosa comunque assai difficile di questi tempi). Ha trascurato qualcosa di essenziale nel suo mandato? Si è reso responsabile di qualche manchevolezza? O forse perché si prodigava a sproposito nella cura del patrimonio artistico alessandrino. Come vede le nostre sono solo domande. Dev’esserci qualcosa che non sappiamo. Eppure rammentiamo la sua presenza all’inaugurazione della permanente dedicata a Matilde Izzia. Perché quel giorno non ha preso la parola dicendo agli invitati: “Cari Signori, da qui le tele se ne dovranno comunque andare insieme al direttore che le ha volute portare!”

Visto che già meditava di farlo, suppongo, perché non lo ha detto allora?

Ma la nostra lettera aperta parte anche da altre considerazioni.

Con la defenestrazione di Gianfranco Cuttica di Revigliasco che assomiglia di più a una sorta di esecuzione sommaria se ne devono andare anche le opere di Izzia. Perché? Non c’era più posto per le tele? Non c’erano altre sale in tutto il complesso monumentale che potevano ospitarle? Gli attuali direttori del museo preferiscono altri generi di pittura? Avevano dei sospesi personali col Cuttica? Come vede sono solo domande. Ma visto che la “decapitazione” di Cuttica è un fatto che non si può passare sotto silenzio gliene chiediamo pubblicamente la causa. Sicuramente non ci sarà nulla da nascondere. Qualcosa che non sappiamo.
Siamo abituati a parlare chiaramente e così, forse un po’ ingenuamente ci rivolgiamo a lei. Io rappresento molti dei proprietari delle tele che, con fiducia, hanno affidato I loro dipinti alla direzione del museo di Santa Croce. La nuova direzione ci risulta che più volte abbia ignorato la loro esistenza durante le visite, preferendo dire che la mostra non poteva essere visitata. Ce lo può spiegare oppure abbiamo capito male noi. In questo caso le chiediamo tante scuse. Ma una spiegazione deve esserci, le pare? Un’artista monferrina di riconosciuto valore e apprezzata anche dalla compianta Noemi Gabrielli (lei sa chi era Noemi Gabrielli, vero?) non trova spazio a casa sua. Non c’è posto per lei. O dovevamo forse pagare riscaldamento e affitto per far vedere le sue opere che avevamo offerte in esposizione col cuore a Santa Croce, senz’altro chiedere che ospitalità per una grande artista, allieva di Menzio e di Guido Capra, dei quali le sarà nota la rilevanza artistica. Abbiamo impiegato anni per raggruppare quei lavori e poterli selezionare ed esporre, pensando che meritassero il prestigio di Santa Croce, per fare un omaggio all’artista defunta da anni e che amava la sua terra e la sua gente sopra ogni cosa. Fortunatamente l’artista è scomparsa, l’avrebbe presa come un affronto. E pensare che la sua memoria vive in molti. Pensavamo di offrire ai visitatori del complesso la visione di un’artista moderna, di riconosciuto valore e con forti legami con la sua terra. Un lavoro lungo e inutile, andato in fumo quello di mettere insieme le opere, convincendo i proprietari ad affidarcele. E pensare che l’ultima parte del libro che ho scritto e che lei sicuramente conosce parlava proprio di Santa Croce e dei suoi progetti e di come raggiungere il sito, una promozione che abbiamo fatto volentieri, per far conoscere I suoi tesori. Una promozione inutile che ci lascia l’amaro in bocca.

Ora che le opera sono sparite da Santa Croce magari proprio lei ci potrebbe indirizzare verso un’altra sede espositiva. In molti gliene sarebbero grati.
Da una mia breve ricerca risulta che: il progetto per il centro di recupero Beni artistici mobili in caso di calamità è una idea nata ed elaborata da Gianfranco Cuttica di Revigliasco e dal Gruppo di protezione civile per i beni culturali di Alessandria “Antonino Poma”, rielaborata quindi in progetto dalla società consortile “Langhe Monferrato e Roero” di cui Cuttica era vicepresidente. L’attuale Amministrazione ha fatto suo il progetto ignorando chi vi aveva lavorato in precedenza. Il museo di Santa Croce non è stato solo gestito da Gianfranco Cuttica di Revigliasco e dall’associazione ma è stato realizzato anche con il contributo di fondi regionali e di fondazioni bancarie.
Infine la sezione dedicata a Matilde Izzia era ospitata in un settore dell’immobile ben distinto dalla zona museale dedicata all’arte sacra e ai dipinti di Vasari e correttamente individuata come sezione di arte contemporanea.

Ma se abbiamo dimenticato o detto inesattezze ce lo comunichi, per questo rimaniamo in attesa della sua indispensabile replica. Per portare chiarezza.

Mario Paluan – Milano

 
Uno sfratto in piena regola

 

Le opera di Matilde Izzia, dopo un anno esatto dall’inaugurazione della mostra permanenteBosco Marengo Santa Croce sono state fatte sloggiare dal complesso monumentale di Santa Croce a Bosco Marengo. Perché?

Sgradite? Ingombranti? Eredità di una precedente gestione che si voleva cancellare a ogni costo? O forse spiacevano a qualcuno. Tante supposizioni e una sola certezza: I dipinti là non ci sono più. E nemmeno il busto di donna che Matilde realizzò nello studio di Guido Capra, allievo di Leonardo Bistolfi. Forse non ritenute in linea e all’altezza con le opera vasariane ospiti nel complesso o perché la sua pittura non è propriamente di carattere religioso e poi sono opere del 1970. Infatti le sue creazioni avevano inaugurato la sezione di “arte moderna e contemporanea” in Santa Croce. All’affollatissima inaugurazione della mostra, il 14 aprile 2014 con tanto di sindaco, prefetto, autorità civili e militari, ed eurodeputati, il consenso e l’ammirazione erano stati unanimi, basta scorrere i giornali di quei giorni. Non una critica ma l’unanime consapevolezza del valore di una grande artista approdata a Bosco Marengo. E allora perché la mostra non c’è più?

Siamo andati anche noi a visitare la permanente, questa volta da soli, poco prima dello sfratto; in punta di piedi, consapevoli che forze contrarie a quelle che avevano volute la mostra, stavano spingendo via da Santa Croce quei capolavori. In uno degli innumerevoli saloni del complesso abbiamo ammirato le opere di Izzia in un allestimento che avrebbe fatto felice qualsiasi appassionato d’arte o direttore di museo. Cinquantatre tele, le abbiamo contate, una statua, disegni e acquerelli, dislocati su due piani, insomma una vera chicca per amanti del bello inedito e dell’arte in Piemonte. Un’esposizione in anteprima nazionale che dichiarava tutto l’amore dell’artista per la sua terra monferrina, che evidentemente non sa che farsene delle sue opere.

Ma lì non ci dovevano più stare. Oibò e perché? Qualche parola, poco più di sussurri da verificare sono usciti comunque da alcune persone in loco, pettegolezzi da corridoio che riportiamo più per dovere di cronaca che per altro. I pettegolezzi dicevano che la permanente di Izzia era semplicemente sgradita alla nuova direzione del museo e che la mostra ha seguito la sorte di chi l’aveva fortemente voluta: Gianfranco Cuttica di Revigliasco, ex direttore del Museo di Santa Croce a Bosco Marengo, sfiduciato dalla nuova amministrazione. Qualcuno addirittura vociferava che la nuova amministrazione del comune di Bosco Marengo si sia dichiarata incompetente nel considerare il valore delle opere e che la nuova direzione del museo propenda per un altro tipo di pittura. Che si voglia instituire un centro internazionale per il ricovero e restauro di opere danneggiate, proprio lì, dov’erano le tele (sviluppando un progetto che stava particolarmente a cuore proprio all’ex direttore Cuttica di Revigliasco “decapitato” dalla nuova giunta) E che insieme all’acqua sporca sia stato gettato via anche il bambino. Malignità a cui non vogliamo credere! E qualcun altro aggiunge anche: “A me spiace che i dipinti se ne vadano, mah, sa, quando arriva la ramazza nuova!”

Non è immaginabile una cosa del genere. Il valore dell’opera di Matilde Izzia non sarà quello di un Van Gogh, tuttavia….Noi che siamo degli ingenui però ci chiediamo: perché, se proprio c’era bisogno di quei locali, alle tele non sono state riservate altre sale del complesso? C’era solo l’imbarazzo della scelta.
E poi c’è dell’altro: Il sottoscritto aveva fatto parte di un folto gruppo di visitatori che lo scorso inverno aveva chiesto di vedere l’esposizione, ma gli era stato impedito e gli imbarazzati ciceroni avevano detto di non saperne nulla, dicendo che non era semplicemente possibile, senza troppo spiegazioni e che comunque non sapevano che fossero opere importanti. Un vero peccato perché avevo io stesso caldeggiato la visita al museo. E non ci ho fatto una bella figura con i miei compatrioti.
Certo che se trattate il vostro stupendo Monferrato in questo modo agli stranieri come me passerà la voglia di visitarlo.

David P. Gelman – Londra
un amico e innamorato del Monferrato