Eccoci ad un nuovo appuntamento con GiroVagando, alla scoperta di un nuovo itinerario tra paesi, architettura e storia del nostro territorio.
Stavolta torniamo nel tortonese, con un percorso molto suggestivo, partendo da
MONTEMARZINO
in dialetto è Marsen, dove la desinenza -sen, di origine ligure, sta a significare regione montanina o alta. In sintesi Montemarzino significa eminente regione montanina in posizione meravigliosa. Antico feudo imperiale dell’Oltrepò pavese, Montemarzino è un colle elevato e panoramico posto a cavallo tra la Val Curone e la Val Grue. Una brusca depressione a Sud del monte ha costituito fin da epoche remote il naturale valico tra le due valli, permettendo un incrocio fra antichi tracciati interni all’Appenino e le “vie del sale” che mettevano in comunicazione Genova con la pianura Padana. La posizione strategica del Monte che sovrastava il passaggio spinse, fin da epoche preistoriche all’insediamento a presidio prima dei Liguri poi dei Romani che ne conquistarono il territorio.
Si inizia la visita dai ruderi del CASTELLO situati sul colle che sovrasta la chiesa, posizione da cui si gode un panorama stupendo. I ruderi sono ciò che rimane della torre e del Mastio, poche vestigia sufficienti però a testimoniarne l’importanza. Fu uno degli antichi castelli della contea tortonese, su cui vantava diritti la nobile stirpe obertenga.
Sotto, la chiesa, la canonica e la superficie ora del municipio costituivano la parte del castello adibita ad uso gentilizio e civile.
La CHIESA di SAN GIOVANNI BATTISTA, è la parrocchiale ed è certamente antica come appare dal titolo di curia dato al paese. Trattasi di un ampliamento, in più fasi, della primitiva cappella gentilizia del castello. L’interno è a tre navate ed è ben decorata. Sulla volta si possono ammirare i dipinti del pittore Beroggi. Nella navata di destra ci si può soffermare su una grande e pregevole tela del ‘600 rappresentante ai lati i Santi Sebastiano e Rocco e al centro, con tutta probabilità la committente dell’opera stessa. Nella navata di destra, in una nicchia, si trova una pregevole Madonna del Rosario, opera lignea del Montecucco.
In frazione Scrimignano, si può ammirare un’antica abside romanica risalente all’XI secolo in ottimo stato di conservazione, della CHIESA di SANTA MARIA, costruita in conci di arenaria.
Da vedere il MULINO del BUE in frazione Barca di origine medioevale.
L’OLMO della REGUARDIA è un esemplare situato nei pressi della chiesa della frazione Reguardia di Montemarzino. L’olmo campestre (Ulmus minor Mill.) rappresentava un tempo un elemento costante del paesaggio agrario italiano, ma l’avvento di una temibile malattia fungina, la cosiddetta “graziosi”, ha causato la morte di gran parte delle alberate e degli esemplari più significativi appartenenti a questa specie, consentendo la sopravvivenza della stessa quasi esclusivamente allo stato arbustivo. La proposta di apposizione del vincolo è dovuta in particolare alle seguenti considerazioni:
Dimensioni: l’altezza pari a 28 m e la circonferenza di 350 cm rappresentano limiti dimensionali ormai difficilmente raggiungibili da questa specie e fanno dell’esemplare di Montemarzino uno dei più grandi olmi campestri segnalati in Piemonte.
Valore paesaggistico: l’albero, posto accanto alla chiesa in cima alla collina su cui giace Reguardia, è visibile da molto lontano e rappresenta una testimonianza di com’era il paesaggio delle colline alessandrine prima dell’avvento della graziosi.
Lasciamo alle spalle Montemarzino e ci avviamo verso
CASASCO
comune situato su un crinale spartiacque tra le valli Curone e Grue.
Le prime notizie storiche riguardo Casasco risalgono a documenti del IX – X secolo, dove il paese risulta “domusculta” del Monastero di Bobbio.
Tra gli edifici da menzionare la NUOVA CHIESA del CAPOLUOGO, comprendente l’area abbassata della chiesa vecchia, che è stata terminata nel 1928 e che reca ancora infissa nel muro della vecchia chiesa una croce di stile romanico, e il campanile (1920).
Attrazione del paese l’OSSERVATORIO NATURALISTICO ASTRONOMICO “A. ZANASSI” sorto nel 1997 a opera di privati i quali, costituitisi in Associazione ne hanno proposto al Comune, alla Comunità Montana ed alla Provincia l’ampliamento finalizzato ad attività di divulgazione, didattica e ricerca per uso pubblico. La sua collocazione sulla Costa di Magrassi, paesaggisticamente molto valida, è stata scelta per la facile accessibilità e per un inquinamento luminoso ancora moderato. Le esperienze realizzate dal 2000 al 2002 con scuole, Enti e privati, hanno reso evidenti le potenzialità culturali e, conseguentemente, di richiamo turistico qualificato dell”opera. (Strada Ca’ Simone – tel. 0131876253 – www.astroambiente.org – info@astroambiente.org).
Il paese successivo che incontriamo è
AVOLASCA
in mezzo alla valle dello Scrivia ne occupa il versante posto lungo la dorsale, che, diramandosi dal monte San Vito fa da spartiacque alle valli percorse dai torrenti Grue e Ossona. È un luogo da un paesaggio splendido e selvaggio, tra colli verdissimi e antiche ville.
Compare già in epoca longobarda fra i possedimenti dell’Abbazia di San Colombano di Bobbio.
Un tempo sede di un CASTELLO, probabilmente risalente al X secolo, ne conserva pochissime tracce (un muro della fondazione). Al suo posto sorge oggi la CHIESA PARROCCHIALE di SAN NICOLA eretta nel castello, probabilmente ampliando una cappella feudale preesistente, attorno all’anno 972. Sulla volta e lungo le pareti si alternano affreschi pregevoli e il coro ligneo dell’800 è di particolare valore.
In località Palenzona, un’altra parrocchiale è dedicata ai SS. PIETRO e PAOLO. Le origini sono di sicuro più antiche poiché da essa dipendevano le chiese di Avolasca e di Sarizzola staccatesi nel XVII secolo.
Sul culmine di un colle è la CHIESA dei BERSAGLIERI e TEMPIO NAZIONALE del RICORDO in memoria dei caduti delle guerre mondiali.
Da vedere anche l’ex ASILO MARIA e CATERINA CERRUTI inaugurato nell’agosto del 1926. L’opera porta la firma di uno dei più illustri architetti italiani dell’epoca: Gino Coppedè. L’asilo, con annessa cappella, è intitolato a Maria e Caterina, rispettivamente moglie e nuora di Alessandro Cerruti che aveva fatto di Avolasca un “buen ritiro” per la propria famiglia.
Ci spostiamo quindi a
GARBAGNA
paese posto sulle colline tortonesi a destra del torrente Scrivia.
L’architettura del centro storico richiama alla mente i borghi liguri: alte case addossate le une alle altre, vie caratteristiche, archi, portali scolpiti, qualche palazzo, come quello dei Fieschi-Alvigini, quello dei Cervini e quello dei Doria, dove risiedeva il Commissario del Feudatario, nella bella Piazza Doria. Qui al centro, sotto a un antico ARCO di PIETRA, si apre un POZZO PUBBLICO.
A lato della Chiesa Parrocchiale, però, si trova la piazza più antica, più nota come “a piassa da l’urmu”, la ‘piazza dell’olmo’, dove un tempo sorgeva un olmo secolare, testimone di tanta storia paesana. Era proprio in “platea sub ulmo” – come si legge negli antichi statuti medievali – che si sottoscrivevano accordi, si concedevano investiture e si facevano transazioni. Esiste ancora sul posto un’enorme pietra scura, la pietra del banco di giustizia, che in paese chiamano “a prega da l’urmu” (la pietra dell’olmo), dalla quale, secondo una tradizione, venivano pronunciate pubblicamente le sentenze, o, più semplicemente, essa sarebbe servita da pedana per il banditore che, seguendo un preciso rituale, dava lettura dei bandi e delle decisioni del feudatario o del suo commissario. È certo, comunque, che le “pietre dell’olmo”, sono citate in un atto del 24 Settembre 1435. Ancora ai primi del Novecento, i carradori del paese si servivano di quella storica pietra per modellare i cerchi delle ruote dei carri, come sarebbe riscontrabile dai segni lasciati sulla pietra stessa.
A dominio del paese sorgono i resti imponenti del CASTELLO, un austero maniero medievale a torre quadrata che, come gli altri nella valle, decadde dopo l’introduzione della polvere da sparo. Già nel XV secolo, però, il Castello portava evidenti segni d’abbandono e rovina, come si rileva in una relazione del 1479. Esso, infatti, appariva “in tanto debole essere che non se poteria dire pegio, et la torre è apena mezo levata (quindi quasi diroccata), et fortificata de fori de uno stechatello de ligno che ogni minima spingarda inimica la butterà giuso…”, mentre i deputati alla guardia “hanno un poco de pane et niente de vino, né munitione alcuna, salvo che circa cento ferri da saetami et loro balestre et armature”. Testimone di tante pagine di storia del feudo di Garbagna, oggi illuminato e rappresenta una bella passeggiata dal paese.
Quindi visitiamo la CHIESA PARROCCHIALE di SAN GIOVANNI BATTISTA, rifacimento settecentesco della primitiva pieve romanica dell’XI secolo. All’interno sono contenute pregevoli opere, quali un Crocifisso professionale e una Madonna lignea, attribuiti al Maragliano e accanto a un organo moderno, se ne conserva un altro del Seicento (il più antico della Diocesi Tortonese), un autentico gioiello dell’arte organaria italiana. L’Archivio Parrocchiale vanta un fondo pergamene e libri antichi di inaspettata ricchezza, che vanno dal X al XV secolo, oltre ad un raro messale del VII-VIII secolo. Addossata alla chiesa si nota ancora la base romanica del primitivo campanile lesionata dal terremoto del 1828 e ricostruito successivamente dall’altro lato dell’edificio.
Su Piazza Doria prospetta, invece, l‘ORATORIO di SAN ROCCO, che sulla facciata ristrutturata porta, in parte cancellati dal tempo, gli affreschi attribuiti al Carlone. È questa la sede di un’attiva confraternita, con la cappa rossa, che in paese organizza raduni di istituzioni consorelle con i loro artistici e colossali crocifissi professionali.
A due chilometri dal centro abitato sorge il SANTUARIO della MADONNA del LAGO, in località Lago di Feiga, la cui costruzione ci riporta ai tempi inquieti delle lotte tra Guelfi e Ghibellini. Proprio in quegli anni (era il 1341), infatti, la Madonna, apparendo ad una pastorella muta dalla nascita, avrebbe assicurato alla popolazione una pace duratura se fosse stata eretta una chiesa in suo onore. La ragazza scese in paese ad annunciare il desiderio della Madonna: il fatto che avesse acquistato improvvisamente l’uso della parola fu considerato un miracolo, e quel messaggio fu ritenuto un’espressione della volontà divina. Così si pose mano alla costruzione di una cappella e come per miracolo ritornò la pace. La cappella divenne, quindi, meta di pellegrinaggi nei venerdì del mese di Maggio (la festa principale avviene il terzo venerdì, con una grandiosa processione).
Nel secolo scorso, accanto all’antica cappella, venne eretta una chiesa nuova, più ampia, grazie soprattutto al contributo dei garbagnoli emigrati in America.
Nel Santuario possiamo ammirare: una statua raffigurante l’apparizione della Madonna del 1888, un affresco raffigurante la Beata Vergine Maria apparsa in vesti bianche con manto azzurro e le braccia incrociate sul petto, un affresco della Madonna Assunta di autore anonimo, altare di Sant’Antonio da Padova (1655), altare di San Francesco da Paola, Sant’ Agata e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi (1713), statua lignea della Beata Vergine del Rosario, opera dello scultore Maragliano (1740), altare della B. V. Assunta (1757), in marmo, opera di scuola genovese, balaustra di marmo di Carrara (1826) e statua dell’apparizione (1888) acquistata a Parigi. Inoltre si possono vedere i ruderi delle quattordici cappelle della Via Crucis. Il Santuario è aperto tutti i venerdì del mese di maggio, il 15 agosto, la seconda domenica di settembre e tutte le volte in cui al santuario si svolgono funzioni religiose.
La tappa successiva ci porta a
DERNICE
che sorge su un crinale che separa la valle del torrente Curone da quella del torrente Borbera, un insediamento abitato lungo l’antica via del sale, strada di importante traffico commerciale tra Genova e la pianura padana.
Il territorio comunale offre in ogni stagione lo spettacolo di suggestivi paesaggi per agli amanti del verde e agli appassionati di storia. La natura, a volte selvaggia, a volte plasmata dal lavoro millenario di generazioni contadine, regna sovrana. Il territorio è ricco di boschi, acque sorgive e forre, ma non mancano i tesori nascosti dell’arte e dell’architettura sotto forma di chiesette, nuclei plasmati da secoli di storia e capolavori dell’Arte povera che contraddistingue la storia dell’Appennino ligure-piemontese e delle sue genti. Il territorio è ricco di una fitta rete di antiche strade epiche (come la strada del sale), spesso sterrate indicate per escursioni a piedi, a cavallo o in mountain bike, alla portata di trekkers allenati ma anche escursionisti “della domenica”. Caratteristici sono i borghi medioevali di Vigoponzo, Montebore, Vigana e Bregni.
Questo paese fa parte del territorio culturalmente omogeneo delle Quattro province (Alessandria, Genova, Pavia e Piacenza) caratterizzato da usi e costumi comuni e da un importante repertorio di musiche e balli molto antichi. Strumento principe di questa zona è il piffero appenninico che accompagnato dalla fisarmonica, e un tempo dalla müsa (cornamusa appenninica), guida le danze e anima le feste.
Il nome di Dernice, dal latino “Darnisium”, compare nei documenti a partire dall’anno 869.
Nel paese si conservano i ruderi dell’antico CASTELLO, ricostruito dagli Spinola nel XV secolo e restaurato nel XVIII, caduto in disuso dopo l’estinzione della famiglia Sfrondati. I ruderi sono costituiti da una torre a base quadrata situata nel punto più alto del paese (la torre è stata abbassata perché pericolante, ma oggi si può salire sulla sua sommità da dove si ha una visione a 360° delle valli circostanti), un torrione a base circolare situato nella parte bassa del paese (l’edificio è privato, ma dalla strada comunale si può vedere molto bene). Esisteva anche parte delle antiche mura, oggi non più visibili dopo la realizzazione di una nuova strada. Oggi il “castello” e il suo parco sono proprietà comunale, aperta al pubblico, e offrono a tutti la possibilità di ammirare un incantevole panorama.
La CHIESA PARROCCHIALE del paese fu ricostruita da Carlo Spinola alla fine del XVI secolo e ampliata e restaurata nel 1902; conserva un interessante gruppo statuario ligneo raffigurante il martirio di San Donnino (l’unica statua che ritrae il Santo nel momento del martirio, l’iconografia classica lo rappresenta sempre dopo con la testa fra le mani).
SAN ROCCO, cadente oratorio, si trova sulla strada Comunale per San Sebastiano Curone e testimonia il periodo in cui anche a Dernice infierì la peste (1630).
Una frazione del comune di Dernice ha dato il nome a un caratteristico formaggio, tipicamente prodotto in queste zone, il Montebore. Nella frazione è ancora visibile il rudere dell’antica torre, alle cui fattezze pare ispirata la forma particolare del formaggio.
Concludiamo questo nostro secondo viaggio nel tortonese con la visita a
MONTACUTO
situato in val Curone, sul torrente Museglia, alle falde del monte Giarolo.
Sede di un’importante pieve del XIII secolo da cui dipendevano tutte le parrocchie della valle, fu feudo dei marchesi Frascaroli. Il patrono comunale è San Fermo e si festeggia la seconda domenica di agosto.
Montacuto possiede i resti del CASTELLO, ricostruito nel XVII secolo e in seguito abbandonato. L’attuale castello e gli edifici che lo compongono compaiono costruiti nei secoli XVII e XVIII ma sono ancora evidenti i resti del primitivo maniero, certo molto più antico.
La CHIESA di SAN PIETRO ricostruita in stile barocco, sostituì l’antica nella seconda metà dei XVIII secolo, ed è stata definita un piccolo grande gioiello dell’architettura barocca genovese. La preziosità va dall’irregolarità singolare della planimetria ai lavori di stucco e mezzo stucco che completano la decorazione: capitelli, lesene, putti, foglie. Attualmente rivive nel restauro del pittore Maietta di Tortona. La presenza pressoché continuata dei Marchesi Frascaroli, la comparsa degli Spinola e dei Doria, una strada di transito, testimoniano della presenza così ricca delle suppellettili sacre. Il ricordo della precedente, la Pieve di San Bartolomeo, rimane in alcuni capitelli romanici, che denunciano una costruzione di stile romanico in forme alquanto rozze: a sua datazione, dall’esame di una lapide posta sull’archivolto della canonica, fa risalire l’edificio al secolo XV.
Notevoli i tre seggioloni con stemma dei Frascaroli di fattura cinquecentesca; alcune tele di scuola genovese tra le quali: “San Giovanni Battista”, “Gesù inchiodato alla croce” che richiama un soggetto analogo nella composizione del Morazzone; un quadro più recente di Luigi Morgari “Il primato di Pietro”.
A Montacuto esiste anche l’ORATORIO SANTA MARIA IN CAMPIS. La chiesa dei Campi non è antichissima, come può facilmente suggerire lo stato di conservazione ed abbandono: i suoi primi ricordi risalgono agli inizi del cinquecento. Di una certa importanza sono due cicli di affreschi che ancora l’adornano databili rispettivamente al 1580 e al 1635, e che si possono far risalire a la scuola genovese: il primo evidenzia una serie di figure di Santi tra cui il Santo guerriero provenzale San Bovo, il secondo rappresenta scene di vita della Madonna. Anche la decorazione, contaminata e fatiscente, è divisa in ricchi scomparti, come nelle chiese genovesi: i colori sono vivaci e caldi nel rievocare, come in una sacra rappresentazione, le scene gloriose della natività e della giovinezza di Cristo.
Ed eccoci allo spazio dedicato ai consigli eno-gastronomici.
Da non dimenticare la frutta, pesche, mele, e, soprattutto, la Ciliegia “Bella di Garbagna” che è stata insignita del Presidio Slow Food.
I Vini rossi (Barbera e Dolcetto) e bianchi (Timorasso e Cortese).
Il salame decisamente gustoso e tra i formaggi il Montebore noto formaggio a latte crudo lavorato a castello la cui origine si perde nella notte dei tempi.
E poi i tartufi, sia bianchi sia neri, il miele (acacia, castagno, ciliegie e millefiori della valle).
Curiosità storica: a Montemarzino la Zebedassite
Nel passato la frazione di Zebedassi ha vissuto un periodo di “splendore” grazie ad una pietra che ha preso il nome dal paese, la “zebedassite” appunto.
Essa è un minerale “fillosilicato di magnesio e alluminio” e appartiene alla famiglia delle “saponiti”. E’ di colore nero con venature rosa e la zona in cui si trova è sempre stata conosciuta tra la gente del posto col nome dialettale “preghe nere”.
Per anni la zebedassite è stata impiegata nelle costruzioni e nelle abitazioni locali, ma il suo più redditizio impiego si è avuto agli inizi del ‘900 quando venne aperta una cava dove la pietra veniva tagliata in blocchi e trasportata faticosamente con i cavalli a valle. Da qui partiva per varie destinazioni, anche estere. Più avanti, per facilitare il trasporto a valle delle lastre di minerale venne costruita una teleferica (vedere illustrazione), ancora oggi ben visibile. Si tratta di quella curiosa costruzione collocata sulla strada provinciale n. 100 Tortona-Caldirola appena prima della frazione Sighera.
Col passare degli anni, diffondendosi l’uso di altri materiali migliori e più resistenti, la zebedassite cessò di essere richiesta e il suo uso rimase prettamente locale fino a scomparire del tutto negli anni ’50.
Principali fonti:
Siti istituzionali dei singoli Comuni
http://www.alessandriaturismopiemonte.it/ (Provincia di Alessandria)
wikipedia
www.terredelgiarolo.it
eventuali siti dei singoli monumenti