L’uso corretto delle cose [Il Flessibile]

 CorriereAldi Dario B. Caruso

 
Ci sono decine di studi da parte di numerose Università statunitensi.

Tendono a studiare come e perché nel tempo gli oggetti di uso comune vengano utilizzati con una seconda funzione, meno naturale di quella per cui sono nati ma talvolta addirittura più efficace.

Oggi i portacenere in onice contengono pot-pourri con fragranze esotiche, le ceste di vimini raccolgono vecchie audio cassette, i portamonete evitano di disperdere graffette e puntine, i segnalibri in cuoio ammucchiano polvere nei cassetti.

I ruoli stessi delle persone hanno subito modificazioni.

I messi comunali avevano il compito di essere cortesi e indicare in quale ufficio recarsi per un servizio.

Gli impiegati di banca avevano il compito di essere cortesi ed effettuare operazioni di cassa, erogare assegni, stampare documenti, tutto senza fare domande.

I vigili urbani girovagavano stancamente per le vie della città tra cittadini che pensavano male ma non avrebbero mai osato dirlo.

I medici di famiglia piombavano in casa e ti piazzavano con forza il freddo stetoscopio al centro della schiena bollente, tra un gridolino soffocato e un brivido sommesso.

I bambini avevano il compito di parlare a voce alta, schiamazzare nei cortili e, qualche volta, prendersi sonore sgridate e accettarle in silenzio e ad occhi bassi.

Le Università statunitensi trovano nell’evoluzione della razza umana qualsiasi spiegazione.

Riescono a spiegare addirittura come in soli cinquant’anni di storia siano passati attraverso una dozzina di tipologie differenti di presidenti, da Nixon a Trump passando per Carter e Obama, per Bush e Clinton.

Nella vecchia Europa l’uso corretto delle cose tende invece a consolidare la tesi secondo la quale modificare la destinazione d’uso di un oggetto rappresenti una sconfitta.

Talvolta, fa comodo a tutti sentirsi un po’ americani.