L’altra faccia della luna [ALlibri]

La sinistra alessandrina strumentalizza Umberto Eco...e intanto dimentica Delmo Maestri CorriereAl 1A cura di Angelo Marenzana

 

 

Ha trascorso metà della propria esistenza in carcere, ed è oggi forse uno degli ultimi brigatisti ancora dietro le sbarre. Si parla di Marcello Ghiringhelli, 75 anni,  con alle spalle una lunga carriera da legionario, da fuorilegge e da combattente clandestino ma un presente da scrittore scoperto e pubblicato dalla casa Editrice Algama.

Marcello Ghiringhelli non rinnega il suo passato e vive il ruolo da scrittore come strumento per  per «vincere il carcere». Non è il primo e non sarà l’ultimo detenuto a prendere una penna in mano, ma chi ha avuto modo di leggere L’altra faccia della Luna (ebook edito da Algama già disponibile nelle migliori piattaforme) parla di un romanzo che, come sottolinea lo stesso editore, sembra uscito dalla penna del miglior Clive Cussler, tra mercenari, agenti deviati della Cia e senzatetto dal passato oscuro.

“Non certo quello delle Br – dice Ghiringhelli (nell’intervista rilasciata a Gigi ghiringhelliMontero per le pagine de Il Giornale) – non c’è mai stato niente di misterioso ma è ovvio che in una lotta in clandestinità finisci per avere rapporti con il diavolo”, anche se qualcuno vede nelle trame che avvolgono il suo romanzo molte esperienze autobiografiche, con tanto di zampino di Cia e servizi segreti. La carriera di scrittore gli ha già procurato qualche grana: «Quando c’è stata l’inchiesta sulle “nuove Br” sono venuti a controllarmi e hanno scambiato i miei romanzi per “piani di battaglia”. Fa ridere adesso, ma mi è costato 7 anni e mezzo di alta sicurezza – racconta Ghiringhelli a Cronaca Vera – quando già potevo uscire in articolo 21. È stato come quando giocando a Monopoli ti rispediscono alla partenza». O addirittura in galera.

 

Londra, martedì 24 dicembre        laltra-faccia-della-luna

L’Ufficio Postale di Fleet Street, sullo Strand, era un bugigattolo stretto fra un’agenzia di pompe funebri e una ex tintoria chiusa probabilmente da anni, stando al colore sbiadito del cartello incollato alla saracinesca, su cui era scritto For sale. Il traffico del pomeriggio inoltrato era molto intenso nonostante la fitta neve, che scendeva senza sosta fin dalle sette del mattino. Passanti frettolosi rallentavano appena, transitando accanto alle vetrine illuminate per le merci natalizie.

L’uomo, fermo sul marciapiede di fronte alla Posta, gettò un’occhiata all’orologio e lo spostò in modo che fosse illuminato dal fanale più vicino: erano le 17.

  1. L’ufficio postale avrebbe chiuso entro sei minuti. Ricontrollò ancora, con attenzione, la gente che andava e veniva, incurante della neve che gli cadeva addosso.

Quando, finalmente, attraversò la strada, sulle spalle del trench e sul borsalino si era formata una pellicola bianca. Spinse il battente delle Poste ed entrò. Fu accolto da un piacevole tepore. Pulì le scarpe sullo zerbino e si scrollò il soprabito. Non c’erano altri clienti.

L’unica impiegata notò che era un bell’uomo sulla quarantina, non molto alto ma neppure basso, dal fisico piuttosto asciutto, ma dall’aria imponente. Sospirò pensando alla stazza del marito.

L’uomo la salutò con un cenno e mostrò il tesserino che lo identificava come affittuario di una cassetta di fermo posta: “C’è qualcosa per il 31?”.

L’impiegata ruotò sul seggiolino, prese dal casellario un grosso plico e glielo consegnò con un sorriso: “Brutta serata, vero?”.

“Già, e pare non ci pensi neppure a smettere”.

Ripose il plico nella tasca interna del trench. Salutò e uscì.

Riattraversò la strada e percorse Fleet Street verso est, per poi svoltare in Whitefriars, dirigersi fin quasi alla City of London School e girare in Tudor Street. Alla stazione del metrò di Blackfriars salì su un treno diretto a nord. Cambiò un paio di volte, l’ultima a Pentonville Road, e scese definitivamente a Kentish Town, alla periferia della città, dove recuperò un’anonima Ford Escort, vecchia di dieci anni, con la quale raggiunse la sua abitazione in Varndell Street, una strada tranquilla con pretese d’eleganza tra Regent’s Park e Euston Station.

Azionò il telecomando che apriva il cancello ed entrò in una villetta monofamiliare con un piano rialzato e un primo piano. Nel giardino coperto di neve emergevano qua e là dei sempreverdi, e un’alta recinzione garantiva la privacy da occhi indiscreti. Condusse l’auto in garage e, dopo aver appeso il trench e il cappello all’attaccapanni in corridoio, si recò in salotto dove ardeva ancora un po’ di fuoco nel caminetto. Lo ravvivò. Tolse la giacca, passò dietro al minibanco del bar e versò una razione di King Edward I in un bicchiere di cristallo, che depose sul tavolino vicino al fuoco, accanto al plico. Ritornò sui suoi passi e si fermò accanto a un mobile che conteneva un complesso hi-fi démodé, ma dotato di un modernissimo lettore di compact disc. Prese in mano diversi cd e scelse un’opera di Verdi, La forza del destino, diretta da von Karajan. Aprì la custodia e inserì il disco nel lettore. Accompagnato dalle prime note dell’ouverture, si accomodò in poltrona, restando assorto, con gli occhi chiusi, come se volesse assaporare la musica o il piacere di un nuovo contratto.

Sorseggiò del liquore e, da un cofanetto in raso blu sul tavolino di fronte afferrò un cigarillo colombiano, lungo e sottile, che palpò e annusò prima di accendere. Solo dopo aver tirato un paio di boccate prese il plico, poggiando il cigarillo su un enorme posacenere di cristallo. Tenne la busta in mano, la soppesò e tastò con dita esperte. Quindi colse dal ripiano del tavolino un sottile tagliacarte d’avorio cesellato e aprì il plico al contrario. Con il tagliacarte in una mano, infilò l’altra nella busta ed estrasse un pacchetto cellofanato di banconote da mille dollari. Le contò. Erano 250 biglietti ben conservati, ma usati. Li poggiò con il tagliacarte sul tavolino, centellinò whisky e riprese il cigarillo.

Tirò fuori dalla busta alcune foto a colori. Erano di un vecchio dai capelli bianchi e dallo sguardo fiero, ripreso in diverse occasioni: da solo, in piedi, all’interno del parco di una villa in montagna; durante un meeting in un salone, in compagnia di persone apparentemente familiari.

Le studiò per un momento, poi le poggiò sul tavolo accanto al denaro. Dispiegò il foglio dattiloscritto su cui erano riportate, oltre ai dati anagrafici del soggetto e le sue abitudini, tutte le informazioni che davano un quadro complessivo della persona. C’era pure un capitoletto sui sistemi di sicurezza. Le ultime righe, scritte in neretto, dicevano: “Contratto da eseguire entro e non oltre il 20 gennaio 1992. Il saldo di US $ 2 milioni saranno versati, come di consueto, sul numero fornitoci della Societè des Banques Suisses entro la data stabilita dal metodo stop and go”.

Ovviamente non c’era alcuna firma. In quel genere di affari esecutore e committente rimanevano nell’ombra e i contatti avvenivano soltanto attraverso una serie di sistemi che andavano dal fermo posta in una qualsiasi città al numero di una cabina telefonica in determinati giorni e ore, fino alla cassetta delle lettere situata in una chiesa, un cimitero o una sala cinematografica. Era chiaro che per contattare l’esecutore il committente doveva necessariamente avere le indicazioni attraverso una persona fisica, ma questo avveniva solo dopo un attento filtro antiprovocazioni.

Dopo aver riflettuto sulla lettera piuttosto a lungo, bevendo e fumando meccanicamente, posò il foglio sul tavolino e si alzò.

La voce tenorile di Placido Domingo, accompagnata dal suono dei legni e degli ottoni, invase la stanza. Alla finestra osservò il cadere lento e continuo della neve, come ipnotizzato. E la mente lavorò su un doppio binario: da un lato accostò il contratto eseguito in Kenya all’attuale, ragionandoci sopra, benché la cosa non lo riguardasse, e dall’altro elaborò i dati assimilati tracciando le prime linee del suo disegno.

Fu scosso dal suono di una pendola: erano le otto di sera. Digitò il numero dell’aeroporto di Heathrow, alla compagnia di aerotaxi. All’impiegata diede il nome Edwin Bush. “No, pago in contanti” concluse interrompendo la comunicazione.

(Tratto da L’altra faccia della luna di Marcello Ghiringhelli, Edizioni Algama)