Jackie Robinson e la barriera del colore [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

 

Nei primi decenni dello scorso secolo i Brooklyn Dodgers furono, costantemente, una delle peggiori squadre della lega. Famosa la volta che, per sbaglio, tre giocatori d’attacco si trovarono tutti in base… la stessa. Uno dei tre, Babe Herman, raccontó all’autore dello splendido ‘The Glory of Their Times’, libro che ha preservato la memoria del gioco all’era dei pionieri: “Mi sa che i tre uomini in terza ispirarono più ilarità che ogni altra cosa in tutti quegli anni. Conoscete la vecchia storia del tassista, vero? Un taxi sta passando davanti a Ebbets Field, e il tassista mette la testa fuori dal finestrino e grida a uno spettatore: “Come sta andando la partita?” “I Dodgers hanno tre uomini in base,” grida di rimando lo spettatore. E il tassista: “Quale base?”

All’inizio degli anni quaranta le cose cambiarono.

Nel 1941 i Dodgers andarono ad allenarsi, prima della stagione, a Cuba. Ernest Hemingway si fece vedere in giro con i giocatori, e divenne amico di Hugh Casey, il manager. Andavano a tirare al piccione tutti i giorni, dopo gli allenamenti. Talvolta, dopo un passaggio al casinò Ernest portava alcuni giocatori a casa sua per “incrociare i guantoni”.

Hemigway e Casey combattevano ferocemente finché la moglie di Hemingway non li mandava via.

La stagione del ‘41 del gioco del baseball fu memorabile. Joe Di Maggio dal 15 maggio al 17 luglio stabilì il record delle 56 battute valide consecutive, tuttora imbattuto.

Intanto il 2 giugno era morto Lou Gehrig, il giocatore delle 2130 partite  Jackie Robinson e la barriera del colore [Lettera 32] CorriereAl 1 consecutive, fermato dalla SLA, allora rarissima, che infatti per tanto tempo abbiamo conosciuto appunto come “morbo di Gehrig” (la terribile malattia che ha ucciso di recente molti calciatori, tra cui Gianluca Signorini e Stefano Borgonovo).

Quell’estate i Dodgers, dopo un duello memorabile con i Cardinals di St.Louis, vinsero il titolo della National League: la folla festeggió a Brooklyn, il 28 settembre, e alla parata del giorno successivo partecipó più di un milione di persone. Stava crescendo sempre più lo sconfinato amore del quartiere per la propria squadra.

La mente pensante di quei successi degli anni quaranta e poi cinquanta fu il general manager Branch Rickey. Tutti lo chiamavano Mahatma.

Jackie Robinson e la barriera del colore [Lettera 32] CorriereAl 2Il Mahatma si era trasferito a Brooklyn proprio da St.Louis e aveva mandato alla squadra satellite di Montreal un interno che aveva selezionato all’Università della California dove eccelleva in quattro sport: atletica, pallacanestro football e il baseball, che gli piaceva meno di tutti. Lo scelse non solo per le qualità atletiche ma perché capì che era in grado di reggere alle enormi pressioni, e alla gran massa di insulti che lo attendevano. Dopo un anno a Montreal lo portò alla squadra titolare e il 15 aprile 1947 i Brooklyn Dodgers schierarono, per la prima volta nel secolo, un giocatore di colore, il numero 42 Jackie Robinson, interrompendo una discriminazione razziale portata avanti da tutti i proprietari per oltre sessant’anni.

Anche inconsciamente uno ne era condizionato, scrive Roger Kahn a proposito della “barriera del colore”. L’erba era verde, il terriccio marrone e i giocatori bianchi.

Nessun giocatore di colore veniva ingaggiato nelle leghe maggiori. Anzi, esistevano le “Negro League”. L’intera popolazione di colore degli Stati Uniti nel 1920 era di circa 10 milioni e mezzo di persone. Nel 1945 erano 13 milioni e mezzo. Negli anni venti, la maggior parte di loro viveva nel sud, quasi tutti in fattorie, in condizioni non molto distanti dalla schiavitù.
I team delle Negro League erano del nord, cittadini, con la loro base d’attrazione fra la popolazione nera urbana (ad eccezione dei lunghi tour, il cosiddetto “barnstorming”, che era distruttivo per la stabilità delle squadre, dei campionati, delle leghe). Il pubblico era pescato in un bacino di un paio di milioni di persone, la maggior parte povere, sparse in una ventina di città.

Jackie Robinson, che lui pure veniva dal (profondo) sud della Georgia, come detto Jackie Robinson e la barriera del colore [Lettera 32] CorriereAlfu scelto per il suo carattere, prima ancora che per le doti da giocatore. Seppe resistere agli insulti razziali, alla discriminazione, sempre comportandosi come il più impeccabile degli esseri umani, al prezzo di capelli diventati prematuramente banchi. La sua storia è giustamente celebrata, e ovviamente trascende di gran lunga il solo significato sportivo.
Morirà giovane, appena cinquantatreenne, tradito prima dal diabete poi dal cuore, ma ha guadagnato un’immortalità che va ben oltre lo sport. Sua moglie Rachel, che al suo fianco è stata fondamentale per permettergli di sopportare quel che ha passato, come hanno ricordato anche Barack e Michelle in un sentito tributo, ha compiuto 95 anni a luglio e insieme alla famiglia ha dato vita alla cerimonia del primo lancio in apertura delle World Series 2017, a Los Angeles.
World Series che, dopo partite piene di emozione, i Dodgers hanno perso.

Tanto lo sapete: “puoi gloriarti del trionfo di una squadra, ma ti innamori di una che perde.”