Il concorso [Il Superstite 346]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 
Mancavano poco meno di due ore all’ora X. Sul palco tarlato di recupero della Bocciofila Mino al rione Cristo tanti ragazzi zazzeruti trasportavano amplificatori Binson 20 watt, casse di batteria e aste per microfono in un andirivieni sconclusionato e allegramente rumoroso.

Ognuno di loro si sentiva in cuor suo come se fosse stato appena sorteggiato per militare nei Beatles o nei Rolling Stones, alla meno peggio nei Rokes o nell’Equipe 84. In realtà i gruppi di appartenenza di quell’eterogenea massa di beneandanti esibivano nomi tanto sconosciuti quanto a loro modo geniali: i Cinque di Pietra (dove Pietra stava per Pietra Marazzi, senza alcun riferimento alla solidità dei caratteri), gli Angeli dell’Inferno, i 4 K, gli Squali, i Falchi, i Ramarri, i Players, i 4 Denny’s e persino un solista che si chiamava Don Pedro. E altri ancora.

Sì, perché quello era il primo concorso cittadino dei complessi beat. Amici, non esistevano discoteche (al massimo il Ciac Club di via Pontida e il CV…). Non esistevano radio private, né McDonald’s, né apericena in bar alla moda. Allora si contavano sulle dita i luoghi di ritrovo: la Piazzetta, qualche viale, un paio di bar e, nel circondario, balere e feste patronali. E poi le “bande”: quella di Piazza Mentana, i mods delle Casermette, i tipi di Piazza Santo Stefano che menavano come pugili a riposo.

Bene, il giovane dell’epoca che magari voleva pure rimorchiare, non aveva alternative: o suonava o suonava. Suonavano tutti. Bastava comprarsi un disco – Stones, Shadows, Searchers, non importava – e si partiva in quarta e si andava dal giovin Tito a comperare la chitarra. A imparare c’era tempo. Premeva soprattutto l’immagine: timido accenno a caschetto o comunque al lungo crine, basetta, stivaletti – meglio sporchi, giacche con 24 bottoni e polsini con gemelli che parevano limoni.

Ma torniamo al concorso. L’organizzazione, curatissima per l’epoca, era del duo Marzano/Pavese, gli Alan Freed locali che, primi fra tutti, ebbero il fiuto di capire fin dove poteva spingersi quella rivoluzione musicale che echeggiava dalla lontana Albione. I due avevano fondato la prima agenzia musicale per gruppi e cantanti locali, intuendo che la formula spettacolo/concorso era cartina di tornasole per il pubblico, in quanto ogni complesso si trascinava dietro amici e patenti in agguerrite claque festaiole, rissaiole, rumorose e comunque numerose.

Così, minuto più minuto meno, alle 19, un paio d’ore prima dell’inizio della kermesse, tutti i musicisti senza distinzione volevano provare ognuno con il proprio strumento e sull’amplificatore personale. Il fervore dei preparativi aggiungeva nervosismo al nervosismo. Urla, insulti, poi sul far delle 20, il teatrale arrivo dei primi divi già in tappa da serata: Lallo Schiavoni degli Oscar di Don Miko (ospiti d’onore ovviamente non in concorso), in camicia con colletto di mezzo metro e sul nudo torace almeno sette catene e altrettanti crocefissi; Tom dei Falchi con ciuffone impomatato, giacca con girasoli e basso a tracolla anche per andare a prendere un caffè; Sergio Vettori dei 4 Denny’s, con camicia ricavata dalla tenda del bagno e puzzolente gilè di lana d’agnello; Otello Vanni, il più sexy in Il concorso [Il Superstite 346] CorriereAlnude look trasparente e depresso per la scomparsa del distorsore con cui doveva suonare l’attacco di Bambina sola dei Profeti; Bernardo Beisso degli Squali con nessun vestito particolare, ma già segnalatosi per avere malmenato alcuni fan dei Cinque di Pietra a causa della nota rivalità Valle San Bartolomeo – Pietra Marazzi (gli Squali erano il gruppo di Valle).

Insomma, una bolgia, un Armageddon, l’apocalisse dell’era Beat, altro che il Festival di San Remo.

Alle 21 il cortile della Bocciofila Mino traboccava di gente: ragazze, ragazzi, adulti, pensionati, il mondo in ogni sua espressione. Sul palco avanzò una figura bionda, un’indimenticabile amica che si chiamava Elvezia che fu accolta da un corale urlo sovrumano. Chi vi racconta che gli alessandrini sono freddi, grigi e poco inclini a entusiasmarsi, non è mai passato di qui. Tra le urla anche qualche sacrosanto apprezzamento un po’ rude alla ragazza, poi Elvezia annunciò il primo gruppo e il primo pezzo: i Cinque di Pietra e Mare incantato. E subito arrivarono sul palco i primi stracci bagnati tirati da quelli di Valle. Si sarebbero udite ben otto versioni di Mare incantato, noiosissimo pezzo scolastico di allora del duo chitarristico Santo e Johnny: alla quinta esecuzione sul palco arrivò di tutto, persino un soriano vivo che artigliò la faccia del batterista dei 4 Denny’s.

A metà concorso, gli ospiti: prima Don Miko e gli Oscar e alla vista di Lallo scomposte masse di ragazzine ondeggiarono vistosamente in preda a un delirio erotico di massa. Quindi gli Hoods, mascherati come Diabolik, un vero e proprio fuoco di fila di musica ed energia. Il cortile esplose in un titanico ruggito.

Quindi il concorso riprese: arrivò Don Pedro con Vita mia, una hit di Memo Remigi, che non c’entrava proprio nulla con quel clima di sanissimo e trasgressivo proto-rock.

Era Alessandria.
Era il 1966.

Oggi il cortile della Bocciofila Mino, abbandonato e preda delle erbacce, ospita una simpatica colonia felina.