El partido del siglo e l’abatino [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

Domenghini e Mazzola
Boninsegna e Rivera
in panchina
in panchina
con Zoff

 

 

La trasmettevano a mezzanotte, in Italia, la semifinale dei Mondiali di Messico ‘70 tra Italia e Germania. Noi, come da definizione di un giornalista belga, avevamo fatto la “caisse d’epargne” nel girone, superato con un misero golletto, una ciabattata di Domenghini nell’esordio contro la Svezia. Invece nei quarti di finale contro i padroni di casa avevamo dominato: 4-1 e tre gol nel secondo tempo, quando il commissario tecnico Valcareggi si era inventato la staffetta tra Mazzola e Rivera.

Giusto per i più giovani, visto che per quanto mi possa sembrare incredibile sono El partido del siglo e l’abatino [Lettera 32] CorriereAl 1passati quasi cinquant’anni: Sandro Mazzola, figlio di Valentino capitano del grande Torino perito a Superga, mezzapunta con il fiuto del gol, era diventato da giovanissimo (si fece crescere i baffi per sembrare meno ragazzino) uno dei protagonisti dell’Inter che negli anni sessanta vinceva in Europa e nel mondo, fin dalla doppietta al Real Madrid nella finale di Coppa dei Campioni.

Gianni Rivera, alessandrino, enfant prodige, aveva anche lui già vinto due Coppe dei Campioni con l’altra squadra di Milano, nel decennio in cui San Siro era davvero la capitale mondiale del calcio. Centrocampista dai piedi buonissimi, con grande visione di gioco, il sommo Brera l’aveva etichettato “abatino” criticandone il non eccelso atletismo ancor prima di un presunto scarso coraggio (il “pallido prence mandrogno”).

Milano era spaccata in due, la stampa sportiva era spaccata in due, l’Italia era spaccata in due: con Sandrino o con l’abatino. Il saggio “zio Uccio” Valcareggi, che per conservare l’equilibrio della squadra non poteva rinunciare al fosforo del centrocampista “picchio” De Sisti né ai polmoni di Angelo Domenghini, tornante di quantità e qualità appena laureatosi campione d’Italia con il miracoloso Cagliari di “rombo-di-tuono” Gigi Riva (e anche il perché “Domingo” fu venduto dall’Inter agli isolani meriterebbe un racconto), varò dunque la “staffetta”: dentro nel primo tempo, quando si correva di più, il maggiormente atletico nerazzurro, poi calati i ritmi spazio al fosforo e ai piedi buoni del rossonero.

Quando a mezzanotte ora italiana Arturo Yamasaki, naturalizzato messicano ma in origine un peruviano arrivato da oriente (i giapponesi sono la più grande comunità straniera del Perù), fischiò l’inizio della partita, noi venivamo da una recente storia di fallimenti ai mondiali del dopoguerra: in particolare, otto anni prima buttati fuori con ignominia nel girone dai padroni di casa del Cile, con Rivera già in nazionale ma non schierato nella cosiddetta “battaglia di Santiago”, e quattro anni prima addirittura eliminati dalla Nord Corea, quella che proprio “zio Uccio”, allora vice di Mondino Fabbri, aveva definito squadra di “ridolini” (nome con cui da noi era conosciuto Larry Semon, un attore delle comiche dei tempi del muto). E a Middlesbrough, nella sconfitta che ricorderemo per sempre per il gol del presunto dentista Pak Doo Ik, erano in campo tutti e due, Mazzola col numero 9 e Rivera col 10. Anzi, il ragazzo di Valle San Bartolomeo fu probabilmente l’unico a salvarsi, anche lottando con impegno fisico non comune, in quella partita disgraziatissima.

Rileggendo i giornali di quei giorni, tra le notizie sulla nostra vittoria col Messico e l’attesa per la semifinale con la Germania, si trovano molte cose interessanti.

In California si scelgono i giurati per il processo a Satana-Manson (il “diabolico capo hippy”).

Pagine intere sono dedicate all’avvelenatrice innamorata di Ciriè. Il giallo del cianuro nel fernet appassiona i lettori: Enza, studentessa ingenua, è vittima di uno sfruttatore, e dopo la tumultuosa relazione con un industriale, il primo la ricatta mentre il secondo minaccia di ucciderla. Così lei, che nel frattempo ha trovato un promesso sposo, mette il cianuro nella bottiglia del fernet ma un’altra persona e non l’industriale beve il liquore.

Una fotonotizia spicca negli spettacoli: “Raffaella, Venere privata”. Raffaella è la Carrà che gira un film, non ancora bionda. Il giovane Giancarlo Giannini, domenica 16 alle 21 sul canale nazionale interpreta Bob in “Bob Kennedy contro Jimmy Hoffa”. “Tre grammi di una polvere misteriosa sequestrati in casa di Chiari e Luttazzi”: è l’inizio di una lunga trafila giudiziaria con i due personaggi dello spettacolo arrestati e Lelio Luttazzi, famosissimo presentatore della ‘Hit parade’ radiofonica, vittima di un errore giudiziario che avrà gravi conseguenze sulla sua carriera e sulla sua vita.

Mentre Alessandria è sede del “convegno regionale dei sacristi piemontesi”, tra le autorità locali si dibatte perché, come scrive a pag. 19 della Stampa f.m. (la firma del grande Franco Marchiaro), la città “vuole la sua Università”, e ad animare la richiesta interviene il nostro “assessore alle finanze dott. Luciano Vandone, assistente ordinario di economia politica all’Universitá di Genova” (come noto lo stesso professore ricoprirà nuovamente il ruolo, essendo al centro di altri dibattiti, pochi anni fa).

Prima della semifinale ci sono due gustosi fatti che letti oggi fanno sorridere e danno un segno del tempo passato.

El partido del siglo e l’abatino [Lettera 32] CorriereAlIncerta resta fino alla vigilia la sede della semifinale. Solo dopo la disputa dei quarti il sorteggio decide dove giocheranno gli italiani. Due le sedi possibili: Città del Messico o Guadalajara?

Intanto, ricopio testualmente da un giornale:Nicolò Carosio ha avuto una “disavventura” televisiva per aver definito “negraccio” il guardialinee etiope che ha annullato il gol di Riva in Italia-Israele. Per questo motivo Carosio non ha più commentato le telecronache della Nazionale italiana ai mondiali.”

Quando a mezzanotte ora italiana sul terreno dello stadio Azteca entrano le nazionali di calcio di Italia e Germania, Gianni Rivera siede “in panchina, in panchina con Zoff” come dice la canzone ‘Ossessione 70’ scritta da Fausto Cigliano nei giorni del mondiale e interpretata addirittura da Mina, la “tigre di Cremona” (ah, la meraviglia dei soprannomi che si coniavano allora).

(fine prima parte)