Messico e nuvole [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 
“Chi lo sa come fa
quella gente che va fin là
a pronunciare un sì… mah!
(…) Queste son situazioni di contrabbando
a me non sembra giusto neanche in Messico, ma perché?
Messico e nuvole la faccia triste dell’America…”

 

In una tragedia terribile, come quella che ha colpito il Messico nei giorni Messico e nuvole [Lettera 32] CorriereAl 1scorsi, una delle immagini che si sono viste di frequente soprattutto da noi in Italia è quella dello stadio Azteca danneggiato (non gravemente peraltro).

So bene che non è la più importante, anzi può sembrare sciocco pensare a uno stadio quando i danni sono ben altri e gravissimi. D’altronde, lo sapete immagino, da noi l’Azteca resta un posto speciale. Lo stadio del “partido del siglo”.

In effetti prima del “partido del siglo” il Messico, oltre che il posto dove andavano a sposarsi gli italiani che si rifacevano famiglia quando ancora non c’era la legge sul divorzio (vedi la canzone scritta nel fatidico 1970 da Paolo Conte e cantata da Jannacci), e tra gli sposi Fausto Coppi e la “dama bianca”, era ricordato pure per un paio di eventi sportivi.

Dal 1950 al 1954 le sue strade furono percorso della Carrera Panamericana, una specie di Mille Miglia che lo attraversava tutto, da Tuxtla Gutiérrez, capitale del Chiapas lo stato più a sud, fino a Ciudad Juárez, giusto di fronte a El Paso, cioè al confine con gli USA dalle parti dove Trump dice di voler costruire il muro. Una gara epica con vetture sport che correvano a più di duecento all’ora tra paesini e strade dissestate, vinta due volte dalla Ferrari e una dalla Lancia (guidata da Fangio), spesso funestata da grandi tragedie (lì morì anche il pilota italiano Felice Bonetto) o da incidenti bizzarri, come il parabrezza della Mercedes di Karl Kling e Hans Klenk sfondato… da un avvoltoio!

Una corsa durata solo cinque anni, che ci ha però lasciato come memoria, tra l’altro, il nome della più bella delle Porsche, la Carrera appunto.

E, ovviamente, le Olimpiadi del ’68, le prime in altura ma anche le prime in cui la Messico e nuvole [Lettera 32] CorriereAl 2politica entra con decisione nelle gare sportive, e infatti l’immagine simbolo rimane il saluto sul podio con il pugno guantato di nero di Tommie Jet Smith e John Carlos, ma non dobbiamo nemmeno scordarci i molti studenti morti pochi giorni prima dell’inizio delle competizioni, uccisi dall’esercito durante la protesta (pacifica) nella Piazza delle Tre Culture, quando rimase ferita anche la Fallaci.

“Intanto la sparatoria si era fatta ancora più intensa (scriverà Oriana nel primo reportage per L’Europeo). Le raffiche partivano dalle mitragliatrici delle autoblindo, che circondavano la piazza, e dai mitragliatori e dai fucili automatici dell’esercito, e dai granaderos, i granatieri che qui chiamano granaderos, e infine da questo elicottero che si abbassava sempre di più, capisci, e sparava sulla folla ormai sparsa per tutta la piazza e sulla terrazza dove eravamo noi. Ho spiegato che su questa terrazza l’unico punto in cui si poteva cercare un pochino di protezione era sotto la balaustra, sotto il muricciolo, e sotto il muricciolo si sono messi tutti questi poliziotti col guanto bianco e le rivoltelle in pugno, puntate contro di noi e noi, che eravamo i detenidos, gli arrestati, siamo stati messi invece dalla parte del muro. Così eravamo un bellissimo bersaglio per quelli che sparavano dalla piazza, dall’elicottero, eravamo un bersaglio per tutti.”

Olimpiadi del 1968 che furono notevoli per i risultati sportivi, con protagonisti che ancora ricordiamo a quasi cinquant’anni di distanza, dal nostro tuffatore Klaus Dibiasi alla meravigliosa ginnasta Věra Čáslavská.

Dick Fosbury inventò uno stile e rivoluzionò il modo di saltare in alto, Bob Beamon sembrò restare per sempre in aria nell’incredibile 8 metri e 90 in lungo.

E un record mondiale nel salto, in questo caso triplo, lo fece anche un italiano, Giuseppe Gentile. Peccato Messico e nuvole [Lettera 32] CorriereAlche il suo record sia durato solo lo spazio di una notte.

Giuseppe Gentile, nipote del filosofo Giovanni, laureando in legge, si presentò ai giochi forte di un buon primato italiano. Che migliorò di ben 36 centimetri in qualifica, atterrando dopo i tre balzi a 17 metri e dieci. Il record mondiale era vecchio di otto anni, il 17,03 del polacco Szmidt, il primo a superare la barriera dei diciassette metri, vincitore delle Olimpiadi sia a Roma ‘60 sia a Tokyo ‘64. Poi, in finale, Gentile andò ancora più in là, a 17,22 subito al primo tentativo.

Medaglia d’oro già al collo? No, perché durante i quattro nulli di un atleta ovviamente scarico dopo l’incredibile exploit, lo scavalcarono ben due avversari, il russo Sanejev e il brasiliano Prudencio.

Merita leggere quello che scrive lo stesso Gentile: “Il mio record mondiale, che ieri sembrava fantastico, oggi frutta appena un terzo posto. Ma ho un ultimo salto. Ogni volta che salgo sulla pedana, sento che sto tentando l’ultima carta; ma questa volta è l’ultima davvero, almeno per le Olimpiadi messicane. Parto. Ci metto tutto quello che ho. Nemmeno a mio figlio, in quell’attimo, potrei dare qualcosa di più di quanto getto in questa rincorsa. Il primo balzo. E la destra cede. Al diavolo tutto.”

Due anni dopo quelle gare del 1968 la carriera di Giuseppe Gentile è, agli alti livelli, di fatto finita, lui intanto ha esordito nel cinema e non con un regista qualsiasi, con Pier Paolo Pasolini (e la Callas co-protagonista). Chissà se anche lui è davanti al televisore nella notte tra il 17 e 18 giugno 1970 quando sul terreno dello stadio Azteca entrano le nazionali di calcio di Italia e Germania.

(la prossima settimana: El partido del siglo e l’abatino)…