Auguri al re [Il Superstite 344]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

Nel 1983 Stephen King aveva 36 anni e aveva già scritto Carrie, Le notti di Salem, Shining, A volte ritornano, Cujo, L’incendiaria, La zona morta, L’ombra dello scorpione, Christine, Pet Sematary e il saggio Danse Macabre.

Io di anni ne avevo 33 e volevo scrivere un libro su King, partendo dall’analisi della sua narrativa, per i parametri di allora già notevole, affiancando una comparazione tra i libri e i film tratti dalla sua opera che già affollavano gli schermi.

Individuai quindi alcuni temi fondamentali che raggruppai in 5 capitoli.

Nell’introduzione esponevo le linee generali dell’interpretazione: King che si dichiarava interprete delle angosce e dei terrori di una generazione di americani, tormentato dalla consapevolezza di non avere avuto altra strada se non divenirne il narratore, comunque accompagnato da uno straordinario successo dovuto alla ferrea realizzazione del suo prodotto letterario. Le tecniche del melodramma, un alto livello retorico di elaborazione, l’uso di immagini e di luoghi emotivi ossessivamente ricorrenti e soprattutto il clima di “restaurazione morale” che caratterizzavano le sue opere, gli avevano attirato un pubblico che riconosceva in lui non tanto l’autore di un ben congegnato prodotto di consumo, quanto più o meno consciamente l’immagine, accuratamente gestita da King, di un Padre che non inganna: terrorizza sì, ma rassicurando apertamente il lettore che a questo avviene a fini educativi.
Un’iniziazione e una riscoperta insomma degli antichi valori del narrate. E tutto questo facendo sì che si sdoganasse per la prima volta il genere horror a livello di consumo di massa.

Nel primo capitolo si analizzavano il valore e l’importanza della Auguri al re [Il Superstite 344] CorriereAlmemoria: il recupero di un passato, sia esso l’infanzia personale e/o la storia americana che non può che divenire disagio e incubo. Tema strettamente connesso all’importanza che aveva per King la sua educazione puritana, il concetto del peccato, della colpa e dell’inevitabilità del Male.

Nel secondo capitolo si esaminava il tema dell’infanzia centrale nelle rappresentazioni demoniache che gli adulti ne danno, nonché la relazione tra le capacità paranormali dei bambini kinghiani e il disagio esistenziale di un’intera società. Capacità che i bambini utilizzano soprattutto per smascherare il Male che si nasconde dietro e dentro l’adulto-nemico.

L’immagine del Padre come seduttore e Uomo Nero era l’oggetto del terzo capitolo, come pure il rapporto complesso e contraddittorio che King aveva con l’immagine di narratore di storie terrificanti. Ne emergeva il tema fondamentale della paura come punizione di una colpa segreta.

Le immagini del terrore come fatto fisiologico erano analizzate nel quarto capitolo. La distruzione del corpo, il sangue e la violenza non mostravano in King nulla di voyeuristico, di ironico o di eversivo. Erano pertanto rigidamente giustificate e pertanto riconducibili all’ambito della restaurazione di valori “morali”.

Nell’ultimo capitolo si esaminavano le immagini della morte, grande tema kinghiano. Il disfacimento del cadavere, la perversa presenza del corpo oltre la tomba, erano parte essenziale della poetica di King che appariva in perfetto accordo con l’emergere di questo grande rimosso sociale americano nella letteratura horror.

Nella conclusione si proponeva una lettura dello scrittore che si accentrava sul suo proporsi come interprete di una necessità piuttosto che come produttore di un sovrappiù. Con King che riteneva che il mondo deve, per così dire, necessariamente avere come scopo estremo l’essere descritto nelle coordinate e negli stereotipi di un romanzo dell’orrore, e che con estrema serietà rifiutava di mettere in discussione quella che considerava una vera e propria “chiamata” alla quale non aveva potuto sottrarsi.

Bene, impacchettai per bene lo schemino – che è proprio questo che avete appena letto, ovviamente non coniugato all’imperfetto – e mandai la proposta in giro, un po’ qua e un po’ là, a quelle realtà editoriali che mi sembravano funzionali allo scopo. Non mi cagò nessuno, ma chi lo fece addusse motivazioni sconcertanti del tipo “ma chi mai sarà Stephen King per farci un libro” e, con il senno dei 44 anni trascorsi, non c’è affatto da stupirsi: erano i tempi in cui si leggevano notizie a proposito di Stanley Kubrick che aveva tratto un film dall’ennesimo romanzaccio horror di tal King ed erano i tempi in cui il solo Oreste Del Buono scendeva i campi per difendere dagli strali idioti dell’italica intellighenzia tutta la bontà indiscutibile del romanzo Shining.

Per carità, poi allora come oggi, ci stanno tante altre considerazioni sull’opportunità di mandare un libro alle stampe, a partire dal “chi è” dell’autore per arrivare a soppesare quanto possa tirare la saggistica tra lo specializzato e il divulgativo. Però dal 1983 a oggi credo che siano usciti solo in Italia quasi 25 ottimi saggi di autori italici e stranieri. Per dire che un mercato esiste e come e che io stesso peraltro non ho buttato via quasi nulla di quella proposal perché molte di quelle riflessioni confluirono poi in Vien di notte l’Uomo Nero che uscì nel 1997.

Un dato quanto mai interessante sarebbe verificare oggi se tutte quei ragionamenti partoriti a fronte di una dozzina di titoli stiano ancora in piedi nel 2017 quando ormai dei titoli si è perso il conto. Secondo me sì, ovviamente aggiustando e ampliando un po’ il tiro qua e là. Ad esempio, per merito del nostro il mito sull’Uomo Nero è via dilagato, complicandosi e ampliandosi in modo affascinante tanto in letteratura che al cinema, e di sicuro quel capitolo oggi nell’inesistente libro sarebbe centrale.