La schiavitù degli uccelli rapaci non è una festa

La schiavitù degli uccelli rapaci non è una festa CorriereAlHo appreso dalle pubbliche affissioni che il 16 e 17 Settembre a Pozzolo Formigaro (AL) si svolgerà la Festa medievale con cena, trampolieri, trovatori, accampamento, combattimenti armati, mangiafuoco, laboratori didattici e falconeria.

I rapaci usati per la falconeria subiscono un forte condizionamento poiché sono privati dei loro comportamenti naturali. Il rapporto che li lega all’essere umano non è di natura affettiva ma è basato su un meccanismo premiale legato al cibo, alla dipendenza che l’essere umano crea, piegando l’indole fiera di un uccello ridotto a schiavo, chiuso in gabbia o legato su un posatoio, spesso lasciato parecchie ore con il cappuccio, costantemente manipolato per fargli dimenticare di essere animale selvatico. I rapaci sono animali selvatici e, anche se allevati in cattività, non diventano domestici ma addestrati, condizionati e privati di ogni istinto, trasformati in meri strumenti. Quelli utilizzati in spettacoli, rievocazioni medievali e fiere sono assimilabili agli animali da circo ma purtroppo contro la falconeria il dissenso è debole e ciò fa sì che il fenomeno sia in crescita con un giro d’affari milionario e con un commercio, legale e clandestino, sempre più rilevante. Così la falconeria è diventata patrimonio dell’U.N.E.S.C.O.
http://www.unesco.it/it/News/Detail/230

nell’indifferenza generale, senza che si comprenda la sofferenza inferta a questi animali tenuti prigionieri, forzando il loro modus vivendi.

Dietro la falconeria c’è un consistente commercio di rapaci nati in cattività ma che derivano da uccelli predatori selvatici, considerati protetti dalla Legge 157/92
e inseriti nella Direttiva 2009/147/CE .

I rapaci necessitano di una particolare protezione, di misure speciali di conservazione per garantirne la sopravvivenza e la riproduzione. Molti animali usati dai falconieri sono stati sottratti illegalmente dai nidi, compromettendo così il buon esito della riproduzione e di conseguenza la sopravvivenza della popolazione selvatica. Il prelievo di esemplari catturati in natura e poi fatti riprodurre incrociandoli tra specie affini è una pratica inconcepibile in un’ottica protezionista di queste specie a rischio. Sono gli stessi falconieri a inneggiare alla cattura:
«(…) Le catture sono fondamentali per la Falconeria; magari controllate, regolate, autorizzate, ma pur sempre fondamentali. Noi voliamo falchi per “cacciare il selvatico nel suo ambiente naturale”; e cosa c’è di più geneticamente perfetto a compiere questo atto se non un “selvatico”? Pensate veramente che la soluzione sia la continua ibridazione di falchi nati in cattività? Pensate veramente che tra 5, 10, 20 anni i falchi manterranno ancora quelle peculiarità che li rendono così magnificamente perfetti? La morte della Falconeria saranno i falchi “domestici”; mostri senza grazia, e senza anima. (…) Catturare è sbagliato solo se lo si fa nel modo scorretto e per fini spregevoli; Sarebbe meglio focalizzare l’attenzione sul concetto di catture “Illegali”, piuttosto che generalizzare sull’idea di cattura-azione ignobile. (…)»

E poi c’è la didattica. I falconieri giocano la carta della didattica, come se fosse un dono e un piacere offerto alla comunità, mostrando da vicino la bellezza di animali da sempre inarrivabili ora rinchiusi e sottomessi. In realtà, nulla di ciò che viene mostrato di quegli animali è simile alla loro vera natura che è quella di animali schivi e timorosi verso l’essere umano. Feste e sagre offrono spettacoli di falconeria quando sarebbe doveroso promuovere e sostenere iniziative in cui viene ridata la libertà a rapaci recuperati da gabbie o da ferite d’arma da fuoco, curati e riabituati al volo e all’ambiente naturale. I falconieri fanno esibire i propri animali in ambienti rumorosi, in mezzo a folle vocianti, sotto luci abbaglianti. Non vi è alcun valore didattico nell’insegnare al pubblico, specie a bambini e ragazzi, che sia giusto tenere prigionieri animali a scopo ludico o venatorio: bisogna insegnare il rispetto per gli animali, non la prevaricazione su di loro tramite un addestramento che non è certo una passeggiata: sono gli stessi falconieri a rivelarlo. «L’addestramento dei rapaci diurni può essere classificato in diverse tipologie a seconda del tipo di falconeria che si vuole praticare: addestramento alla caccia (falconeria classica), al logoro (falconeria alternativa), professionale al Bird-control, per spettacoli. (…) Obiettivi: A) Ammansimento e conoscenza del pugno B) Condizionamento al pugno C) Condizionamento al fischio D) Addestramento al logoro E) Fitness, muscolatura e preparazione tecnica del rapace. (…) In linea generale comunque l’addestramento di un rapace si basa su alcuni principi etologici e fisiologici (…): 1) Imprintig (…) 2) Assuefazione (…) Questo processo di adattamento agisce esponendo il rapace a stimoli così continui e costanti che l’animale cessa di rispondere a essi. 3) Condizionamento: Il condizionamento psicologico è lo strumento più potente che il falconiere solitamente utilizza per addestrare un rapace. Il principio del condizionamento si basa sul concetto di “premio” e di “collegamento”. (…) 4) Fisiologia alimentare: il fulcro su cui lavora il falconiere per incitare il rapace a saltare sul pugno o a ritornare quando viene richiamato ma anche ad attaccare una preda (vera o simulata) durante i voli liberi è la fame. (…) Per incoraggiare il rapace ad eseguire gli esercizi di salto sul pugno si sfrutta il momento in cui esso ha fame (…)
L’addestramento di un rapace avviene dunque in maniera graduale: per prima cosa bisogna ammansire il rapace, abituandolo a stare sul pugno, mangiare sul pugno, farsi incappucciare e toccare e non avere paura del falconiere. Successivamente, usando la gestione della fame e il condizionamento si insegna al rapace a saltare sul pugno, da distanze via via maggiori in un ambiente chiuso e contemporaneamente lo si condiziona anche al fischietto (…). »

Dunque la fame, istinto primordiale da soddisfare, è la carta vincente, il ricatto sublime di questi addestratori incoronati dall’U.N.E.S.C.O.

Il falconiere è davvero affascinato dalla bellezza dell’animale, dal sentimento di possesso verso tale disgraziato soggetto del quale manipola la psiche indebolita dalla prigionia. Nella mente dell’animale prigioniero compare uno spiraglio di luce quando l’essere umano gli tende la mano per offrirgli cibo o un gesto d’affetto. Si crea così l’illusione di attaccamento alla persona magnanima che è però la stessa ad avergli tolto la libertà. Infatti, una volta liberi, gli uccelli si sentono sperduti perché incapaci di immaginarsi una vita all’esterno quindi tenderanno a far ritorno sul braccio dell’aguzzino, poiché non immaginano come potrebbero altrimenti avere cibo e riparo.

La differenza tra gabbia e cielo è evidente anche a un bambino di età prescolare e sorprende che non sia evidente all’U.N.E.S.C.O.: la gabbia è il carcere, il cielo è la libertà. I rapaci vivono come carcerati ai quali si regala l’ora d’aria per restare in allenamento e servire meglio il carceriere. Il punto non è quanto sia grande una gabbia ma la gabbia stessa.

Cordiali saluti.

 

Paola Re
Consigliera e responsabile petizioni di FRECCIA 45
Associazione di promozione sociale per la protezione e difesa animale