TAV Noir e Giorgio Bona [Il Superstite 340]

ATO6: "Crisi idrica, i cittadini siano più parsimoniosi con l'acqua" CorriereAl 1di Danilo Arona

 

 

Di Giorgio Bona, grande amico e scrittore eccelso, tutto si può dire meno che ci cucini sempre lo stesso libro. Sfuggendo con arguzia e forse involontaria strategia, Giorgio scivola tra generi e filoni (terminologie quanto mai discutibili, lo so) per dedicarsi allo stile e al territorio personale, proponendo una cifra di riconoscibilità qualitativa che non strizza l’occhio ad alcuna tendenza ruffiana.

Conosco Giorgio assai bene e posso affermare senza tema di smentita che l’uomo rispecchia lo scrittore e viceversa in un purissimo e mai strumentale gioco di specchi. Giorgio è persona limpida che da quando ha iniziato a scrivere tenta di imporre la sua poetica non facile – riassunta in poche insufficienti parole, l’ibridazione tra le lingue, il dialetto piemontese e l’italiano – e lo fa passando, appunto, tra titoli diversissimi tra loro. Libri che s’intitolano Ciao Trotzkij, La lingua dimenticata della cometa, Erano TAV noi e Giorgio Bona [Il Superstite 340] CorriereAlvoci, Chiedi alle nuvole chi sono, Il bosco dei baci spenti, L’allungo del mezzofondista, Sangue di tutti noi, tutte originalissime varianti di riscrittura su zone d’ombra della storia moderna (e contemporanea), molte delle quali “condite” con il gusto umoristico del caustico conoscitore del territorio la cui lingua tagliente, spesso non subito comprensibile, strappa risate anche amare.

È una missione complicata quella che si propone Giorgio, tanto ardua quanto meravigliosa, purtroppo a volte scippatagli da furbeschi giochi di mercato e oggettivamente frenata dai limiti territoriali che le “lingue dimenticate” disegnano attorno ai loro apostoli. Ma la coerenza di scavare nelle contraddizioni del territorio, dialetto o meno, fila diritta nella sua bibliografia come la pinna di uno squalo.

TAV noi e Giorgio Bona [Il Superstite 340] CorriereAl 1L’ultimo nato, Tav Noir (Eclissi, 2017), si svolge fra Torino e la Val di Susa, soprattutto a Salbertrand che, cedendo per qualche riga la parola all’autore, «è il luogo dove è nato mio padre. La Val di Susa, massacrata dagli effetti delle Olimpiadi invernali di Torino 2006 e adesso dalla TAV, è la valle che ho sentito nei racconti di mia nonna, quando si viveva di contrabbando e si percorreva un valico di confine nella notte con un po’ di zucchero e qualche chilo di patate nello zaino. È un mondo che non c’è più e che è bello tenere vivo nella nostra memoria.»

Va da sé che qui si parla di scempio dell’ambiente, di attivisti NO TAV e di un’indagine poliziesca molto sui generis perché come indica il titolo al solito elegantissimo, questo è un lavoro dove gli stilemi del noir e del thriller sono coniugati con sapienza e tecniche di altissima professionalità.

Se il filologo pignolo vi rammenterà che siamo dalle parti di Nero Tav di Giorgio Ballario, uscito nel 2013, tentando di svuotare l’originalità di Tav Noir, il recensore amico è ben testimone che questo lavoro è in giro da oltre sei anni, dapprima con il titolo Prima che scenda il buio e poi (quasi sul punto di uscire) come L’amore al tempo dei NO TAV. Purtroppo le logiche, non sempre logiche, editoriali hanno colpevolmente bloccato i “tempi di aggancio” con la realtà, quanto mai preziosa per una consapevole adesione al testo, costringendo Tav Noir a una scellerata sosta in panchina. In ogni caso un grande testo è in grado di abbattere i riferimenti temporali e di imporsi per il suo valore intrinseco, in primo luogo personaggi stupendi e vibranti che entrano nel cuore prima che nella mente: il cocciuto e umanissimo commissario Giusto (nomen omen!) in grado di sfidare le stesse istituzioni da lui rappresentate, la tenera nipote Irene imbrigliata da un meccanismo diabolico che la costringe alla fuga dopo la morte di un addetto alla sorveglianza di un cantiere e il cinico, precocemente spietato, giovane Max, professionista forse psicopatico tanto della guerriglia urbana quanto della manipolazione mentale, che è forse nel suo essere “nerissimo” il personaggio più azzeccato, protagonista di un’escalation emotiva che t’incolla alle pagine man mano che si preannuncia l’epilogo.

Devo dire, una chiusa che fa un baffo a Thomas Harris, e soltanto per questo andrebbe osannata questa svolta intensamente noir di Giorgio. Senza dimenticare che nelle oltre 300 pagine di Tav Noir ci stanno tante altre cose, “belle” dal punto di vista della dinamica narrativa: la politica, il sociale, il rimpianto sincero per un’età che non c’è più, e soprattutto l’amore, quello ingenuo e adolescenziale di Irene verso il perfido Max, un’apertura alla vita che purtroppo sarà una discesa agli inferi. Come dire: non bisogna fidarsi dell’amore al tempo dei NO TAV.

Consigliatissimo, anche se non sei di Alessandria.