I bambini d’Italia di Lino Toffolo

I bambini d’Italia di Lino Toffolo CorriereAldi Elvio Bombonato

 

 

 

La canzoncina geniale di Lino Toffolo del 1976 “I bambini d’Italia” è puro nonsense, come i Limerick di Edward Lear (brevi poesie, strutturate con regole precise, come gli haiku giapponesi, dai contenuti apparentemente semplici e dal ritmo di filastrocca, che rivelano una concezione anticonformista del mondo), i due romanzi di Lewis Carroll (1865) con Alice protagonista, le poesie del giovane Aldo Palazzeschi (La fontana malata, La passeggiata, E lasciatemi divertire sono capolavori del genere).

La usavo all’Istituto Magistrale per spiegare alle future maestre cosa fosse il nonsense, e come si potesse utilizzare per dispiegare la fantasia dei bambini.
Il senso del nonsense sta proprio nel non avere senso: è frutto di una ricerca collettiva, non un dato di fatto.

“Le filastrocche in cielo e in terra”, per esempio:

CHE BARBA ESSERE UN TRAMVAI

Voi non ci pensate,
nessuno ci pensa mai:
che barba essere un tramvai…
Da un capolinea
all’altro capolinea
fare sempre la stessa linea…
Sei nato Ventuno?
campassi cent’anni
non diventerai mai
un Ventidue.
Sei nato Circolare?
Circola, amico,
sempre in tondo,
da piazza Mustafà
a piazza della Libertà.
Ma quale libertà?
Faccio sempre la stessa strada
senza consumarla.
Sono io che mi consumo
tristemente
scioccamente
scampanellando,
portando sempre la stessa gente
allo stesso posto…
E loro lo sanno
che mi potevo stufare,
scappare nei Mari del Sud…
…a sud di tutti i mari…
perciò mi hanno fatto i binari.
Ma in attesa che l’invenzione
ottenga il brevetto di Stato,
ti conviene studiare
come s’è sempre studiato.

Di Gianni Rodari, queste filastrocche sono un continuo esercizio di nonsense, che Rodari Giannituttavia ha un senso, un significato, come le fiabe all’incontrario:

 

Le favole a rovescio

di Gianni Rodari

C’era una volta
un povero lupacchiotto,
che portava alla nonna
la cena in un fagotto.
E in mezzo al bosco
dov’è più fosco
incappò nel terribile
Cappuccetto Rosso,
armato di trombone
come il brigante Gasparone…,
Quel che successe poi,
indovinatelo voi.
Qualche volta le favole
succedono all’incontrario
e allora è un disastro:
Biancaneve bastona sulla testa
i nani della foresta,
la Bella Addormentata non si addormenta,
il Principe sposa
una brutta sorellastra,
la matrigna tutta contenta,
e la povera Cenerentola
resta zitella e fa la guardia alla pentola.

un vero e proprio invito a riscriverle; alcune favole al telefono; il barone Lamberto.

La grande arte di Rodari consiste nel trovare significati dove nessuno si sognerebbe di cercarli: apparentemente non ci sono; come fanno i bambini liberi (il fanciullino pascoliano rimasto estraneo al progresso e alle costrizioni degli adulti), non ancora contaminati dal consumismo coatto, legati all’immediato e non al riflesso, spontanei, capaci di sorprenderci per gli accostamenti per noi inusuali che sanno trovare.

Questi bambini hanno delle uscite che lasciano sconcertati, fanno delle domande stravaganti, giocano con le parole. “Dov’è Frosinone? Proprio a metà tra Frosiottave e Frosidecime”. Guai all’adulto che li reprime, magari per correggere uno sbaglio di ortografia, un possibile ipercorrettismo (Gevona invece di Genova è una metatesi, come i toscanismi arcaici spengere o padule; Danubrio per Danubio è un calco); se un bambino dice: io ando tu andi egli anda, ha ragione lui, visto che la coniugazione del verbo prosegue con: noi andiamo voi andate essi “andano” (vedi l’aneddoto dell’allora maestro Giovanni Mosca in “Ricordi di scuola”).

E’ la contaminazione del latino tra vadere popolare e adire classico; però tra equus nobile e caballus popolare, ha vinto cavallo, anche se restano equitazione, equina, ma cavalleria, cavalcata. Ne “La grammatica della fantasia” Rodari propone di valorizzare, e spesso lo fa usandolo come punto di partenza per creare insieme a loro delle storie, l’errore creativo dei bambini. Tutto il suo splendido “Libro degli errori” è l’apologia dell’errore creativo, di sintassi, grammatica, ortografia.

Nella geniale canzone di Lino Toffolo, il legame tra le strofe è dato dalla rima, che talvolta rispecchia la realtà o la credenza (genovesi, Torino, Sassuolo, Frosinone, Pisa, Vercelli), più spesso trova accostamenti insensati (rilevanti: Pavia, Vicenza, Catania, Roma). Eppure le frasi risultano sintatticamente regolari e grammaticalmente ineccepibili.

L’effetto complessivo è di ilarità e di divertimento, sottolineato dal coro in sottofondo dei bambini, che giocano nel loro mondo dove fantasia e realtà non hanno contorni distintivi, le quali si confondono e si sovrappongono, si perdono e sconfinano una nell’altra. Il contatto viene trovato per accostamento o per opposizione. La struttura che regge l’impalcatura è l’iterazione “I bambini”; infatti si tratta di una filastrocca, come nel miglior Palazzeschi.

Otto strofe con quattro città per strofa, tranne la sesta con due città, e la strofa finale, priva della città.

I BAMBINI D’ ITALIA

I bambini di Torino bevon troppo Grignolino.
I bambini di Vercelli mangian riso coi piselli.
I bambini di Messina cercan sempre la mammina.
Mentre quelli nati a Brà… hanno almeno sei papà.
Paraparaparapà Paraparaparapà

I bambini di Milano nascon già col cuore in mano.
Quelli invece di Pavia non sopportano la zia.
I bambini di Varese stanno attenti a far le spese.
Mentre quelli di Ciriè… san contare fino a tre.
Perepereperepè Perepereperepè

I bambini di Verona sono i matti della zona.
Quelli invece di Vicenza pescan gatti con la lenza.
I bambini nati a Scanno stanno bene dove stanno.
Quelli di Canicattì… sono stanchi di star lì.
Piripiripiripì Piripiripiripì

I bambini genovesi sono tirchi già a sei mesi.
Quelli un po’ partenopei han tre brufoli e tre nei.
I bambini nati a Siena hanno un grande fondoschiena.
I bambini di Salò… sanno solo dir di no.
Poroporoporopò Poroporoporopò

I bambini di Bologna non conoscon la vergogna.
Mentre quelli di Catania non conoscon la Germania.
Il bambino di Sassuolo di piastrelle ha il sottosuolo.
Quello nato a Cefalù… vuole il pesce col ragù.
Purupurupurupù Purupurupurupù

I bambini nati a Roma si fan crescere la chioma
per suonar tre volte al mese le campane nelle chiese,
Quelli nati a Frosinone che non hanno il campanone
vengon giù dalla montagna…per suonare la zampogna.
Paraperepiripò Perepiriporopù

I bambini di Firenze fanno poche confidenze.
Quelli invece nati a Pisa nascon già con la divisa.
I bambini nati a Lucca son più grossi di una mucca,
Mentre quelli di Cantù… sono ricchi sempre più.
Ah ah ah ah ah ah ah ah Eh eh eh eh eh eh eh eh

I bambini sono tanti tra simpatici e importanti,
ma la mia canzone deve essere abbastanza breve.
Questa e’ l’unica ragione che mi forza l’esclusione.
La presenza e’ rimandata… alla prossima puntata.
Ah ah ah ah ah ah ah ah Eh eh eh eh eh eh eh eh
Ah ah ah ah ah ah ah ah Eh eh eh eh eh eh eh eh

 

Eccellente la metrica: ogni strofa contiene quattro versi lunghi: il DOPPIO OTTONARIO (di derivazione crepuscolare), contrassegnato dalla rima interna, emanata o provocata dalla città prescelta.
La filastrocca corale che chiude ogni quartina (parapara; perapera;pirapira; porapora; purapura) trae la vocale dominante dall’ultimo verso della relativa strofa, il quale ha la rima tronca (con l’accento, l’ictus, sull’ultima sillaba).
Parole chiave iterate o collegate legano i versi delle singole strofe: mangiano/bevono; mamma/papà;stare poliptoto;hanno (esilarante l’accostamento indiretto brufoli /fondoschiena); conoscono (puro nonsense l’accostamento vergogna/Germania); campane poliptoto; nascono poliptoto.

Il finale invita a proseguire con due quartine:
I bambini di Valenza non possiedon la pazienza.
Quelli nati ad Alessandria sono messi tutti in mandria.
I bambini di Tortona sognan proprio l’ Arizona,
mentre quelli nati a Novi son rinchiusi al passo Giovi.
I bambini nati ad Acqui son costretti a far gli sciacqui,
mentre quelli di Casale mangian solo senza sale.
I bambini nati ad Asti cercan posto per i pasti,
mentre quelli nati a Nizza non disdegnano la pizza.

Ottonari doppi, appunto, per chiudere con un prosaico endecasillabo amletico:
Ovada ovenga ma si decida.