Chullachaqui [Il Superstite 330]

Arona Danilo nuovadi Danilo Arona

 
I miti amazzonici cui spesso mi sono ispirato per alcuni dei miei lavori (soprattutto Blue Siren e l’ultimo giro di vite, edito da Kipple) sono bellissimi e di sconcertante modernità. Citato nello stupendo lungometraggio di Ciro Guerra El abrazo de la serpiente, il Chullachaqui è una figura mitologica che nel film stesso viene definita come “la copia svuotata di un essere umano che vaga per la giungla in attesa di qualcuno da ingannare”.

Le leggende delle giungle peruviane e brasiliane ne offrono diverse declinazioni che più in là elencheremo, ma quella che più colpisce, sottolineata proprio nel film di Guerra, racconta che ogni essere umano al mondo ha un corrispettivo chullachaqui, ovvero un aspetto esteriore del tutto identico ma dentro è completamente vuoto. Nonostante ciò, si muove, si integra e può spacciarsi socialmente per il “vero” di cui è copia.

Ora, certo che ci troviamo in un territorio mitologico, certo che pure la metafora sta dietro l’angolo, ma con tutte le riserve del caso – soprattutto geografiche – il Chullachaqui sembra proprio tal e quale un Doppelganger di espressionistica memoria o addirittura un Ultracorpo alla Jack Finney, autore americano al quale Chullachaqui [Il Superstite 330] CorriereAldobbiamo il romanzo The Body Snatchers da cui si trassero diversi film a partire da L’invasione degli Ultracorpi. “Ultracorpi”, neologismo italiano riferentesi a creature aliene che nell’invenzione originale altro non erano che copie anaffettive, ovvero “vuote”.

Si sa che le analogie nel mito viaggiano a 360° come è più o meno noto che tra l’Halloween festeggiato in America e l’Ognissanti in Sicilia le differenze sono proprio minime e non c’è quindi da stupirsi se il Chullachaqui dell’Amazzonia ci suona tanto familiare. Devo anche aggiungere che a noi, amanti del realismo fantastico, non spiace pensare di esserci imbattuto più di una volta nel corso della vita nella prova vivente, vista con i propri occhi o soltanto riportata da terzi, dell’esistenza delle “copie” forse vuote.

Credo che a molti di voi sia capitato di sentir dire da un amico, magari pure intimo: «Ma sabato sera non eri alla Sagra del Sedano di Alluvioni Cambiò? Ti ho persino salutato ma non mi hai risposto» e voi proprio non c’eravate, impegnati Chullachaqui [Il Superstite 330] CorriereAl 1a chilometri di distanza (esempio giusto per capirsi…), perché in primo luogo, almeno come me, non sopportate il sedano, soprattutto se intingolato con il gorgonzola (argh!). A me è successo più di una volta, ma l’evento che più si avvicina a un’ipotesi del mito materiato è stato il seguente: avevo un amico in ambito lavorativo che si chiamava Cosimo, bravo e simpatico, testa riccia e sorriso perennemente stampato in faccia. Lui abitava a Torino e per lavoro lo incontravo una volta al mese all’incirca.
Mi capitò una decina di anni fa di andare in vacanza in Toscana e una sera, in un vicolo chiuso di un paese che non ricordo e nel quale si cenava, me lo vidi a un tavolino a pochi metri dal mio. Pensai a una combinazione e mi alzai per andare a salutarlo, ma mente mi avvicinavo lo sentii parlare e la totale diversità del tono di voce mi convinse subito che quel tipo era un sosia quasi perfetto. Niente di strano, c’è la teoria dei 7 sosia e io in quel momento ne stavo verificando la veridicità. La vacanza poi finì, la vita riprese ma non vidi più Cosimo. Ci misi un po’ di tempo e chiedere informazioni e qualcuno mi raccontò che non girava a fare il rappresentante in quanto depresso per lavoro mancante e divorzio in vista. Infine un giorno mi riportarono che Cosimo si era suicidato buttandosi da un ponte. Fine della storia, ma ancora mi affligge il dubbio, ovviamente quasi metafisico, che tra quella “copia” e il suicidio di Cosimo sia esistito un qualche misterioso rapporto. Perché poi, alla fine, la domanda sospesa, come per gli Ultracorpi di Finney, è: qual è l’originale?

Chullachaqui [Il Superstite 330] CorriereAl 2Tornando al Chullachaqui amazzonico, esistono numerose varianti che fuoriescono dal modello del “doppio”. In talune di queste la creatura è descritta come bassa e brutto, con una gamba più corta dell’altra e un piede più grande dell’altro, rivolta indietro e in forma di zoccolo. La sua missione da “Orco della foresta” è quella di persuadere le sue vittime a seguirlo nella profondità della giungla, dove anche i viaggiatori più esperti non riescono a ritrovarsi. A tal scopo può assumere la forma di un membro della famiglia o di una persona amata da lungo tempo scomparsa. La sua incredibile capacità di replicare gli altri lo rende impossibile da distinguere, tranne che per i suoi piedi non corrispondenti.

Altre fonti raccontano che il Chullachaqui si presenta sotto forma di un uomo molto basso vestito di stracci che sfida gli uomini a lottare con lui. Colui che declina la sfida è maledetto e perseguitato da varie disgrazie: la famiglia e gli amici si trasformano in nemici, la moglie lascia per un altro uomo o arriva una grave malattia.

Si dice che il Chullachaqui abbia anche la capacità di trasformarsi in qualsiasi bestia della foresta pluviale in quanto sorta di spirito forestale che custodisce le terre e gli animali. In quest’interpretazione è ritenuto membro di una specie più vecchia che ha vissuto lì molto prima degli esseri umani. Altre varianti del mito lo descrivono abbastanza poco interessato agli esseri umani però a volte un Chullachaqui può anche arrivare a rubare un bambino umano e farlo suo, oppure attirare gli esseri umani in trappola per scopi di accoppiamento. Un bambino così rapito da un Chullachaqui diventa uno di loro.

Esistono a ridosso del mito piccole parabole quasi horror che sono un po’ lo specchio delle storie dell’Uomo Nero europeo e del Bogey Man americano. Una di queste racconta di una tata proveniente dalla foresta pluviale che accudisce un piccolo bambino in un paese a ridosso del grande fiume. La donna, di una certa età e imbevuta nelle antiche credenze della tradizione peruviana, è usa mettere a letto il piccolo, raccontandogli per farlo addormentare le storie tipiche della sua zona di origine, il nord del Perù. Ogni notte, protagonista dei suoi racconti è un diverso demone della selva. Finché una sera è il turno del Chullachaqui, demonio zoppo con gli occhi di serpente, che sgozza i bambini. Alla fine della storia, la domestica si trasforma nel demone della finzione e finisce per uccidere il bambino.

Ci siete rimasti male, lo so. Ma i miti quasi sempre sono crudeli.