Commercio al dettaglio tra crisi generale e locale [@SpazioEconomia]

Le regioni speciali italiane [@SpazioEconomia] CorriereAl 1di Flaminio de Castelmur

 
La crisi economica, che infierisce da almeno 10 anni all’economia mondiale, ha colpito duro il comparto del commercio al dettaglio in Italia e portato alla chiusura un negozio su dieci. Sono oltre 90mila le imprese del commercio che hanno cessato o cambiato il perimetro dell’attività in questo periodo. Altri non ce l’hanno fatta, per vari motivi, e le saracinesche dei loro locali riportano da parecchio tempo un cartello: «vendesi o affittasi». Difficile per i proprietari dei muri trovare nuovi inquilini, soprattutto ai prezzi passati.

Confesercenti analizzando l’andamento del comparto dal 2007 al fine ottobre 2016, ha rilevato la progressiva riduzione delle attività, che ora superano di poco gli 871mila negozi contro gli oltre 962mila operanti prima della crisi. Evidenze opposte riguardano alberghi, bar e ristoranti. Come detto prima, le attività legate al turismo segnano una variazione positiva di oltre 56mila esercizi, che costituisce quasi un +15%.  «I negozi di prossimità hanno visto crescere la pressione fiscale, che resta a livelli altissimi, e quella competitiva», aggiunge Vivoli.

Al primo posto tra le categorie più colpite ci sono i punti vendita del tessile- Commercio al dettaglio tra crisi generale e locale [@SpazioEconomia] CorriereAl 1abbigliamento, il cui numero si è ridotto di un quinto a poco più di 127mila negozi.
«Per il settore c’è stato un calo delle vendite del 40-50% – dice Roberto Manzoni, presidente della Federazione Italiana Moda, perché, oltre a tasse e bollette, tra spesa alimentare, per la casa, per gli smartphone e le gite del fine settimana sono cambiate le priorità degli italiani». Senza dimenticare il ruolo delle catene low price e il fast fashion, che hanno saputo creare modelli di business che propongono capi dall’immagine accattivante acquistabili a prezzi tali da permetterne un turnover nel guardaroba rapido e poco impegnativo.

“Amazon? Vi racconto cos’è davvero!”. Un alessandrino in trasferta a Piacenza: “Da noi sempre sordi e ciechi di fronte alle opportunità” 1L’unico settore in miglioramento (+75%) è quello delle vendite “al di fuori dei banchi e dei negozi”. È la parte del commercio, rappresentato dal canale online e con i distributori automatici, che esce dai perimetri “fisici” del negozio tradizionale e localizzato, per raggiungere i Clienti dove sono (internet e gli smartphone hanno rivoluzionato il modo di consumare).

Nello specifico del 2016, il commercio al dettaglio ha registrato, rispetto al 2010, una diminuzione del giro d’affari di circa 7,7 miliardi, equivalenti a circa 300 euro di spesa per famiglia. Analizzando i dati per format distributivo notiamo che a crollare sono infatti soprattutto le vendite dei negozi della distribuzione tradizionale (c.d. “di vicinato), diminuite di 6,9 miliardi in cinque anni (quasi 10 punti percentuali del valore delle vendite), con dati peggiori sul fronte degli alimentari (-11%, circa 2,4 miliardi di euro in meno) che sul c.d. no food ( -9,3%, pari a una riduzione di circa 4,5 miliardi di euro). La conseguenza dei dati esposti è l’ulteriore riduzione della quota di mercato degli esercizi di minori dimensioni, pari ormai a circa il 27% sul totale.

I dati relativi al commercio nei Centri cittadini dicono che tra il 2008 e il Commercio al dettaglio tra crisi generale e locale [@SpazioEconomia] CorriereAl2016 il numero di negozi in sede fissa è sceso del 13,2% nelle città italiane, con dati più rilevanti nei centri storici rispetto le periferie (-14,9% contro -12,4%). Si riduce il numero soprattutto di librerie, negozi di giocattoli e abbigliamento, mentre per i benzinai si può parlare di vera e propria sparizione.

E’ quanto emerge dalla ricerca “Demografia d’impresa nei centri storici italiani”, realizzata dall’Ufficio Studi di Confcommercio. Lo studio, che ha preso in esame 40 Comuni italiani di medie dimensioni capoluoghi di provincia ove risiede l’11,6% della popolazione italiana e tredici categorie distributive, rileva anche il fenomeno importante della crescita elevata nel numero di ambulanti, alberghi, bar e ristoranti.

AmbulantiI primi aumentano globalmente dell’11,3% (addirittura del 36,3% nei centri storici), i secondi già citati, crescono invece del 10,2%. Con i picchi maggiori rilevati nel Mezzogiorno, dove le attività legate al turismo (bar, ristoranti e alberghi) crescono del 17,8% e il commercio ambulante addirittura dell’85,6%. Speriamo che sia l’inversione di tendenza nella valorizzazione dei beni turistici presenti in quelle zone d’Italia, che è mancata da sempre.

Parlando di Alessandria, i dati elaborati dal centro studi di Confcommercio la vedono in totale controtendenza rispetto alle altre 40 città italiane analizzate nella ricerca citata.
Oltre ad avere percentuali peggiori rispetto alla media nazionale (purtroppo non solo nel settore del commercio), nel nostro territorio i sobborghi sembrano aver subito di più la crisi.
Dal 2008 al 2016 Alessandria il dato riporta un calo del 22,8% dei negozi in sede fissa con un picco di chiusure soprattutto nei sobborghi dove negli ultimi 8 anni è perso il 40,5% di attività. Se nei centri più piccoli quasi un negozio su due ha chiuso, la città sembra aver retto meglio alla crisi con un – 5,1% di negozi in sede fissa nello stesso periodo di tempo.
La parte di ricerca relativa al commercio ambulante, riporta un aumento del 33,3 in città (in linea con quello nazionale che è +36,3%) ed un calo del 19,7 % in periferia (con una grossa differenza rispetto al trend nazionale, positivo del 5,1%).

Nemmeno il settore alberghi-bar-ristoranti riesce a riequilibrare i dati negativi. Se la media nazionale registra un + 10% sia in centro ed un +9,9% nelle periferie, ad Alessandria la città riporta un -1,6% e calano i sobborghi con uno sconfortante – 19,4%.

Le valutazioni espresse al proposito dal presidente Ascom Confcommercio Ascom, qui comincia il futuro! Presentati a Palazzo Monferrato tutti i progetti del 2017 CorriereAlAlessandria Vittorio Ferrari, invitano ad analizzare seriamente questi risultati per individuare quali politiche e quali eventi li hanno determinati. E i risultati della ricerca potrebbero essere utilizzati per redigere proposte e strategie per la nuova Amministrazione che si insedierà in corso d’anno. Sarà il commercio, oltre gli altri comparti in sofferenza nell’economia della città, la parte preponderante degli interventi di correzione da porre in essere rapidamente.
“Questi dati, ha aggiunto il direttore Ascom Confcommercio di Alessandria Alice Pedrazzi, confermano l’urgenza di affrontare il tema della desertificazione commerciale, con interventi mirati, come ad esempio una fiscalità agevolata in base a zone geografiche o per settori merceologici. Possono ad esempio essere individuate agevolazioni nel settore immobiliare sia per i proprietari che per i locatari, in modo da ridurre una delle uscite più significative nella gestione d’impresa, ovvero i canoni d’affitto. Altri interventi possono essere individuati in base ai settori di appartenenza, con agevolazioni, ad esempio, su tributi come Tari, Imposta sulla pubblicità, canoni di occupazione del suolo pubblico per i dehor“.