Z come il fondo dell’elenco [Abbecedario del gusto]

Z come il fondo dell’elenco [Il gusto del territorio] CorriereAl 1 di Pietro Mercogliano

 
In fondo all’elenco di denominazioni piemontesi che abbiamo incontrato in ordine sparso su queste pagine digitali non potevamo riservarci che il meglio. Ci rimane, in realtà, ancora un appuntamento fra due settimane: ma, col completamento delle denominazioni del cibo raggiunto con la scorsa puntata, direi che stiamo già intravedendo la fine di questo nostro non breve convito; se ci saremo trovati bene, l’appuntamento sarà fra un mese a un nuovo banchetto. Intanto, oggi, si parla di Sua Maestà il Nebbiolo.

Si prova sempre una certa emozione quando si è invitati (o ci si auto-invita) a parlareZ come il fondo dell’elenco [Il gusto del territorio] CorriereAl 2 di qualcosa che si ama e di cui tutti conoscono il valore: è l’emozione dell’intesa che si crea nel prendere un argomento che sta a cuore a tutti e che è in grado al solo nominare di aggregare tanti spiriti attorno alla sua bellezza. La stessa emozione si prova quando in degustazione viene servito un vino dal riconoscibilissimo colore baroleggiante e quando in macchina si incontrano i cartelli indicatori per i paesi di Barolo e Barbaresco: un sussurro di sguardo, un assestarsi sulla seduta, un sorriso scambiato a mezzabocca, e l’improvvisa allegria dell’attesa.

Già il nome di questo vitigno ha un che di mistico: si riferisce forse alla nebbia della pruina che ne ricopre gli acini scurissimi o forse a quella atmosferica che ne avvolge i filari. Ha maturazione tardiva, e questo contribuisce a renderlo un vitigno estremamente difficile: una vendemmia prematura porta in cantina tannini ingestibili, una giusta attesa rischia di esporre a condizioni climatiche critiche; diversi produttori che sono soliti fare qualità eccelsa raggiungono i loro risultati solo con la raccolta manuale e la selezione in vigna dei singoli acini.

Z come il fondo dell’elenco [Il gusto del territorio] CorriereAlIl Nebbiolo è estremamente difficile da convincere a territorî diversi da quelli dei quali è autoctono, dove invece si esprime in alcune fra le denominazioni piú alte in assoluto: le Langhe con Barolo e Barbaresco in primo luogo (eccellenze uniche nel panorama mondiale), ma certamente anche il Novarese-Vercellese con Ghemme e Gattinara (meno austeri e corposi, ma comunque complessi e di grande fascino) e la Valtellina col suo Sfursat. Si tratta di un mondo meraviglioso e inesauribile di luoghi e di uomini, che hanno scelto questo vitigno per descrivere la propria identità. In assoluta purezza (Barbaresco, Barolo, Carema, Nebbiolo d’Alba, Langhe Nebbiolo) o con aggiunta – facoltativa (Albugnano, Canavese Nebbiolo, Gattinara, Ghemme, Lessona, Roero, Sforzato di Valtellina, Spanna, Terre Alfieri, Valtellina Superiore) od obbligatoria (Fara, Boca, Bramaterra, Sizzano) – di altre uve, il Nebbiolo interpreta in funzione dell’annata i diversi terreni e le diverse esposizioni della straordinaria Regione che lo ospita.

Sicché è estremamente difficile rispondere a una domanda del tipo: «Di che sa il Nebbiolo?». Non mi tirerò indietro, sia chiaro: ma voglio chiarire che mai come questa volta mi appresto a descrivere non un vino ma un ideale insieme di caratteristiche generali, che sono solo la base per l’espressività di una filosofia produttiva in un territorio e in un’annata. Il Nebbiolo dà vini di poco colore, di Z come il fondo dell’elenco [Il gusto del territorio] CorriereAl 3un granato trasparente che vira all’aranciato abbastanza presto nel corso dell’invecchiamento; poeticamente sa di viola e rosa appassite, ricorda al profumo la prugna e le spezie scure, evoca l’immagine bruna del cuoio e quella fresca di sensazioni balsamiche: è l’odore buono del bosco fatto di aghi di pino e piccoli frutti rossi, ma anche il profumo accogliente del timo e della salvia accarezzati da ricordi di genziana e quello scuro del tartufo e del goudron; in bocca è severo e nobile, tannico e corposo con acidità e alcolicità in grande evidenza e persistenze anche interminabili su toni inenarrabili di arancia rossa.

Anche per questo “Barolo” (e cosí “Barbaresco”) è parola magica in tutto il mondo: ma poi c’è tutto il mondo delle interpretazioni, dei cru, dei vigneron, delle cantine buie che serbano il segreto cresciuto nel sole innamorato dei sorí.

Ed ecco quindi l’altra domanda difficile: «Come si beve il Barolo?». Anche qui, la risposta sarà generica almeno quanto basta. Intanto, nei calici piú belli e sulle sedie migliori che si hanno: non per reverenza, ma per amore; in mancanza dei Meraviglia di Donato Lanati, il classico calice da degustazione in cristallo andrà benissimo. Poi, con la giusta compagnia: da soli o in coppia o in famiglia o in brigata, purché ci si trovi bene. Soprattutto, con calma. Gli abbinamenti si lasciano alla gioia della scoperta: dal tipico brasato al Barolo fino ai grandi formaggi d’alpeggio, dai tagliolini al tartufo d’Alba (indimenticabili con un Barbaresco d’annata) al dopopasto (in vece del dolce, un calice di Barolo pienamente maturo e qualche bel pensiero). Ultima notazione: come accade anche per altre tipologie di vino, gli alti costi di produzione e la grande richiesta del mercato portano diversi Barolo a costare piú di quanto si possa voler spendere per una serata; le soluzioni sono molte: non bere Barolo tutte le sere (tra l’altro, è un vino che si presta ad abbinamenti con cibi che non si può aver voglia di mangiare troppo spesso), scegliere produttori di Barolo che pratichino prezzi piú accessibili (e, a saper selezionare, ce ne sono di ottimi) o espressioni di Nebbiolo meno blasonate, acquistare e bere una bottiglia di pregio in gruppo; e s’imparerà che chi beve bene beve anche poco.