Land’s end [Lo Straniero]

Marenzana 1di Angelo Marenzana

 
Finire la lettura di Land’s end, accendere la tv, e scoprire che scorrono le immagini di Pulp Fiction. Casualità? Danilo Arona e Sabina Guidotti (coautori del romanzo recentemente pubblicato dalla casa editrice Meridiano Zero), parlerebbero di segni che si stanno accumulando. E lo Schema collassa.

Potevano forse queste due anime letterarie smentire la propria fede nello Schema senza offrirne una fetta anche ad un lettore avido? Certo che no. Perché nella stesura di Land’s end prevale l’idea acuta di un’energia parallela ben strutturata (paranormale? aliena? piani dell’astrofisica ancora inesplorati?) che regola e comanda lo sviluppo degli eventi e a questi stessi si intreccia e li condiziona indirizzandoli verso il caos (apocalisse?).

Quello dello Schema è un elemento centrale del pensiero degli autori, tale Land'sda rivelarsi una profonda convinzione e non solo materiale asettico con cui imbastire un disegno fantastico e razionalmente narrativo. Tant’è che la trama lascia emergere un mondo interiore, una visone del futuro e soprattutto un “essere visionari”. Né più e né meno come ci hanno abituati grandi maestri del passato, dalla pittura di Pieter Bruegel per arrivare, attraverso il cammino tortuoso e tormentato di un gran numero di artisti, fino alle prospettive invertite e alle orride rappresentazioni di Escher.

Ma torniamo a Pulp Fiction, giusto per fare (spero) contento Danilo Arona profondo conoscitore del mondo di celluloide e che non perde occasione per dare spazio all’interno del romanzo a mille citazioni e ricordi cinematografici. E anche per far sentire la coppia di autori come due piselli in un baccello (entrambi – credo- estimatori in egual misura de L’Invasione degli Ultracorpi di Don Siegel quanto de I figli del deserto con Stan Laurel e Oliver Hardy).

Pulp FictionIn sostanza, cosa accomuna il romanzo con il film di Tarantino? Principalmente l’idea portante della sommatoria di flash back. E forse niente di più. Se non che aleggia una sensazione comune. Magari vaga. Ma è proprio quella che conta. Ovvero, quell’odore del tempo nel suo scorrere all’apparenza scoordinato. In Land’s end si ribalta la percezione di linearità e di continuità che ha fatto del tempo una delle grandezze fondamentali della fisica. Un tratto non eludibile che invece, all’improvviso, perde le proprie certezze. Sfugge. Sono diversi, quasi stratificati, i piani temporali su cui si sviluppa l’intreccio di Land’s end. Così come diversi sono i livelli di lettura “frutto di incubi che si sono rivelati comuni” dice Sabina Guidotti in una recente intervista a Vincent Spasaro “C’è chi dice che la nostra scrittura sia stata guidata proprio dai fantasmi”.

Il luogo. La Cornovaglia, con il suo fascino indiscusso, la forza del vento e il continuo mulinare delle nuvole, le Asperatus (colossali mostri di fumo cangiante) e il suono dell’invisibile didgeridoo che cala dal cielo.

Land’s end è un confine, dove Dafne, la sensitiva, e suo marito Angus hanno deciso di trasferirsi approfittando dell’occasione offerta da una casa a picco sull’oceano avuta in eredità. Forse il confine. Dove la terra si deframmentava ogni secondo di ogni giorno per mutare forma, perennemente battuta dal mare, dal vento e dalla solitudine.

Passiamo alla trama. Siamo su un set. Il progetto del regista è di trasporre su pellicola la vicenda di Soyoko, una ragazza indiana vittima di violenze nella zona del Monte Graham in Arizona. Nel suo disperato tentativo di fuga Soyoko, per cercare di salvare il figlio dalla crudeltà dei tre stupratori, viene travolta da un treno e tagliata in due. E così nasce la leggenda. Si narra che la parte superiore del corpo di Soyoko vaga alla ricerca di vendetta. Una sete che il demone dimezzato cerca di placare con le dita delle mani trasformate in artigli.

Nel suo insieme il testo scorre con grande morbidezza ed eleganza (un tocco di raffinatezza tutta femminile?) pur nella narrazione delle parti più crude del romanzo, quali la scena dello stupro di Soyoko. Lo stile procede sinuoso tanto da avvolgere lentamente il lettore per trascinarlo a sé e farlo sprofondare (quasi con garbo) nel profondo dell’incubo. Un’armonia stilistica (non facile in un lavoro a quattro mani) in cui si esaltano alcuni tratti malinconici in accompagnamento al silenzio come preludio alla catastrofe sospesa.

Land’s end è un buon equilibrio tra anima e mestiere, una corda tesa tra il reale e l’invisibile, su cui si muovono i personaggi ben tratteggiati nelle proprie diversità e ben collocati in base alle definite distanze geografiche.

Cassandra Marsalis, l’agente letterario e l’autore/fenomeno degli anni della crisi Morgan Perdinka, David Demoreaux, sciamani, spiriti e bimbi dagli occhi bianchi da Villaggio dei Dannati… ognuno con il proprio segreto, e pronti a tratteggiare le forme dell’Apocalisse.

Ma, quando il mondo se ne accorgerà la fine sarà già in corso.