Eterni, campioni dei Giochi Olimpici [Lettera 32]

Giuliano Beppedi Beppe Giuliano

 

 

Come sempre ai Giochi Olimpici avviene l’ideale staffetta tra il nuoto, con le sue gare nei primi giorni, e l’atletica, che ci accompagnerà fino alla cerimonia di chiusura.
La piscina ci ha consegnato un Michael Phelps umanissimo fuori dall’acqua, anche addolcito dalla paternità, pare, assolutamente “disumano” quando si è trattato di battere un record di medaglie che durava da oltre 2000 anni.

Come sovente accade molte storie acquatiche sono state a stelle-e-strisce, con il ritorno all’oro 16 anni (e molte disavventure) dopo di Anthony Ervin, con le vittorie in serie di Katie Ledecky, la bambina cresciuta sulle ginocchia di MJ (Jordan è amico e socio d’affari dell’avvocato Ledecky, papà di Katie) e con la vittoria storica nei 100 stile libero della Simone Manuel.

Come ha scritto un giornalista anche lui come Simone afro-americano: devi sperare che tuo nonno abbia insegnato a nuotare a tuo padre, che a sua volta lo ha insegnato a te, perché probabilmente tuo padre, se non ha imparato dal suo, non ha i mezzi economici per iscriverti ai lussuosi circoli dove si nuota. Così va, ancora oggi, negli Stati Uniti, dove la maggior parte delle persone di colore non sa nuotare.

Da noi intanto ci si avvita ancora nelle polemiche sulla Pellegrini, sembra una replica di quattro anni fa. Io una mia idea ce l’ho anche: mi limito a segnalare (anche perché questo è uno sport in cui i numeri parlano, e di solito dicono la verità) che Fede chiude, con ogni probabilità, la sua carriera olimpica avendo vinto meno medaglie dell’odiata rivale di tanti anni fa, quella Laure Manadou che ora commenta le gare alla tivù francese.
Siccome mi piace anche raccontare le “storie di ieri”: sapete chi fu il primo uomoCampioni 1 a nuotare i cento stile libero in meno di un minuto? (Nel frattempo, a Rio li ha vinti l’australiano Chalmers in 47 secondi e mezzo).
Sì, fu proprio lui, “dal corpo perfetto e dal viso squadrato, con i capelli sempre luccicanti (per la brillantina o i tuffi?)” come scrive il Mereghetti descrivendo il più leggendario tra i numerosi interpreti di Tarzan.
“Johnny l’austriaco” mandato a studiare all’università dell’Illinois dal padre perché lì c’era una splendida piscina, e il ragazzo era fragilino: il campione olimpico di Parigi 1924 Weissmuller (li danno ancora i suoi Tarzan, che girò tra il 1932 e il ’48, o sono un tipico ricordo generazionale?)

Negli anni in cui Weismuller si lanciava di liana in liana insieme a Maureen O’Sullivan (“una Jane tenera e molto femminile”, ancora il Mereghetti) in altre acque cercavano di tenere la barca dritta (per quanto possibile) otto ragazzoni di Livorno, portuali operai e muratori, invisi al regime (devo spiegarvi perché?). Avevano forza fisica devastante e, soprattutto all’inizio, ben poca tecnica, da cui l’appellativo con cui ancora adesso sono ricordati, gli “scarronzoni” che viene da “scarrocciare” (tenere la barca dritta non fu mai il loro forte). A Los Angeles nel 1932 persero di soli due decimi dalla barca statunitense, mentre batterono l’otto di Cambridge (quelli che sfidano Oxford in una storica regata sul Tamigi che si disputa addirittura dal 1829). Quattro anni dopo, a Berlino, furono sette i decimi che li separarono dalla barca americana. Restano le nostre uniche due medaglie nella regata delle ammiraglie.
Campioni 2Ora che tanti anni sono passati, è giusto citarli per nome: nel 1932 Mario Balleri, Renato Barbieri, Renato Bracci, Dino Barsotti, Guglielmo Del Bimbo, Vittorio Cioni, Enrico Garzelli e Roberto Vestrini col timoniere Cesare Milani, che ritorna quattro anni dopo con Barsotti, Del Bimbo, Garzelli e Mario Checcacci, Dante Secchi, Enzo Bartolini, Ottorino Quaglierini, Oreste Grossi.
Arrivi in volata per gli scarronzoni, di certo allora emozionanti come quello che abbiamo vissuto a Rio nel singolo, vinto dal vogatore neozelandese Drysdale con lo stesso identico tempo del croato Martin, crudelmente distante un’unghia, non di più, secondo la fotografia, dal podio più alto.

Pare che il canottaggio fosse lo sport preferito del barone Pierre de Coubertin, colui che volle la ripresa dei Giochi Olimpici, dopo una pausa durata oltre 1500 anni. Ancora oggi, in effetti, il canottaggio ben rappresenta quello spirito olimpico così caro al barone.

Noi abbiamo vinto due bronzi. Il più sorprendente, visto che la loro barca manco doveva esserci, quello di Marco Di Costanzo, un ragazzo dei Quartieri spagnoli di Napoli e di Giovanni Abagnale (una b sola nel cognome, lui però) di Castellamare di Stabia proprio come i “fratelloni” (a proposito di ricordo generazionale, ho la fortuna di avere sentito in diretta “bisteccone” Galeazzi che urlava i loro finali di gara olimpici, sempre straordinari).

Un podio, quello del 2-senza, che ci ha regalato anche la storia più toccante, quella di Lawrence Brittain, argento per il Sud Africa insieme a Shaun Keeling.
Famiglia di vogatori, il fratello Matthew ha vinto l’oro a Londra, ma anche James e Charles praticano questo splendido sport.
A Lawrence hanno diagnosticato un linfoma, un paio di anni fa.
Sul suo account twitter si possono seguire le fasi della sua battaglia contro il grande-c, dalle fotografie nel letto di ospedale durante la terapia, al ringraziamento allo staff medico, nel febbraio 2015 dopo l’ultima seduta, alla foto di marzo che raffronta l’allenamento, un anno prima, ancora calvo per la chemio, a quello di quest’anno. Un giovane uomo ritornato alla vita.

Un’altra notizia choccante, legata a una malattia gravissima, fece da preludio a un’altra medaglia olimpica. Lo ricorderò per sempre, all’epoca La7 (ma si chiamava TMC) nella notte e in prima mattinata mandava in onda i notiziari della CNN, con cui di solito mi svegliavo e facevo colazione. Ricorderò per sempre quella mattina di novembre 1991, quando l’unica notizia che si ripeteva era l’annuncio di Magic Johnson, il campione di basket più popolare (anche per la grande naturale simpatia) di avere il virus HIV (allora sembrava l’annuncio di una condanna a morte, anche se per fortuna come sappiamo per Magic non è stato così).

Magic, lo sapete, tornò pochi mesi dopo a giocare a Barcellona con il primo “dream team”, la squadra di tutti professionisti statunitensi (fino ad allora i giocatori della NBA non erano mai stati ai Giochi Olimpici) che dominarono il torneo, vincendo tutte le partite con uno scarto medio di oltre 37 punti.

Anche stavolta ci sono i pro USA, e probabilmente si metteranno al collo un altro oro (sarebbe il terzo consecutivo per Carmelo Anthony, un bel record), anche se stavolta le avversarie non mancano, e gli americani nelle qualifiche hanno faticato sia contro l’Australia che contro la Serbia (a proposito di grandi tradizioni cestistiche).

Mentre il mio cuore batte per i vecchietti della “generacion dorada”, Campioni 3quell’Argentina che vinse dodici anni fa, ad Atene, uno degli ori più incredibili di sempre, battendo in semi proprio un “dream team”, e purtroppo noi in finale. Sono ancora lì, volendo potrebbero mettere in campo un quintetto vicino ai 180 anni di età complessiva, guidato come sempre da Manu Ginobili (classe ’77), Andres Nocioni (’79), il portabandiera Luis Scola (’80), con il più giovane Carlos Delfino, solo ’82, che dopo sette operazioni negli ultimi tre anni è di nuovo a lottare sul parquet insieme a questi campioni fantastici. Che nel frattempo hanno giocato LA partita di questo torneo, battendo dopo due supplementari e una valanga di emozioni i rivali e padroni di casa (oltretutto allenati dal loro coach di Atene).
Eterni, come solo certi campioni dei Giochi Olimpici.