Am ricord [U Gnacapiöğ]

Bona Giorgiodi Giorgio Bona

 
È primavera e io di primavere ne ho trascorse sessanta. Primavera come liberazione perché si porta via le scorie e i malesseri della fredda stagione.

Primavera vuol dire anche 25 aprile. Festa della Liberazione.

In quella data, il 25 aprile 1963, feci la prima comunione, la prima e unica comunione della mia vita.
Quando negli anni Sessanta, i mitici, i favolosi anni Sessanta, quanti la mia età, le utopistiche idee del progresso urbano furono accantonate, si fece spazio una speculazione edilizia con la cementificazione selvaggia che cambiò radicalmente l’assetto delle città, formando un amalgama sociale di sottoproletariato emigrato dal sud.

Mi rivedo ancora bambino girare furtivo davanti alla sede della parrocchia, l’unico luogo di aggregazione non solo dei ragazzi del quartiere, ma di intere famiglie. Insieme a me c’era un compagno di nome Rossano di cui ho perso le tracce e che era appena arrivato dalla Basilicata, perché suo padre aveva trovato lavoro alla Montecatini.

La maestra di catechismo ci chiamò a raccolta e io, come gli altri compagni, ero seccato perché dovevo smettere di giocare. Era una suora vestita di nero che solo per il suo abito ci trasmetteva paura e riusciva a tenere tutti in “religioso” silenzio.

Non so e non ricordo perché quel giorno in aula la sorella cominciò una predica anticomunista così implacabile che rimasi un po’ imbarazzato tanto da vedere mio padre come un terribile peccatore. Lui allora lavorava a Genova in ospedale. Siccome i mezzi ferroviari lasciavano molto a desiderare, si alzava al mattino presto e tornava la sera tardi, quando io e mia sorella eravamo già a letto. Non conosceva riposo, sabato e domenica, lavorava sodo. E in quel momento tutto quel sacrificio che avevo visto nel suo sguardo stanco e nello stesso tempo sereno, perché a lui la vita della famiglia trasmetteva un senso di grande felicità, crollò in un secondo.

Io, con un impeto di orgoglio, infastidito, arrabbiato, nervosissimo e sudato mi alzai dal banco e interruppi la suora scandendo le parole velocemente, come se volessi liberarmi di un peso. “Mio padre è comunista.”

Non posso raccontare la faccia della maestra. Il suo discorso trasmesso come un vangelo veniva interrotto e messo in discussione da un bambino di sette anni che andava forse immediatamente punito per aver interrotto la lezione. Occorreva umiliarlo: in piedi per il resto della lezione dietro la lavagna.
Ma non ne ebbe il tempo. Anche Rossano si alzò e disse la medesima cosa. Dal momento che balbettava un poco sembrava che avesse paura e non ce la facesse a dirlo. Qualcuno si mise anche a ridere, ma poi la cosa ebbe una certa risonanza perchè altri due si alzarono.
“Anche mio padre è comunista.”

Straordinaria quella situazione. Una classe composta da circa una quindicina di elementi sembrò sorprendentemente mettere in evidenza lo scenario della politica nazionale.
Si aprivano così, senza ombra di dubbio, quelli che successivamente furono gli anni più impegnati e più vissuti della vita politica del paese, quelli che io rimpiango e che hanno accompagnato il periodo della mia giovinezza.

Formidabili quegli anni. Senza ombra di dubbio.