P…Arco cane! Nonostante i picconatori, è ancora qui [Alessandria perduta]

Boccassi 1di Donato D’Urso e Ugo Boccassi

Le cronache narrano che l’Arco prospiciente l’odierna piazza Matteotti fu eretto a ricordo della venuta in città di Vittorio Amedeo III con la sposa Maria Ferdinanda di Spagna nell’anno 1765. Quella visita era stata accompagnata, secondo gli usi del tempo, da feste, illuminazioni e fuochi d’artificio. Il manufatto venne innalzato tre anni dopo, con incisa una aulica scritta in latino. Nel 1843, in occasione dell’incoronazione del simulacro della Madonna della Salve, l’Arco venne restaurato ed alla epigrafe latina fu sostituita la seguente in lingua italiana:
“ERETTO DAGLI ALESSANDRINI – L’ANNO 1768 – SESTO SECOLARE DELLA LORO CITTÀ – A RICORDANZA CHE NEL 1765 – VI PERMANEVANO – VITTORIO AMEDEO DUCA DI SAVOIA E MARIA FERDINANDA SUA CONSORTE – RESTAURATO NEL 1853 – QUANDO – PER LA CORONAZIONE DI M. SS. DELLA SALVE – ADDÌ 28 MAGGIO – IL RE CARLO ALBERTO SOFFERMAVASI QUATTRO GIORNI IN QUESTE MURA – E QUI RIMPETTO – ALLA PRESENZA DEI REGALI SUOI FIGLI – VITTORIO EMANUELE E FERDINANDO – SI ACCENDEVANO FUOCHI ARTI-FIZIALI – DONO DELLA SOVRANA MUNIFICENZA.”

Sulla facciata dell’Arco rivolta verso la città era dipinto lo stemma di Casa Savoia. Nel 1879, in occasione di un nuovo restauro, venne ripristinata l’epigrafe latina del 1768 ed aggiunto lo stemma cittadino con il motto “DEPRIMIT ELATOS – LEVAT ALEXANDRIA STRATOS”.

La passione per il piccone risanatore che, nel tempo, ha lasciato tanti segni, nel secondo dopoguerra era ben viva in Alessandria, tanto che il sindaco Basile indirizzò nel 1950 questa lettera al Ministero della Pubblica Istruzione:
“A varie riprese, cittadini e giornali di Alessandria, hanno chiesto a questa civica Amministrazione la demolizione di un antiestetico ed ingombrante arco in mattoni, che sorge in fondo ad una delle principali arterie della Città, prospiciente alla moderna ed elegante piazza Matteotti.
Si chiede, a codesto Superiore Ministero, l’autorizzazione di togliere la fastidiosa presenzaArco piazza Genova dell’arco stesso, comunemente detto “del trionfo”, il quale non ha nessun pregio artistico, non ha influito, per il suo ricorso di costruzione, a nessuno sviluppo o incremento cittadino, eretto solo come atto di piaggeria di Amministratori; atto che si poteva comprendere solo nel lontano 1765, quando tutto si svolgeva con etichetta di prammatica, in un rito d’uso apparente, in una comune vieta mentalità di sudditanza.
Tale arco poteva sembrar carino al tempo in cui per le vie di Alessandria la carriola portava il suo bariletto unto e bisunto ed il legittimo o autorizzato venditore ambulante andava strillando sotto le finestre e nei cortili: – Lucelina!….

Allora l’arco era prospiciente ad una piazza d’armi alberata o poteva far bella mostra di sé, e la fece, quando capitò, in quella piazza, Buffalo Bill con la carovana di più o meno autentici pellirosse Sceienni e di cow-boy sbracati.
Poi la piazza d’armi sparì, i portici si allinearono a destra e sinistra, l’area diventò signorile, le auto aumentarono di numero e di vivacità, gli autopullmann invasero lo spazio e la vista, i ciclisti indisciplinati fin dalla nascita guizzarono dappertutto, e quell’arco ormai resta un anacronismo impiccioso con la sua brutta presenza di sgraziato affare di mattoni, fatto su, più di 180 anni fa, per rallegrare la vista dei figli di Gagliaudo, che dovevano essere memori e felici d’una visita d’un duca e d’una duchessa.
Perciò sorse l’idea di toglierlo di mezzo, quell’inciampo antiestetico, specialmente ora che piazza Matteotti è un gioiello di verde e di fiori e via Dante si avvia per essere una delle più simpatiche arterie cittadine, con portico decoroso e negozi nuovi ed allegri.

parco1E il 23 marzo 1929, il Podestà di allora, scriveva alla Soprintendenza dei Monumenti per il Piemonte, a Torino, la prima richiesta di abbattimento, perché l’arco “non ha linea architettonica, non pregio artistico, non è collegato con nessun fatto o ricordo storico che possa rivestire una qualche importanza. Ostacola ed intralcia fortemente il transito per via Dante e ne intercetta la visuale e non apporta decoro alla piazza”.
Il 22 ottobre 1929, tardando da Torino una risposta, pensò il Podestà di scrivere direttamente al Ministero dell’Educazione Nazionale richiedendo l’abbattimento del famoso arco, perché “è completamente in cotto con arricciatura in malta di calce e non ha alcun pregio artistico. Inoltre esso ostacola la libera visuale dell’ingresso della città per chi entra e quello della piazza su cui prospetta per chi esce”.
Finalmente il 20 marzo 1930 la Sopraintendenza di Torino risponde che il Ministero non acconsentiva, poiché “considerato che quel manufatto (l’arco) ha un valore storico di qualche importanza, non può consentire alla sua demolizione”.

Quale era questo “valore storico di qualche importanza?
Lasciamolo dire al Canonico Berta, che così ne parla nella sua “Cronistoria Alessandrina”:

“ Addì 24 Giugno 1765 con biglietto d’invito contenente l’ora e la foggia dell’abito furono avvisate le Dame di trovarsi al dimani alle ore 9 sotto i portici interni, e la Nobiltà sotto i portici esterni del palazzo governativo per ricevere al loro arrivo il Duca e la Duchessa di Savoia, mentre le Autorità sarebbero andate secondo l’uso a riceverli a Porta d’Asti. Giunsero le LL.AA. con gran seguito di scudieri, valletti, dame e guardie del corpo dimorandovi per molti giorni in feste e trattenimenti a palazzo. La Civica Amministrazione in attestato di giubileo fece erigere sulla piazza un grande apparato di fuochi artificiali, ai quali diede esca la Duchessa dal suo balcone: quindi in memoria del gradito soggiorno decretava l’erezione di un arco trionfale, ora in piazza d’armi vecchia, ingresso allora alla Cittadella vecchia stata demolita. Nello stesso tempo il Re ordinava l’apertura in linea retta dello stradone di Porta Marengo alla Bormida. Però a conturbare tanta gioia il Duca di Parma qui dimorante colla Duchessa sua sorella veniva assalito dal vaiolo e ne moriva alla mattina del 10 luglio; perloché le LL.AA. si partirono per Torino. Il detto arco monumentale veniva poi scoperto alla pubblica vista alli 19 luglio 1768 anno VI secolare della fondazione di Alessandria ricordato da analoga iscrizione, restaurato nel 1879 si ripristinava la detta iscrizione, perocché nel restauro del 1843 era stata cangiata”.

Ma il podestà (26 marzo 1930) insiste ancora presso il Ministero affinché siaparco2 consentita la demolizione. Per quanto io abbia cercato in Municipio, non ho trovato traccia di risposta al Podestà; ho trovato però una lettera del 21 novembre 1936, nella quale la Sopraintendenza di Torino ribadisce il divieto del Ministero.
Il 12 settembre 1949 l’Automobile Club di Alessandria mi pregava di metter mano al giudizioso abbattimento dell’arco “la cui scomparsa, ne siamo certi, non verrà rimpianta dalla cittadinanza, la quale invece vedrà con piacere aprirsi un orizzonte più libero per la prospettiva della moderna piazza Matteotti e snellito l’alacre movimento che le anima”.
Quattro giorni dopo facevo conoscere a quell’Ente il divieto opposto dalla Sopraintendenza alle antichità del Piemonte.
Ora, a nome di questa civica Amministrazione, dell’Automobile Club alessandrino e di gran parte della cittadinanza, richiedo ancora il parere favorevole per la demolizione in parola, trovando assai tenue il divieto adducendo un’importanza storica, che in realtà non si ravvisa, come chiaramente traspare dallo stesso scritto del Canonico Berta, riportando più sopra, mentre la permanenza dell’arco costituisce un pericolo continuo e grave per l’incolumità dei cittadini dato l’intenso transito di pubblico e di veicoli d’ogni specie nella località frequentatissima anche da bambini e vecchi diretti ai giardini della piazza dalla vicinissima Casa di Riposo come può rilevarsi dalla allegata planimetria.
Se valore storico imperituro si volesse dare alla permanenza d’una famiglia ducale, ben maggiore ne dovrebbe avere la permanenza, sia pure per pochi giorni come l’altra, per ben sette volte fatta dal Pontefice Pio VII.

Infatti egli fu ad Alessandria il 12 novembre 1804 riposando nel palazzo Ghilini (oggi della Prefettura); il 23 aprile 1805 ricevuto nella chiesa di S. Alessandro, allora cattedrale provvisoria, ed ospitato sontuosamente nel palazzo Cuttica (oggi Casino Sociale); il 4 luglio 1809 per tre giorni prigioniero dei Francesi e rinchiuso nel palazzo Castellani (ora Maria Ausiliatrice in via Gagliaudo); il 9 giugno 1812 recandosi a Fontainbleau chiamato da Napoleone; il 21 marzo 1814 quando l’Imperatore si avviava verso la prigionia all’Elba; il 17 maggio 1815 andando a Torino; infine il 22 dello stesso mese facendo ritorno a Roma. Eppure all’infuori della cronaca, nessuno sognò di considerare fatti storici tali passaggi da indurre chicchessia a darne ricordo eterno con lapidi, archi, monumenti.
Solo per euforia momentanea si volle ricordare ai posteri il passaggio d’una Casa Ducale.
Per questi motivi d’indole pratica ed estetica (l’arco non ha nemmeno il pregio di essere sull’asse geometrico di via Dante, essendo spostato alquanto a destra di chi, dalla stessa arteria, guarda la via Marengo) in una città moderna come Alessandria, si ha assai fondata speranza di una benevola accoglienza della proposta nostra, che si affaccia non certo per la prima volta.
IL SINDACO
La risposta non fu quella sperata dall’Amministrazione Comunale e innanzitutto dal Sindaco Basile. Questi fece della demolizione dell’Arco uno dei suoi cavalli di battaglia e, ancora nel 1959, tornò sull’argomento cercando di rimuovere l’opposizione della Sovraintendenza ai Monumenti:
“Il Consiglio Comunale di Alessandria, all’unanimità, ancora una volta chiede, alle Autorità di competenza, il permesso di abbattere un insignificante ed inutile arco, che si trova in fondo alla modernissima via Dante, prospiciente i magnifici e lussuosi giardini di piazza Matteotti.
Con la costruzione di eleganti palazzi nelle vicinanze, l’arco, per la sua antiestetica meschinità di mole e per il serio ingombro alla viabilità enormemente intensificata in questi ultimi anni, è un impiccio deprecato.
Si prenda cortese nota, intanto, che l’orribile manufatto in comuni mattoni, non si riferisce a nessun ricordo storico, sia pure di basso rilievo. Lo dimostrai con mie soventi lettere, qualche tempo fa, a codesta Sopraintendenza ed al Ministero della Pubblica Istruzione.
Fra l’altro, l’arco non ha nessun pregio artistico, goffo e mal fatto qual è, non ha nessuna attrattiva turistica; fu eretto unicamente per supino atto di piaggeria di amministratori nel lontano 1765.
In questa città, ci sembra unanime il consenso per l’abbattimento dell’arco in parola che, fra l’altro, non è nemmeno sull’asse di via Dante. Serve solo di luogo inverecondo ai cani ed agli avvinazzati, col disdoro di una città moderna e rifatta nelle sue bellezze e nelle comodità della vita di oggi.
Assai si spera nell’accoglimento del voto espresso da questo Consiglio Comunale e si è certi nella cortese revisione della posizione di codesta Spett. Sopraintendenza”.

Anche quel rinnovato tentativo di usare il piccone risanatore fallì e l’Arco è rimasto al suo posto.