Le irregolari [In the world]

Carlotto Esteladi Ilaria Leccardi

Fino a qualche tempo fa, quando mi chiedevano di parlare di me, mi veniva spontaneo rispondere: “Sono una giornalista”. Al limite, mi piaceva dire anche: “Un’ex ginnasta” (entrai in palestra per la prima volta a sei anni e da allora non me ne sono praticamente più andata). Da tre mesi a questa parte, quando mi pongono questa domanda il primo pensiero è: “Sono la mamma di Bianca”. La mia cucciola tanto desiderata, il cui respiro dà senso alle mie giornate.

Dando il via a questo nuovo blog, un percorso, una strada tramite cui cercherò di raccontare qualcosa del mondo, voglio partire proprio da una storia di figli. Hijos, per dirlo alla spagnola. È una storia che porta lontano, dall’altra parte del mondo, in quell’Argentina che ancora sa molto di Italia, almeno per la gente che la abita da decenni. Un paese che deve fare i conti con il fantasma di una sanguinaria dittatura che ha lasciato più di trentamila morti sul terreno, oltre a un’eredità fatta di spettri e dolore.

Trentasei anni sono passati per arrivare alla verità per Estela de Carlotto. Una speranza coltivata nei confronti di un bambino che si sapeva nato, ma che questa donna combattente non era mai riuscita a conoscere, né a sapere che fine avesse fatto. Perché la dittatura ha fatto anche questo, tra le altre crudeltà: sottrarre a tante madri la gioia di poter crescere i propri figli appena nati. Le donne arrestate, perché considerate sovversive, se erano incinte venivano fatte partorire nelle squallide celle della Esma (la scuola di meccanica della Marina militare) o di uno degli altri famigerati centri di tortura e sterminio. Il frutto del loro grembo veniva sottratto e dato in regalo a famiglie di militari o loro conoscenti, per essere educato a dovere secondo la volontà del regime. E le madri, private del loro gioiello più grande, venivano a quel punto eliminate, nel silenzio assordante di un paese e di un continente intero.

Contro le barbarie della dittatura, cominciò però a sollevarsi la voce delle donne. Ancora una volta madri, che iniziarono a chiedere la ricomparsa dei propri figli arrestati, sequestrati dal regime. E con loro le nonne che, oltre ad aver perso la gioia di un figlio, venivano costrette a rinunciare alla dolcezza dell’abbraccio di un nipote. Molte non si piegarono e diedero il via a una lotta per cercare di ritrovare quei bambini nati e mai conosciuti. Alla loro testa Estela che, a capo dell’associazione delle nonne, le Abuelas de Plaza de Mayo, in questi decenni ha aiutato decine di famiglie di ricongiungersi. Test del Dna, un percorso difficile, i fantasmi da combattere, la necessaria contrapposizione ai genitori adottivi, all’amore ricevuto lungo tutta l’esistenza. Un’esistenza sconvolta dal dubbio della propria provenienza. Ora sembra essere arrivato anche il momento di Estela. Guido, così si chiamava il bambino nato dalla figlia Laura, venne al mondo il 26 giugno 1978 in un centro di detenzione clandestino. Da lì sottratto, fatto sparire, affidato alla nuova famiglia. Una nuova vita, una nuova identità: Ignacio Urban, oggi fa il musicista e vive a Olvarría, nella provincia di Buenos Aires. È stato lo stesso Ignacio a sottoporsi al test del Dna, dopo aver avuto un sospetto sulla propria identità.
E così Estela ha ritrovato il nipote. Il numero 114 di un lungo elenco. Tanti hanno preferito non sapere, molti i propri nonni biologici non li conosceranno mai, anche se questi si battono da anni per ritrovarli.

Le “irregolari” le aveva ribattezzate lo scrittore italiano Massimo Carlotto in un celebre libro in cui raccontava l’incontro con Estela e la sua battaglia. La dittatura argentina è collassata nel 1983, ma a più di trent’anni di distanza continua a condizionare la vita di intere famiglie e generazioni. “Sono una madre”, “Sono una nonna”. Non per forza una sovversiva, ma una donna. Ogni donna deve essere libera di poterlo dire, senza fantasmi, senza paure.